Dimissioni & abdicazioni

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La clamorosa mossa di Benedetto XVI diventa un modo per riflettere su qualche celebre allontanamento volontario dal potere: su tutti quelli di Silla e Diocleziano

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Le dimissioni di Papa Benedetto XVI hanno stupito il mondo. Un mondo che non solo non aveva mai visto in tempi recenti un gesto del genere da parte di un pontefice, ma che – in generale – non è troppo abituato a uomini nella pienezza dei propri poteri che si fanno da parte. E di certo papa Ratzinger, a prescindere dalla sua evidente debolezza fisica e dai presunti “intrighi” vaticani, il potere ce l’aveva tutto, e per qualche giorno ce l’ha ancora: un potere immenso, un piccolo relitto storico di una forma di monarchia teocratica di sapore medievale. Quel potere che forse era troppo oneroso per le spalle del mistico papa Celestino V (di dantesca memoria, Inferno, III), che dopo pochi mesi si dimise dal soglio di Pietro nel 1294, infastidito dall’arrogante ingerenza di quel re di Francia che voleva farne un proprio vassallo; e quella di Celestino (ora santo, e omaggiato solennemente nel 2009 da Benedetto XVI) è forse l’unica “dimissione” pontificale confrontabile con quella attuale, perché gli altri pochi casi sono contorte e anch’esse lontane vicende di lotte tra papi e anti-papi…
L’evento in questione può essere un’occasione per affrontare in classe il tema delle dimissioni e abdicazioni “celebri”; e già la mattina del day after l’annuncio papale i pochi studenti scampati alla nevicata mi hanno fatto qualche domanda in merito: dunque, più che un’occasione, per me è stata una necessità.
Ragionando così, alla buona, su tempi recenti – parlando con i ragazzi – mi sono venute in mente l’abdicazione “scandalosa” di re Edoardo VIII d’Inghilterra, che non volle rinunciare alla sua amante divorziata (1936), e quella recentissima – assai meno venata di gossip – della settantacinquenne Beatrice d’Olanda (2013), che dopo 33 anni ha lasciato il regno al figlio Willem-Alexander.
Abbandonando le teste coronate, ho pure ricordato il presidente USA Richard Nixon, travolto nel 1974 dallo scandalo Watergate, che lasciò le redini della più grande potenza mondiale al modestissimo Gerald Ford, maestro di gaffes e di ruzzoloni dalle scalette degli aerei… Ho inoltre detto che ben 3 presidenti della Repubblica Italiana si sono dimessi: Antonio Segni (1964) lasciò per malattia, mentre Giovanni Leone (1978) e Francesco Cossiga (1992) lo fecero pochi mesi prima della scadenza dei loro mandati, in conseguenza della degenerazione del clima politico che li circondava.
Certo, tutti esempi incomparabilmente più modesti rispetto a quello che ha scatenato la nostra riflessione… Riflessione che, stimolata da un mio studente che ha “tirato in ballo” Diocleziano, è però presto passata all’antichità romana.

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Sì, per quanto concerne Roma antica ho parlato di due diversi esempi di allontanamento volontario dal potere; esempi diversi per epoca e per contesto politico, ma – a mio avviso – molto simili nelle motivazioni: quello di Silla (nel 79 a.C.) e quello degli imperatori Diocleziano e Massimiano (305 d.C.), che voglio in questa sede affiancare a qualche modesta considerazione.
Lucio Cornelio Silla, dopo avere sbaragliato la fazione popolare di Mario e Cinna, dopo avere eliminato gli avversari politici con sanguinose liste di proscrizione, dopo avere trasformato a colpi di leggi la respublica in un sistema di tipo oligarchico anche attraverso l’assunzione della dictatura, dopo avere ricoperto nell’80 a.C. il secondo consolato, lasciò a gran sorpresa il potere: proprio lui che si era autoproclamato Felix, ad enfatizzare il successo della sua vita politica. Il gesto ha da sempre diviso gli storici: alcuni vi hanno infatti voluto vedere il genuino disinteresse della sua azione, e altri hanno invece insistito sulla volontà dell’anziano “tiranno” di trascorrere una vecchiaia godereccia (e perfino lasciva…) in Campania, dove comunque morì l’anno dopo. È ovviamente difficile una valutazione complessiva dell’evento, ma io penso che Silla ritenesse di avere creato un sistema politico quasi perfetto, di avere “oliato” i meccanismi della costituzione romana in modo tale che la vecchia nobilitas – che egli rappresentava – avrebbe mantenuto il potere senza troppa difficoltà anche senza di lui: e si sbagliò di grosso, perché il I secolo a.C. vide a Roma ben due altre guerre civili, quella tra Cesare e Pompeo e quella tra Ottaviano e Antonio.

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Lo stesso errore lo fece, in età imperiale avanzata, l’Augusto Diocleziano, tanto sicuro di sé da essersi appellato Iovius (“protetto da Giove”). Dopo avere creato un sistema di governo sulla carta perfetto, la tetrarchia, convinse infatti il suo collega Augusto d’Occidente, Massimiano ad abdicare  insieme con lui nel 305 d.C., unico caso nella storia dell’impero: tanto i loro Cesari Costanzo Cloro e Galerio li avrebbero degnamente sostituiti, creando a loro volta altri Cesari. Ma, si sa, gli appetiti verso il potere stimolano gli istinti peggiori e alla morte precoce di Costanzo (nel 306 d.C.) si scatenò una furibonda guerra civile; una guerra tanto complessa che lo stesso Diocleziano – dal palazzo di Spalato dove dimorava – venne più volte, ma invano, richiamato nella “mischia” della politica.
Insomma, Silla e Diocleziano, fiduciosi in un sistema che proprio loro avevano creato, si dimisero lasciando Roma “orfana” delle loro figure di garanti e priva di quelle leadership che essi – soli – incarnavano in quegli anni davanti alla pubblica opinione. E il vuoto da loro lasciato fu – come si diceva – colmato prima da discordie civili, poi da veri e propri mutamenti istituzionali: l’impero di Augusto, nel primo caso, e il “cesaropapismo” di Costantino, nel secondo.

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È ovvio che il discorso deve finire qui, e qui è finito anche nella mia breve conversazione in classe (che, anzi, è stata assai più light), poiché non si può (non si deve, da parte di uno storico…) paragonare sensatamente papa Benedetto XVI a Silla o a Diocleziano; eppure anche le sue dimissioni – evento che ha scosso l’umanità – sono a mio avviso un segno di fiducia nell’istituzione, in quella Chiesa (la “barca di Pietro”) che non lui, ma una millenaria tradizione ha costruito così. Di grande fiducia nella Chiesa come virtuale “Città di Dio”, ma – temo – di profonda sfiducia negli uomini a lui più vicini, dei quali il vecchio papa ha forse temuto di diventare col tempo debole ostaggio: come capita, nella vita, un po’ a tutti gli anziani…
Eppure non sarà facile per il nuovo pontefice sapere che abita a pochi metri da lui il precedente detentore dell’anello piscatorio: un po’ come per chi ha governato dopo Silla e Diocleziano, che si doveva confrontare non con un mito lontano ma con un’ingombrante presenza in carne ed ossa. E speriamo che nessuno debba chiedere mai al professor Joseph Ratzinger di tornare nella “mischia”, come accadde a Diocleziano: vorrebbe dire che la “barca di Pietro” sarebbe davvero in mezzo alla tempesta, colpita da fulmini come quello che l’11 febbraio 2013 si è abbattuto – non solo metaforicamente – sul Cupolone.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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