L’isola di Tinos e i suoi santuari

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Dopo il reportage sul santuario di Apollo a Delfi, un’altra riflessione su due luoghi di culto – uno contemporaneo e uno antico – visitati dall’autore sull’isola greca.
Il mare visto dal santuario della Panagia Evangelistria. Foto dell’autore

L’isola greca di Tinos, nelle Cicladi, è nota per il culto della Vergine Maria che si pratica in un locale santuario, ma già in antico ospitava un tempio di Poseidone e Anfitrite, del quale è ancora possibile vedere i resti. In questa riflessione, proverò a parlare di entrambi, che costituiscono una sorta di – pur indiretta – ideale continuità cultuale.

Un’icona miracolosa, carica di auspici politici

Il 30 gennaio del 1822, sull’isola di Tinos venne trovata un’icona bizantina molto antica, che raffigura Maria in ginocchio, chinata in atto di preghiera. La ricerca dell’oggetto sacro venne – secondo la tradizione – suggerita dalle visioni di una monaca locale di nome Pelagia.

Non deve sfuggire l’anno del ritrovamento, poiché tra il 1821 e il 1830 la Grecia stava combattendo la sua Guerra d’Indipendenza dall’impero ottomano, e dunque l’evento fu considerato di buon auspicio: la Panagìa Evangelistria (cioè «Nostra Signora dell’Annunciazione») divenne allora una sorta di “patrona” della Grecità ortodossa, che stava cercando di riaffermare la propria libertà e identità parallelamente all’emancipazione politica dal giogo turco.

Il complesso del santuario della Panagia Evangelistria a Tinos
Il complesso del santuario della Panagia Evangelistria a Tinos. Foto dell’autore.

Sul luogo del rinvenimento (già sede in antico di un tempio di Dioniso, secondo gli archeologi) venne poi eretto un maestoso santuario nel quale fu impiegato il pregiato marmo locale; e ancor prima del suo completamento (1830) Tinos divenne così sede di pellegrinaggi da ogni parte della Grecia, poiché iniziarono a moltiplicarsi le notizie dei miracoli che la sacra icona avrebbe propiziato.

L’incessante venerazione della Panaghìa Evangelistria

La Chiesa della Panagia Evangelistria. Foto dell’autore.

Come ho avuto modo di constatare durante una visita avvenuto nel luglio scorso, l’afflusso di pellegrini è ancora oggi molto abbondante, anche se il momento più sentito (e dunque il più “affollato”: la tranquilla Tinos si riempie allora di fedeli!) è quello della festa della Dormizione della Vergine, termine che gli ortodossi usano al posto dell’Assunzione di matrice cattolica, e che – come quest’ultima – cade il 15 agosto.

Pure a luglio, però, è stato possibile respirare quel clima di spiritualità che contraddistingue l’isola, anche perché ho scelto di soggiornare nelle strette vicinanze del santuario, con la conseguenza di essere svegliato prestissimo dal suono delle campane e dalla diffusione all’esterno della liturgia, che ininterrottamente si protrae fino a sera.

Così già di prima mattina, quando il sole non è ancora alto, i pellegrini si dirigono in chiesa o nella cripta sottostante, ad accendere i ceri, attingere acqua a una fonte creduta miracolosa e baciare l’icona della Vergine. Alcuni di loro lo fanno avanzando in ginocchio, i più coraggiosi addirittura iniziando questo percorso nella parte più bassa della cittadina – Hora, la capitale dell’isola – ragion per cui lungo la strada è stata stesa una passatoia di moquette per agevolare l’ascesa.

Oggetti sacri in un negozio di Tinos. Foto dell’autore.

Non è questa la sede per esprimere giudizi o convinzioni personali; devo però affermare che – nonostante la vistosa presenza di decine di botteghe che vendono oggetti devozionali (ceri, icone, ex voto etc.) – prevale l’impressione di una religiosità genuina, sentita, non superstiziosa ma fortemente identitaria. E soprattutto di una spiritualità festosa, fatta di intere famiglie chiassose e sorridenti che, sulla strada verso la chiesa, si fermano a comprare sia le candele per la Madonna, sia delle squisite paste di mandorla che anche chi scrive ha provato in tutte le sue varianti possibili. So che gli amici siciliani potrebbero aversene a male, ma quelle prodotte da una certa pasticceria di Tinos potrebbero davvero competere con quelle che mi faccio spesso spedire a casa da fidati fornitori della loro isola!

