Nel 1857 il filosofo francese Charles Renouvier pubblica Uchronie. L’Utopie dans l’histoire, con cui si afferma ufficialmente il genere ucronico. L’opera dà inizio a un filone che, pur non avendo a oggi grande risonanza nel pubblico generale, ha un’importanza culturale e letteraria molto rilevante come riflessione sulla storia e il progresso. Di questo è convinto Emmanuel Carrère che, nel saggio Le Détroit de Behring: Introduction à l’uchronie, apparso in Francia nel 1986 e ora riproposto in traduzione da Adelphi (Ucronia, trad. it. F. Di Lella, G. Girimonti Greco), indaga il genere storico-letterario dell’ucronia.
Il termine “ucronia” nasce con Renouvier, il quale nel suo volume analizzava il fallimento dei moti del 1848 e immaginava un esito diverso per quegli eventi storici. Il sottotitolo L’Utopie dans l’histoire chiarisce la natura di questo tipo di narrazione: non si tratta semplicemente di fantasie sull’impossibile, ma di un tentativo di ricollocare l’utopia all’interno della storia, dando vita a mondi alternativi che avrebbero potuto realizzarsi se alcune circostanze fossero state differenti: «le ampie correnti sotterranee – scrive Carrère – che si ritiene governino la storia non escludono l’accidente decisivo, lo scoglio affiorante che è l’appiglio più comodo per l’ucronista».
La spinta originaria degli autori ucronici è una profonda insoddisfazione nei confronti della realtà storica che si trovano a vivere, un’insoddisfazione che, però, non si traduce in malinconia o in un lamento sterile. Piuttosto, queste narrazioni si muovono nella direzione di un futuro migliore, facendo dell’ucronia un mezzo per suggerire strade che l’umanità avrebbe potuto percorrere per raggiungere una società più giusta. Le intenzioni dell’ucronia sono – a detta di Carrère – più nobili di quanto possano apparire a prima vista, perché il sogno dell’ucronista «non è tanto abolire o distorcere la memoria, quanto modificare il passato».
Come ha ampiamente illustrato Catherine Gallagher nel suo Telling It Like It Wasn’t – studio interamente dedicato alla letteratura ucronica o controfattuale –, una delle caratteristiche centrali dell’ucronia è il concetto di giustizia storica, che emergerà in modo più articolato solo nel Novecento, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Questa idea di giustizia, vista come risarcimento per gli errori e gli orrori commessi durante la storia, si affaccia tuttavia già nelle opere ottocentesche di autori come Renouvier, appunto, e Louis Geoffroy-Château. Carrère nota come in questi testi l’obiettivo sia quello di assoggettare la storia alle norme della giustizia, e non giustificare semplicemente gli eventi passati accampando spiegazioni di comodo. Si tratta di una nuova concezione di giustizia che porta a fare un processo alla storia, immaginando una sua versione alternativa in cui gli errori vengono corretti e la giustizia trionfa.
In quest’ottica si colloca anche l’opera di Geoffroy-Château Napoleone e la conquista del mondo, che rilegge il periodo tra il 1812 e il 1832 immaginando un Napoleone trionfante che riesce a creare un’Europa unita e pacifica, anziché subire la sconfitta storica. In questo testo, emerge un aspetto interessante: la narrazione non è condizionale, ma presenta gli eventi come se fossero realmente accaduti. Questo approccio permette di vedere la storia alternativa non solo come un esercizio di fantasia, ma come un’ipotetica realtà parallela che si confronta costantemente con la storia reale. Geoffroy-Château sembra voler correggere l’ingiustizia commessa ai danni di Napoleone dalla storia, creando così una versione della storia che considera più “giusta”. Se Geoffroy-Château, nel 1836, deforma la storia immaginando di vivere sotto «l’imperatore che venera, per cui si ripropone di far durare più a lungo il suo regno», Roger Caillois, altro ucronista citato da Carrère, nel 1961 «sogna che la civiltà greco-romana si sia protratta fino alla sua epoca e, in ogni caso, che il cristianesimo non sia esistito».
Carrère mette in evidenza come uno degli aspetti più significativi delle narrazioni ucroniche sia proprio la loro capacità di fondere storia e finzione. Nonostante un’opera ucronica possa collocarsi in un mondo parallelo, il confronto con la storia reale rimane costante, e il racconto alternativo acquista significato solo grazie a questo continuo dialogo con il passato. L’ucronia non si limita a creare un mondo alternativo per evadere dalla realtà, ma mira a integrare la storia, a completarla, laddove alcuni fili sembrano essersi interrotti nella realtà. L’immaginazione diventa quindi uno strumento per esplorare possibilità accantonate e riscrivere la storia in modo da risarcire gli errori commessi.
Tra gli scrittori rappresentativi del genere ucronico, Carrère non manca di menzionare Philip K. Dick, autore ben noto ai suoi lettori (Carrère, oltre a citarlo in quasi tutte le sue opere, gli ha dedicato un intero libro), che ne La svastica sul sole (1962) immagina un mondo in cui la Seconda guerra mondiale è stata vinta dalle potenze dell’Asse anziché dagli Alleati. Il libro di Dick occupa, però, un posto a sé rispetto agli altri testi analizzati nel saggio; quel che emerge, al di là della torsione storica che vede il mondo dominato dalla Germania nazista e dall’Impero giapponese, è il fondo nichilista dell’opera: per Dick, infatti, «qualunque sia il cammino intrapreso, per gli esseri umani il risultato è lo stesso, ovvero la sofferenza».
In conclusione, Ucronia di Carrère non è solo una riflessione su un genere letterario, ma una profonda meditazione sulla storia e le sue deviazioni. Attraverso l’analisi delle opere ucroniche, Carrère induce il lettore a considerare come la finzione narrativa possa aiutarci a vedere la realtà sotto una luce diversa. Il libro si chiude, però, a sorpresa, con l’invito a riappropriarsi del reale rispetto alle divagazioni dell’ucronia – l’opinione personale di uno scrittore che ha dedicato buona parte della sua vita a narrare le vite degli altri.