Il piacere di scrivere (dall’università alla scuola e ritorno)

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Riflessioni sulla didattica della scrittura a partire dai risultati di un concorso dell’Università di Siena e dalle considerazioni di alcuni insegnanti di scuola secondaria.

Non è dato sapere quanto sia il tempo dedicato alla scrittura durante gli otto anni della scuola secondaria, né quali siano esattamente le pratiche didattiche prescelte, ma possiamo immaginare che ogni studente possa riportare esperienze assai variegate, che dipendono dal grado e dall’ordine di scuola, dalle caratteristiche dell’istituto scolastico frequentato e dalla specifica formazione dei suoi insegnanti di Italiano e di Lingua e letteratura italiana, a cui spetta il compito specifico di migliorare le capacità di scrittura ogni studente. Possiamo ragionevolmente supporre, tuttavia, stando almeno alle prove d’esame richieste alla fine della secondaria di primo e di secondo grado, ma anche alla struttura dei libri scolastici e alle indagini sulle pratiche didattiche, che la scrittura sia un’attività a cui chi insegna ricorre soprattutto durante le verifiche degli apprendimenti. Il classico tema, ma anche analisi del testo e testi espositivi e argomentativi strutturati, rimangono le tipologie testuali più diffuse, a dimostrazione di un sostanziale disinteresse per l’inventio e in generale per l’iniziativa individuale di chi scrive, che sostanzialmente è costretto a esprimere le proprie opinioni e a esercitare la propria competenza linguistica su argomenti preconfezionati e standardizzati, con modalità e tempi stabiliti e rigidamente regolati.

È superfluo dire che si tratta di tecniche didattiche che, nella migliore delle ipotesi, possono contribuire a esercitare alcune capacità linguistiche, senza tuttavia incidere sulla motivazione alla scrittura, né tantomeno sull’acquisizione di atteggiamenti da scrittore o da scrittrice, ovvero da persona che è in grado di dare un senso all’attività scrittoria e di scegliere in quali momenti della vita è il momento di ricorrere alla scrittura, una delle tante risorse – tra le più potenti – di cui l’essere umano dispone per affrontare il proprio percorso esistenziale.

Personalmente ho sempre guardato con attenzione a quelle strategie e tecniche didattiche che, dando importanza all’iniziativa personale, consentono di trasformare in profondità gli individui e le comunità, incrementandone le potenzialità, come il testo libero e la scrittura collettiva promosse da Bruno Ciari e Mario Lodi fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, o il più recente Writing and Reading Workshop, importato dagli Stati Uniti nell’ultimo decennio. Anche le pratiche di scrittura creativa – per cui si rimanda a un recente studio promosso da Indire e intitolato Immaginare, scrivere, narrare (pubblicato da Carocci nel 2021) – che hanno iniziato a diffondersi in Italia negli anni Novanta, soprattutto sotto forma di concorsi o di attività di animazione, si collocano in questo orizzonte, contribuendo ad aumentare un’offerta formativa che, a parere di chi scrive, rimane saldamente ancorata a pratiche anestetizzanti, che guardano con sospetto o indifferenza alla lettura e alla scrittura letteraria, sottovalutandone le potenzialità didattiche.

Analogamente al concorso letterario La pagina che non c’era, a cui si è avuto modo di dedicare più di una riflessione, anche il concorso RaccontarSi, promosso dal Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne dell’Università di Siena per le classi quarte e quinte degli istituti secondari di secondo grado, ricorre a pratiche di scrittura creativa che prendono le mosse dalla lettura di classici della letteratura. Si legge sul sito del concorso:

Gli studenti dovranno stendere degli elaborati in cui immagineranno pagine aggiuntive di testi famosi della letteratura classica, italiana e internazionale (ad esempio, cosa accadrebbe se Renzo, dopo tante peripezie, abbandonasse Lucia?), oppure contaminazioni di opere e generi diversi (ad esempio, cosa accadrebbe se Ulisse, durante i suoi viaggi, incontrasse Gulliver?): racconti per “rompere” la realtà e le storie come le conosciamo e dunque pensarle altre.

Non si dice quali siano i testi di partenza, né si forniscono indicazioni specifiche su quali strategie e tecniche sia meglio adottare, ma si fornisce una sola indicazione fondamentale, che pur rimanendo implicita non può non essere elusa: se vuoi scrivere devi prima leggere, ovvero devi trovare un testo che ti sia di stimolo e che ti faccia venir voglia di prendere la parola e diventare, a tua volta, scrittrice o scrittore. Ne risulta una forma di scrittura vincolata, che deve qualcosa alle teorie e alle pratiche dell’Opificio di Letteratura Potenziale e che ha la capacità di mettere a fuoco la dimensione ludica della letteratura, concepita come un gioco di squadra a cui tutte e tutti possono partecipare, ciascuno secondo le proprie possibilità.

