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Qualche giorno fa sul registro di una delle mie classi campeggiava la dicitura “Accertamento del possesso di un dizionario, cartaceo o elettronico”, lodevole iniziativa di un collega. E in effetti, tra i ragazzi c’è qualche cittadino straniero che – in virtù del fatto che conosce una delle lingue della colonizzazione europea – ogni tanto avvia sul proprio cellulare un traduttore e cerca il significato di qualcuna delle parole che noi pronunciamo.

lente

Grati per il fatto che l’operazione non toglie ritmo espositivo alle nostre fantastiche lezioni frontali, noi insegnanti facciamo finta di nulla di fronte all’evidente violazione delle disposizioni emanate qualche anno fa dall’allora ministro dell’istruzione di fronte al (presunto) dilagare del cyberbullismo, che – probabilmente mutuate dai regolamenti in vigore sugli aeromobili della compagnia di bandiera – inibirebbero l’uso di qualsiasi dispositivo elettronico, con buona pace sia della retorica dei digital native sia della scuola digitale. Non ho idea di quali siano stati gli esiti globali dell’indagine, ma la medesima mi ha fatto riflettere sul fatto che i due strumenti (dizionario tradizionale e dizionario 2.0) non sono in realtà del tutto equivalenti, perché propongono un modello di accesso molto diverso sul piano operativo e su quello cognitivo. Il volume di carta vincola alla ricerca in ordine alfabetico (e quindi richiede la conoscenza di tale ordine, uno dei pochi esempi di apprendimento meccanico ancora ammesso dai canoni del pensiero pedagogico innovatore unico); il suo successore invece ci porta direttamente alla voce che ci interessa non appena l’abbiamo digitato. Allo stesso modo funzionano le enciclopedie, gli elenchi telefonici, gli stradari e così via. Con un’ulteriore potenzialità, il salto ipertestuale da un’unità informativa all’altra, attraverso una rete di link.

Lascio ad altri – soprattutto agli apocalittici e agli integrati di professione – il dibattito se ci troviamo di fronte a straordinari vantaggi o a terrificanti iatture, che distruggeranno quel poco di umano che è ancora sopravvissuto, e proseguo accennando ad alcune possibilità di cui tutti disponiamo, magari senza saperlo. Mozilla Firefox, per esempio, offre all’utente – in una casella posizionata in alto a destra – una serie di opzioni. Ci sono Google e i suoi concorrenti Bing e Yahoo, in grado ormai di proporre addirittura attendibili correzioni di eventuali errori di digitazione delle parole-chiave commessi dall’utente, sempre per velocizzare le attività. Sul browser troviamo inoltre l’accesso diretto al Dizionario Italiano di Hoepli, insieme a quello a Amazon e a eBay, che ci serviranno se siamo alla ricerca di oggetti da acquistare. Accanto alla versione beta di Creative Commons Search, che restituisce indicazioni su materiali culturali non gravati dal classico diritto d’autore e pertanto riutilizzabili, vi è infine l’ingresso a Wikipedia. L’enciclopedia libera e collaborativa ha nel frattempo conosciuto vari interventi di consolidamento, interni ed esterni alla sua struttura e alla sua implementazione: è disponibile in versione ottimizzata per i dispositivi mobili, il cui schermo ha dimensioni ridotte, mentre l’App Wikipedia Mobile, per iOS e Android, permette di salvare sul nostro smartphone o tablet le pagine raggiunte e di leggerle senza dover attivare la connessione a Internet. L’università di Hagen (Germania) offre il servizio Pediaphon, non disponibile in italiano, generatore di file audio a partire dagli articoli di Wikipedia, che per conto suo ha realizzato il creatore di libri, una funzione che consente di selezionare “pagine wiki a propria scelta. È possibile esportare il libro in diversi formati (per esempio PDF e ODF) oppure ordinare una copia stampata”.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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