Autore

Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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Di ombre si sono occupati, in primo luogo, i poeti.
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La misologia, alla lettera «odio verso la ragione», è una malattia che colpisce talvolta coloro che si dedicano alla filosofia. Chi ne è affetto farebbe bene a riandare a quella miniera di saggezza e umanità che è il Fedone di Platone.
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In un gruppo sociale chi deve decidere? Si tratta di uno dei problemi tra il sociale e il politico più intriganti. La soluzione di Rousseau è una delle opzioni teoriche più note: “Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale”.

"Una notte d’autunno, due buoni amici erano seduti sulla terrazza dietro alla Taverna Rapa Pigra. Sotto di loro sonnecchiava il tranquillo paese di Mezzocolle. L’aria di mezzanotte era fredda"

Mi ha dato molto da pensare Claudio Giunta, quando spiega cosa ha spinto verso l’attuale modo di proporre la traccia d’italiano all’esame di Stato: “invitare gli studenti a scrivere quello che pensano di cose difficili come la letteratura o la democrazia o la pena di morte è un rischio, perché incoraggia il dilettantismo e la retorica dei pensierini: meglio glossare le opinioni di altri” (Il Sole 24Ore - 10.02.2013).
Venerdì 15 febbraio si è svolta presso il Convitto Nazionale “Paolo Diacono” di Cividale del Friuli (UD) la disputa tra le classi IV A e IV B del Liceo Scientifico sul tema: ha senso parlare di “filosofia cristiana?”. Il tema, come abbiamo visto la scorsa settimana, è complesso e controverso. Esso vanta radici storiche di grande interesse.
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Il vivace dibattito circa l’esistenza di una filosofia cristiana, esploso negli anni Trenta del Novecento, non pare essersi esaurito, poiché continuano a uscire lavori originali. Il contendere vede da un lato coloro che esibiscono esempi che paiono illustrare efficacemente il darsi storico di filosofi cristiani (Agostino, Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino), dall’altro lato vi sono invece coloro per i quali non v’è una filosofia cristiana più che una fisica cristiana o una matematica cristiana.
Dopo lunghi mesi a studiare Hegel, imparando a conciliare tutto nell’et… et, dopo essersi depressi col pessimismo di Schopenhauer, aver aspirato all’autenticità con Kierkegaard, ribellati al moralismo con Nietzsche, autoanalizzati con Freud, ammutoliti in un silenzio pieno di significato col primo Wittgenstein, i nostri allievi meritano di scoprire che il minimalismo del domandare analitico nasconde fascino e un’opportunità formativa.
Col paradosso della donazione Derrida ha «fatto scomparire» il dono. La settimana scorsa, ho cercato di «rimettere le cose a posto». Si trattava però di un esito che rischiava l’effimero, in assenza di una definizione di dono capace di offrire un impianto concettuale solido. Oggi è tempo di trovare tale definizione.
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La settimana scorsa, con Derrida, abbiamo visto scomparire il dono: a donar per niente non si dona davvero e a donar per qualcosa non si compie un gesto di totale gratuità, quale un atto di donazione dovrebbe essere.