Incoerenza, ruoli rigidi e l’asta di un dollaro

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Poniamo vi siano dei gruppi politici contrapposti che si confrontano in tempo elettorale, enunciando programmi e formulando promesse.

Poniamo vi siano dei gruppi politici contrapposti che si confrontano in tempo elettorale, enunciando programmi e formulando promesse. Può capitare, lo dico naturalmente come ipotesi d’accademia, che in seguito al voto, nessuno di essi sia in grado di svolgere da solo un’attività di governo, non avendo raggiunto la maggioranza.

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La situazione che si prefigura a questo punto è, per ciascuno, dilemmatica: o giungere a compromessi, agendo cooperativamente, e però così prestare il fianco all’accusa d’incoerenza, ovvero andare per la propria strada, rinunciando all’opportunità-dovere di offrire al proprio paese la governabilità. In entrambi i casi, l’esito costituisce una perdita per la reputazione del gruppo. Quest’ultima però, in ambito politico, è fondamentale per la sussistenza del gruppo stesso (a maggior ragione in un sistema con più gruppi in competizione).
Se una classe politica fosse posta di fronte a una situazione oggettivamente drammatica, il compromesso tra inconciliabili ideologici non sarebbe avvertito come riprovevole, né dai gruppi, né dall’opinione pubblica. Ciò avvenne in sostanza nel caso del compromesso storico ed è espresso, nella sua forma generale per quanto riguarda la politica di uno stato, dal concetto di governo di unità nazionale. Quando però non viene avvertito dalle parti in campo il darsi di un pericolo incombente (perché effettivamente non c’è o, semplicemente, perché le parti non lo avvertono), allora questo meccanismo non scatta e i gruppi devono scegliere uno dei corni del dilemma.
Ci sono ovviamente motivi banali e ragionevoli per non cooperare: quando si sa che collettivamente non può venirne nulla di buono (e magari vi sono vantaggi individuali a non cooperare), o magari quando si sa che ne può venire solo un male per tutti e per ciascuno. La cosa che però dà da pensare è che a volte non si coopera, anche sapendo che ne potrebbe nascere qualcosa di buono, o peggio quando se ne è convinti. Quali siano i meccanismi dei gruppi che spingono a questo esito è un tema di grande interesse, oggetto dello studio delle scienze sociali. Vorrei presentarne di seguito tre, senza alcuna pretesa di esaustività.
Una forte spinta a non cooperare dipende dal timore dell’accusa di incoerenza. Potrebbe darsi che la cooperazione sia fruttuosa, ma i vantaggi di essa non tali da coprire il discredito derivato dal fatto di essere stati incoerenti. Se si è stati incoerenti, come si può sperare di ottenere mandato di rappresentanza da qualcuno che perciò si è sentito tradito? Perché egli dovrebbe dare fiducia a colui che quella fiducia ha già tradito? Con quale credibilità chiedere nuovamente la fiducia all’elettore? L’incoerenza genere perciò sfiducia, la sfiducia allontana l’elettorato e il corpo politico paga il conto della propria disponibilità al compromesso, alla cooperazione. Naturalmente potrebbe succedere che i vantaggi della cooperazione, risultino così evidenti all’elettorato, da far sì che questi capisca e perdoni le sofferte ragioni dell’incoerenza. Si tratta però di un rischio.
Un’altra spinta a non cooperare può dipendere dal modo di intendere il mandato. Se il meccanismo di elezione del rappresentante è troppo rigido, colui che rappresenta ha mandato per realizzare solo il contenuto affidatogli e perciò non ha libertà di manovra. Questo è il motivo per cui le forme di democrazia rappresentativa occidentale oggi in vigore lasciano un notevole spazio di manovra all’eletto. Ridiscutere questo punto, proponendo un sistema di rappresentanza rigido, anziché favorire la mediazione politica, porta a sclerotizzare le decisioni alle posizioni preliminari e la politica, da luogo del compromesso, si tramuta in confronto tra posizioni rigide perché vincolate al mandato. L’assetto rigido qui non sarebbe una scelta strategica, presa per ragioni di opportunità dettate dalle circostanze, ma la risultante di un modo di concepire il rapporto di rappresentanza. Esso sarebbe una condizione strutturale, esito del meccanismo di rappresentanza in atto. Il contenuto del mandato, infatti non consisterebbe in una richiesta di realizzare gli interessi generali del mandatario, ma di realizzare alcuni contenuti specifici a esso affidati, senza che questi abbia spazio di manovra. Se il mandato originario perciò non prevedeva alcuna possibilità di compromesso, questo meccanismo non può, per ragioni strutturali, portare al compromesso. Per uscirne, si potrebbe decidere per l’incoerenza e così questa tipologia, mutata, rientrerebbe nel primo caso discusso.
Una terza spinta a non cooperare nasce dal principio “ho investito troppo per mollare”. Esso è illustrato dal gioco dell’asta di un dollaro. Esso è piuttosto semplice: viene messo all’asta un dollaro, base d’asta un cent. Vi è la regola che il banditore trattiene anche la seconda migliore offerta. Col procedere del gioco, si capisce presto la convenienza dell’asta per il banditore: essa si manifesta quando la somma complessiva delle due migliori offerte supera il dollaro. Durante il gioco a un certo punto succede qualcosa di strano: qualcuno comincia a offrire più di un dollaro per vincere un dollaro. Ciò a ben pensarci è perfettamente razionale, dato che quando si arriva a offrire 99 cent e si perderebbe in seguito a una offerta di un dollaro, si preferisce non perdere i 99 cent e, offrendo un dollaro e un cent, si perde solo 1 cent. Gli studiosi hanno mostrato che durante il gioco si instaurano meccanismi di competizione, che si svolgono attraverso gare al rilancio, che portano in media alla vendita del dollaro a più di tre dollari (consiglio al riguardo la lettura del bel Calcoli morali). In ambito politico questo meccanismo si verifica quando una parte comincia a capire che non mollando, ci perderà, ma che al contempo sia ridurrà i propri danni, sia probabilmente massimizzerà il danno per la controparte. Ne segue un gioco al massacro in cui i partecipanti perdono più di quanto avrebbero perso se si fossero fermati prima. Mentre nel gioco dell’asta del dollaro almeno il banco vince, può succedere che nella lotta politica si giochi senza banco, così che tutti i partecipanti perdano.
Per uscire da questi tre meccanismi, ammesso che la situazione non forzi a scelte di governo di unità nazionale, le strategie migliori vanno dunque cercate facendo leva sulla fiducia nella comprensione da parte dell’elettorato, sull’adozione di meccanismi di rappresentanza non rigidi e sulla rinuncia a strategie cocciute, non competitive, che massimizzino i danni altrui, costringendo a pagarne in proprio di elevati: nel linguaggio di un tempo, tutto questo (e molto altro ancora) si sintetizzava nell’espressione: “agire per il bene comune”.

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