Alla fine dell’anno scolastico, però, in pagella sono risultati un sette in condotta e uno in fisica: fine del discorso. Apertura del caso.
Ovviamente sul tavolo degli imputati sono finiti i docenti del consiglio di classe e la dirigente, che ha dichiarato che la scuola non ha il compito di promuovere i geni ma quello di educarli.
Un’uscita parecchio infelice, ne convengo.
Altrettanto preoccupante però mi è sembrato l’attacco mediatico rivolto a questi insegnanti, bollati in alcuni articoli che hanno trattato la vicenda come adulti stupidi, pigri, mediocri. Posso abbracciare la critica mirata contro una scuola che tende ad appiattire o a non valorizzare i talenti; capisco meno i toni di una condanna a spada tratta nell’ambito di una vicenda che potrebbe essere più complessa.
Partiamo dal presupposto che un alunno fortemente dotato viene considerato di solito un elemento di prestigio per la scuola in cui studia. La benevolenza di insegnanti e dirigenti nei confronti di allievi che praticano sport a livello agonistico o si distinguono nel campo musicale mi sembra che sia perfino aumentata durante i miei anni di insegnamento. Non intendo dire che la decisione di causare un ostacolo in questo senso appaia impossibile: solo, mi sembra difficile che sia stata presa alla leggera.
Si potrebbe ipotizzare un livore particolare nei confronti dell’alunno da parte dell’insegnante di fisica, ma questo vorrebbe dire ignorare che il voto degli scrutini è un voto di consiglio: dobbiamo immaginare un insieme di professionisti che all’unanimità decidono di danneggiare ingiustamente un allievo che hanno tenuto in classe per almeno due anni.
La prima cosa che viene in mente è una comprensibile indignazione. La seconda è un dubbio: perché lo avrebbero fatto?
Un voto non nasce dal nulla: gli insegnanti sono tenuti a rispettare dei parametri valutativi e a riportare sui loro registri l’andamento degli alunni. Chi lavora nella scuola sa che i ricorsi piovono per il minimo sospetto di negligenza. Ebbene, l’insegnante di fisica ha dichiarato che il sette non è stato raggiunto e, di conseguenza, non è stato dato. Si tratta di un adulto stupido, pigro, mediocre? Non lo so e non sono convinta che gli elementi in nostro possesso bastino per affermarlo. Potremmo limitarci a costatare che l’enorme opportunità offerta al suo allievo non ha pesato abbastanza nella sua decisione.
Un voto non nasce dal nulla: gli insegnanti sono tenuti a rispettare dei parametri valutativi e a riportare sui loro registri l’andamento degli alunni. Avrebbe dovuto? Certo, ma non solo al momento dello scrutinio. L’insegnante e l’allievo avrebbero dovuto lavorare insieme durante l’anno perché l’otto arrivasse senza problemi. Se non è accaduto, qualcosa non ha funzionato da una parte, dall’altra o da entrambe. Peccato. Anche perché quello del ragazzo in America a completare gli studi non mi sembra affatto un lieto fine, per nessuno.
Anzi. C’è una cosa proprio a margine della vicenda, che mi ha colpito molto. Quel: “Comunque ho vinto io” che il ragazzo ha usato per commentare il fatto, come se si fosse trattato di una battaglia su cui non è il caso di fermarsi a riflettere.
Una battaglia che, posso immaginare, sia stata combattuta davvero. Per i non addetti ai lavori bisognerebbe tradurre quel sette in condotta spiegando che già scendere sulla soglia dell’otto indica un comportamento non proprio corretto.
Poco importa ai fini della media in questione, resa dolorosa solo dal sette in fisica, ma questo aspetto secondario della storia mi interessa perché mi sembra di capire che la responsabilità che noi docenti abbiamo in questo ambito passa inosservata finché non accade qualcosa di tremendo. Ad esempio, se un alunno (geniale o no) durante una gita si butta in mare senza permesso come risulta abbia fatto l’alunno in questione, la cosa non comprometterà i suoi voti, ma mi fa intuire qualcosa di questo ragazzo: che non ritiene di dover rispettare le regole. Di più. Che, anche a giudicare da come ha commentato l’accaduto, non si rende conto che il suo comportamento rischia di avere delle gravissime ricadute su se stesso e sulle persone a cui è affidato. Eccellenza non è mediocrità: un individuo che ha potenzialità anche discrete ha il diritto di ricevere un’istruzione adeguata.
Mi rendo conto che parole come condotta e educazione sembrano automaticamente connesse a uno schema pedagogico dittatoriale; mi chiedo però se questo sia sempre vero. Rispettare le regole significa imparare a rispettare gli altri. In questo senso la scuola, come la famiglia, ha il compito di educare geni e non geni.
Ci tengo poi a sottolineare che il contrario di eccellenza non è mediocrità: è un individuo che ha potenzialità anche discrete e che ha il diritto di ricevere un’istruzione adeguata. Mi piacerebbe invitare i non addetti ai lavori a informarsi sui processi di personalizzazione dell’insegnamento in atto: rimarrebbero stupiti da quante sfumature di livello si arrivino a considerare.
Gli obiettivi comuni comunque restano quelli disciplinari e li reputo importanti anch’io che credo in una scuola che deve mirare alla formazione di uno spirito critico in ogni alunno (a questo proposito mi sembra ovvio, ad esempio, che le regole vengano discusse con gli allievi perché non siano uno sterile esercizio di autorità).
In altre parole: essere corretti a scuola non equivale sempre ad “abbassare la testa”, ma significa spesso prepararsi a diventare un membro della comunità rispettoso e sensibile ai bisogni degli altri. Di tutti: dei meno dotati, dei meno ricchi, dei meno fortunati.
Ora, qualcuno nel sette in fisica al ragazzo di Barletta intravede un’estensione del voto in condotta. Una punizione dei docenti per essere stati sfidati. È una brutta possibilità, ma non abbiamo prove che l’intenzione fosse quella. Dobbiamo limitarci a considerare le prestazioni nella disciplina registrate durante l’anno. E anche in questo caso credo nella possibilità che un cattivo insegnante possa sbagliare una valutazione e che lo stesso possa capitare anche a un insegnante bravo.
Essere corretti a scuola non equivale sempre ad “abbassare la testa”, ma significa spesso prepararsi a diventare un membro della comunità rispettoso e sensibile ai bisogni degli altri. Non sono un genio e le opportunità che ho avuto non sono paragonabili a uno stage al CERN, però mi è capitato di soffrire di ingiustizia scolastica. Fa male e non si dimentica. Per questo motivo penso che il ragazzo in questione non abbia vinto per niente. Vincerà quando, in futuro, dimostrerà che quell’anno sarebbe potuto andare diversamente e che quel voto, i docenti, lo hanno dato a se stessi.
Quanto alla scuola, mi rendo conto di quanto possa rivelarsi imperfetta e fallace, addirittura pericolosa come istituzione quando non riesce a vedere al di là del suo orizzonte. Sono convinta però che la vita nelle classi sia più complessa di quello che si immagina e che se non possiamo e vogliamo ridurre una persona a un voto, questo non significa che dietro quel numero in pagella non ci sia una storia lunga un anno e a volte di più. Spesso vale la pena conoscerla prima di giudicare.
Nel caso specifico, spero che il brutto colpo non fermi il ragazzo cui auguro di realizzarsi come desidera: magari proprio in Svizzera, al CERN, dove potrà distinguersi per la sua intelligenza, ottenere il successo che merita, imparare ad arrivare puntuale e a rispettare consegne e colleghi geniali quanto lui.