Avendo avuto l’onore di essere invitato da Tommaso Braccini e Monica Marchi, ideatori e promotori del concorso, a far parte della giuria, ho letto in anteprima i racconti presentati (qui trovate il fascicolo con i racconti vincitori). Colpito dalla variegatezza e dalla qualità delle opere, ho pensato di rivolgere alcune domande ai docenti delle scuole partecipanti, anche per acquisire informazioni utili a formare i futuri docenti di Lingua e letteratura italiana, attualmente studenti dei corsi di laurea magistrale in Lettere Antiche e in Lettere Moderne.

Il concorso, che è percepito dai docenti che partecipano come «un’iniziativa stimolante di scrittura creativa», sembra essere apprezzato soprattutto da insegnanti che ritengono importante dare voce agli studenti e che, come ha affermato una di loro, ritengono «che i testi di letteratura vadano letti e ripensati alla luce del proprio vissuto», in modo che – sono parole di un altro docente – gli studenti abbiano «l’opportunità di elaborare un testo in base alla loro creatività, scrivendo storie che scaturiscono dalla loro esperienza personale e di studio».

Non era prevista una particolare strategia didattica, tuttavia sembra che i docenti abbiano individuato soluzioni simili, tutte accomunate dalla libertà di scelta.

Alcuni hanno preferito far aderire volontariamente i singoli studenti, intervenendo eventualmente in veste di consulenti, fornendo indicazioni puntuali su come migliorare lo stile del racconto:

– Li ho lasciati liberi di scegliere il percorso: le due ragazze che hanno partecipato hanno una forte passione per la lettura. Quando il racconto è stato pronto, ho letto e dato indicazioni in ordine alla chiarezza espositiva e alla corrispondenza delle parti, con un occhio particolare a cogliere e valorizzare la loro personale cifra stilistica.

– Per l’attuale edizione non è stato proposto un lavoro con la classe ma singoli allievi hanno proposto l’adesione in modo spontaneo.

– Li ho solo letti ed inviati esattamente così come li ho ricevuti, senza intervenire in alcun modo sui testi.

Altri hanno scelto la strada del lavoro in classe, lasciando gli studenti liberi di scegliere se inviare o meno alla giuria del concorso:

– Ho presentato il concorso partendo dalla definizione di classico: ho chiesto loro se avessero idea di cosa si possa intendere con questo termine. Ne abbiamo discusso e ho proposto dei titoli come esempio.

– Ho assegnato il compito a tutta la classe, con l’obiettivo di sfidarli con qualcosa di diverso dalle solite prove di scrittura. Ho detto loro che, se ne fosse nato qualcosa di particolarmente interessante, lo avrei mandato al concorso, altrimenti pazienza. L’obiettivo era permettere loro di mettersi in gioco, infatti ho permesso di spaziare nella scelta dei testi da manipolare (ad alcuni ho concesso l’utilizzo dei manga, premettendo che in questo modo si autoescludevano dal concorso).

– La realizzazione affidata totalmente agli alunni, nella scelta del soggetto e della fabula. Li ho affiancati esclusivamente quando richiedevano il mio punto di vista su alcuni aspetti, oggetto di confronto fra di loro, della vicenda di per sé abbastanza complessa.

Ho ritenuto importante, inoltre, mettere in discussione il rapporto tra queste pratiche didattiche e l’impianto normativa della scuola secondaria. Le riposte – che sono riportate parzialmente di seguito – evidenziano la grande consapevolezza e il senso di responsabilità di questi docenti, che anche nei licei, dove tutti sono «molto preoccupati di trattare gli argomenti di storia della letteratura» e ci si concentra «sulla didattica della scrittura soprattutto indirizzandola verso l’analisi del testo e la produzione argomentativa», ritengono importante ricorrere alla scrittura proprio per raggiungere i risultati di apprendimento previsti dalla norma:

– Trovo l’attività perfettamente in linea con la norma e molto utile a motivare i ragazzi alla lettura e alla ricerca di un personale stile di scrittura.

– … normalmente la scrittura creativa è poco praticata e questa può essere un’occasione per proporla agli studenti. È sicuramente utile come esercizio non solo di produzione scritta ma anche di comprensione delle strutture del testo, pertanto la ritengo un’attività valida e coerente con tutti gli obiettivi di apprendimento.

– Questa attività è senz’altro utile ai fini dell’apprendimento (applicazione diretta degli strumenti teorici acquisiti per interpretare un testo letterario) e, se vogliamo parlare in termini normativi, serve a dimostrare la propria capacità di trasformare le conoscenze teoriche in competenze ideative (applicare le proprie conoscenze in contesti nuovi).

– È un’attività coerente con gli obiettivi di apprendimento a cui ricorro sin dal biennio per favorire l’assimilazione dei contenuti, per giustificare gli aspetti della vicenda e per stimolare l’immaginazione attraverso la scrittura.

Infine, per quanto si tratti di «un esperimento raccolto da pochissimi studenti molto motivati», questo concorso, e in generale la pratica laboratoriale della scrittura letteraria, può contribuire a sviluppare una più diffusa sensibilità e un maggiore interesse nei confronti di strategie e tecniche didattiche che permettono agli studenti di sperimentare il piacere di scrivere.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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