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Autore

Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

Pochi giorni fa, al convegno nazionale “L’innovazione tecnologica nella scuola italiana e i capi d’istituto. Quali orientamenti per una politica sostenibile ed efficace?”, un’ineffabile relatrice ci informava che, secondo recenti e attendibili ricerche scientifiche, è proprio Facebook la fonte di informazione privilegiata da parte di moltissimi tra i nostri adolescenti.
Le mappe sono una delle star della (presunta) innovazione metodologica; troppo spesso sono considerate una panacea universale in grado di risolvere molti – se non tutti – i problemi dell’apprendimento. Sono lo strumento di mediazione didattica forse più noto a livello del senso comune e meno conosciuto nel merito.
Per uscire dall’attuale opinionismo selvaggio – particolarmente attivo sui social network - e dal crearsi di schieramenti che “tifano” a priori per l’impiego esclusivo o per il rifiuto preconcetto dei libri digitali a scuola,  possono essere utili due convegni, che si svolgeranno uno di seguito all’altro di qui a pochi giorni.
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“Perché sei così scettico nei confronti del registro elettronico?", mi ha apostrofato qualche giorno fa una collega. "Ormai tutto è informatizzato, ovunque. Non possiamo essere fuori”. E infatti a scuola sono informatizzate anche redazione e archiviazione del nostro lavoro di progettazione e rendicontazione didattica.
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Una delle due signore mi ha rivolto la classica domanda: “Ma non le manca il fatto di toccare le pagine, di sfogliarle?”. Ed è rimasta colpita dalla risposta, ammantata di un nuovo materialismo: “Pesa meno di un tascabile e contiene un sacco di volumi. Non c'è niente di meglio di stare a letto sapendo che abbiamo un altro libro subito a disposizione, senza nemmeno doverci sporgere verso il comodino".
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Sono rari i progetti didattici centrati sull’uso delle tecnologie digitali che non siano fondati su slogan a effetto, destinati da una parte a rappresentare l’entusiasmo di coloro che li realizzano e dall’altra ad attirare l’attenzione mediale, col solo risultato di approssimare allo zero la credibilità scientifica del percorso e di procedere a inaccettabili semplificazioni dei risultati ottenuti.
Soprattutto, il sistema di istruzione nazionale è stato negli ultimi anni teatro di una “riforma” dettata soprattutto da esigenze di cassa: in nome del risparmio, tutti gli ordini e i tipi di scuola hanno visto tagliati posti di lavoro, ovvero ore di lezione, ossia occasioni di apprendimento.
Il registro elettronico naturalmente non funziona neanche oggi!” è il commento di un collega in calce al foglietto di carta che pure stamattina vicaria tristemente il futuristico strumento digitale, per l’accesso al quale i genitori hanno appena ricevuto le password: per alcuni di loro si tratta di una sorta d'iniziazione alla modernità, alla Scuola 2.0 che ciclicamente i media magnificano.
L'allegato al recentissimo decreto del ministro dell’istruzione sul tema dei libri digitali stabilisce tempistica, modalità e tetti di spesa delle future adozioni dei testi scolastici in versione “mista” ed elettronica, mettendo in atto quanto annunciato da Carrozza in estate, ovvero l’intenzione di prendere in mano la questione in prima persona.
Tra le tante osservazioni critiche sulle politiche scolastiche nazionali contenute nel rapporto OCSE sull'andamento del progetto Scuola Digitale, è particolarmente interessante il calcolo secondo cui, con il trend attuale, sarebbero necessari all'Italia ben 15 anni per raggiungere il livello di diffusione delle lavagne interattive multimediali del Regno Unito, che per parte sua è arrivato a coprire l'80% delle aule.

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