Società

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Oggi la riflessione antropologica sul concetto di cultura consiglia di andare oltre la prospettiva multiculturale: è necessario infatti non solo accettare le diversità ma anche confrontarsi con esse

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Si deve a un sociologo neozelandese, David Thompson, il più duro atto d’accusa al principio dei diritti acquisiti. Infatti, se si ragiona in termini di generazioni, e non di singoli individui, essi diventano assurdi privilegi concessi solo a una parte della popolazione, la più anziana.

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La riflessione sull’equità fra generazioni dovrebbe essere particolarmente sviluppata in Italia: l’enormità del nostro debito pubblico, infatti, costringe i giovani a pagare i debiti contratti dai propri genitori. Ma questi rispondono d’averli mantenuti, in cambio, come “bamboccioni”. Abbiamo chiesto a un economista se è possibile stabilire chi ha dato e chi ha avuto di più.

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Le scorie radioattive rimarranno pericolose per i prossimi 10.000 anni. Come spiegarlo ai nostri lontani pronipoti così che non si avvicinino ai depositi? Quali segni usare per comunicare con loro? Non certo quelli linguistici, data la nostra difficoltà a capire le antiche lingue, che non hanno più di 5.000 anni. Il problema, ancora irrisolto, è stato affrontato da un celebre semiotico americano, Thomas Sebeok, con un’idea molto originale.

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Secondo Hans Jonas la responsabilità verso il futuro implica una “euristica della paura”. È più facile distruggere che costruire e la capacità di prevedere a lungo termine gli effetti delle nostre scelte è molto scarsa. Ma come può progredire una società che assume la paura come orizzonte?

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Di che cosa ogni generazione deve ritenersi responsabile? Del benessere di quella seguente, certo, perché la cura dei figli costituisce una dimensione umana insopprimibile. Ma di quelle ulteriori? Dobbiamo cercare di prevedere anche le esigenze dei nostri posteri, nipoti e pronipoti che vivranno in un mondo che oggi possiamo solo vagamente immaginare? È stato il filosofo tedesco Hans Jonas il primo a prendere in seria considerazione questo problema...

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“Non fidarti di nessuno che abbia superato i trent’anni”, suggeriva uno slogan in voga durante le ribellioni giovanili degli anni Sessanta e Settanta. Il contrasto generazionale consisteva in questi decenni in una rivolta contro gli anziani e i genitori, espressione di un autoritarismo che si voleva allora combattere nella società, nella scuola e nella famiglia.

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Il tema del contrasto fra le generazioni è prettamente moderno. Se ne discute da non più di una generazione e da allora ha assunto significati sempre diversi di decennio in decennio. Dalla dimensione culturale delle ribellioni giovanili degli anni Sessanta siamo passati oggi alle più concrete questioni dell’equità economica e sociale.

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