Il mausoleo per i caduti della Elli

L'incrociatore Elli (da Wikipedia)
L’incrociatore Elli (da Wikipedia)

Un’ultima nota, un po’ meno dolce della precedente. L’area del santuario, oltre agli spazi sacri ne contiene altri – per così dire – laici (o quasi): una mostra di icone, una pinacoteca, un museo di artisti locali e soprattutto un piccolo ma suggestivo mausoleo che conserva le ossa delle prime vittime greche della Seconda guerra mondiale.

Lastra celebrativa del Giorno dell’ochi. Foto dell’autore

Erano nove marinai a bordo dell’incrociatore Elli, affondato nel porto di Tinos da un siluro sparato dal sottomarino italiano Delfino: l’attacco avvenne il 15 agosto 1940, proprio nel giorno della festa locale, che aveva richiamato a Tinos anche l’equipaggio di questa nave da guerra.

Si è trattato di un episodio vergognoso, non solo per le vittime provocate e per la profanazione di una celebrazione religiosa; ma anche perché l’Italia non era (ancora) in guerra con la Grecia, e dunque l’atto costituiva una provocazione da parte di quel Mussolini che voleva – parole sue… – «spezzare le reni alla Grecia».

Non molto dopo l’Italia fascista ne progettò l’invasione, con una guerra fallimentare che si scontrò con l’ochi («no») dei Greci, orgogliosamente pronunciato anzitutto il 28 ottobre 1940 dal loro primo ministro Ioannis Metaxas.

Da allora quella data è celebrata come «il giorno dell’ochi», e una targa marmorea che lo commemora è conservata anche nella pinacoteca del santuario di Tinos.

Il santuario di Poseidone e Anfitrite

Dunque religione, politica, guerra sono spesso strettamente legate. E lo erano anche nel mondo classico, come dimostra la storia del santuario del dio del mare Poseidone e della ninfa sua sposa Anfitrite che si ergeva non lontano da Tinos-town (dove si trova appunto la Panagìa), nella località costiera di Chionia, e del quale restano sparute rovine, da integrare con alcuni oggetti conservati nel locale Museo Archeologico.

Il Tempio di Poseidone a Chionia. Foto dell’autore

Cosa rimane, dunque, dopo le devastazioni bizantine, veneziane e turche finalizzate al reimpiego edilizio del marmo antico? Ripeto, non molto; eppure quanto basta per comprendere come oltre al tempio – forse risalente al IV secolo a.C. – l’area sacra comprendesse fontane, altari, terme, esedre, porticati, e che la sua frequentazione sia stata significativa sia in età ellenistica sia in epoca greco-romana, come vedremo poi.

La fontana nel santuario di Poseidone a Chionia. Foto dell’autore

Tinos, infatti, non è molto lontana dall’isola di Delos, ove sorgeva uno dei maggiori santuari di Apollo di tutta la Grecità; possibile dunque che una sosta qui fosse ritenuta utile per chiedere al dio del mare – da queste parti perennemente sferzato dal vento – condizioni favorevoli per raggiungere l’isola sacra ad Apollo, nella quale gli antichi ritenevano illecito sia il nascere sia il morire. Ma presso la quale talora si annegava – lo sappiamo dalle fonti e dalle stele funerarie – a causa delle bizze dell’Egeo, che in questo tratto è assai spesso agitato.

La complessità archeologica del sito mi suggerisce di non addentrarmi in ulteriori spiegazioni, affidando le immagini da me scattate alla fantasia dei lettori. Non senza però un’eccezione, che non poteva che suscitare particolare interesse nel sottoscritto, da sempre cultore di Storia romana.

Il culto imperiale a Tinos: tre statue dell’imperatore Claudio

Particolare della corazza di altra statua di Claudio, Tinos, Museo Archeologico. Foto dell’autore

Infatti, visitando il Museo Archeologico di Tinos, sono rimasto impressionato dalla presenza di tre statue acefale (anzi di tre torsi di statua), accompagnate da una sola parte inferiore, resecata in tempi lontani.

Si tratta chiaramente di manufatti di epoca romana, trovati in un edificio sito nell’area del santuario di Poseidone; è un tempietto contrassegnato con la lettera D dagli archeologi, i quali pensano fosse una sorta di sacrario dedicato al culto della famiglia imperiale Giulio-Claudia.

I tre torsi sono stati associati così all’imperatore Claudio (41-54 d.C.), e insieme con loro è stato pure trovato un ritratto di Agrippina Maggiore, nipote del divino Augusto.

Ma torniamo alle statue di Claudio, nelle quali l’imperatore indossa una corazza e un corto chitone. La corazza è decorata con una scena a rilievo della battaglia contro i centauri, e nella sua parte superiore destra è scolpita una figura femminile identificabile come Nike (la dea Vittoria) che indossa un elmo e tiene in mano un trofeo. Insomma, pur senza arrivare al filellenismo di Adriano che sulla sua corazza volle affiancare la Lupa capitolina e la civetta di Atena (ne ho parlato in un mio articolo passato) anche Claudio – in terra di Grecia – è collegato a un mito ellenico, quello della centauromachia (già raffigurato anche sul Partenone), da sempre simbolo della lotta della civiltà contro la barbarie.

Non so bene (francamente non ho approfondito la cosa, ma lo farò…) se si pensi – come credo probabile – a queste come statue cultuali (anche Claudio divenne divus, nonostante gli sberleffi di Seneca nell’Apokolokyntosis!) oppure a doni fatti dal principe al santuario quando era ancora in vita; ma, forse, poco cambia, perché il potere spesso celebra sé stesso anche quando sembra voler celebrare gli dèi.

A noi resta comunque l’idea che ai tempi dell’impero Roma abbia voluto cercare forme di continuità con la tradizione mitico-religiosa locale, e che questo sia avvenuto spesso anche in terra di Grecia. Associare l’imperatore regnante o già morto e divinizzato alla centauromachia e onorarlo all’interno di un’area sacra a una divinità olimpica significa considerare l’azione di Roma come fondamentale per l’affermazione ecumenica di una civiltà superiore: negarlo vorrebbe dire parteggiare per i centauri, cioè i nemici dell’impero, barbari e incivili proprio come i Persiani che i Greci avevano sconfitto nel V secolo a.C.

Credo proprio, pertanto, che il grande storico Paul Veyne non sbagliasse, ostinandosi a usare per quello di Roma la definizione di «impero greco-romano», sottolineandone – sulle orme, tra gli altri, di Plutarco o Elio Aristide – il ruolo di sintesi tra due mondi complementari.

Considerazioni finali

Possibile, dopo l’analisi di questi due luoghi sacri – uno cristiano e uno pagano – una qualche conclusione? Certamente si potrebbe notare un’analogia, e cioè la presenza di due micro-sacrari (il mausoleo della Elli e il sacello del culto imperiale) nelle due grandi realtà santuariali. Oppure sottolineare le apparenti differenze nel ruolo politico dei due culti: quello mariano nasce e fiorisce connotato da venature nazionalistiche e indipendentistiche, mentre il santuario pagano è divenuto nel tempo sede della propaganda dei conquistatori romani. Come si può ben capire, si tratta però di osservazioni un po’ estemporanee, ben lontane dal rigore storiografico necessario quando si tratta di queste cose.

Fedeli nella Chiesa della Panagia Evangelistria. Foto dell’autore.

La definizione che spesso si dà di Tinos come «isola sacra» non è comunque sbagliata, anche perché sul suo territorio non mancano altre chiese e monasteri, sia ortodossi sia cattolici (fino agli anni Cinquanta vi erano pure le suore Orsoline…). Ciò ribadisce il fatto che ciascuna delle numerosissime isole greche ha una propria identità, e chi scrive ben lo sa, avendone visitate una quarantina: in questo caso sembra quasi che Tinos se la sia costruita nel tempo in opposizione a quella della vicinissima Mykonos, capitale indiscussa della mondanità e della trasgressione.

Credo però che le già citate paste di mandorla che ogni sera per cinque giorni ho gustato durante questo soggiorno siano state anch’esse – a tutti gli effetti – una rilevante forma di trasgressione; la speranza è che i numerosi numi tutelari dell’isola (pagani e cristiani) agiscano concordi per limitarne gli effetti su colesterolo, glicemia e trigliceridi!

 

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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