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Filosofia

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Mi sento come quell’uomo che, da anni per mare e senza approdo, scorge una rondine che porta un ramoscello, segnale della prossimità della terra ferma. Dopo il rigido inverno di un pensiero teoretico cullato dalla povertà speculativa delle esegesi dei classici e dalle finte battaglie dialettiche tra pensatori che, in fondo, la pensano allo stesso modo, compare una rondine.
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Nel 2003 è uscito, a cura di Marco Bersanelli e Mario Gargantini, un volume dedicato allo stupore individuato come ciò che è all’origine della scienza. Il titolo del volume è tanto suggestivo quanto, a mio parere, infelice: Solo lo stupore conosce. Come spiegato dai curatori nell’introduzione, l’espressione è da loro ripresa da Gregorio di Nissa.
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La meraviglia, se nasce, nasce sempre quando ci colpisce “qualcosa” di imprevisto, provocando in noi un cambiamento. Abbiamo allora questa sequenza: soggetto A: imprevisto, meraviglia; soggetto B: cioè lo stesso soggetto cambiato sotto un certo profilo. Tra A e B ci sono i fattori che determinano il passaggio.
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L'articolo di Piras Abolire la storia della filosofia è un estratto dell’intervento presentato a Trento nel novembre 2012 e raccolto negli atti del Convegno Cosa insegnare a scuola, cui è seguito un dibattito molto ricco. Vorrei segnalare qui il dibattito e offrire una sintesi del testo, che mi riservo di discutere prossimamente. Il titolo del presente intervento, ad ogni modo, anticipa qualcosa del mio giudizio.
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La filosofia ha tante cose importanti e urgenti da dire.
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Un commento all'articolo di Gian Paolo Terravecchia "E se fosse la filosofia a causare la meraviglia?".
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Il passo in cui Aristotele asserisce che la filosofia nasce dalla meraviglia è celeberrimo: “Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia”.
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Il dibattito sul relativismo, che si è incrociato con quello sul realismo, ha a che fare con muri e porte “là fuori” che non dipendono dalla coscienza e che pongono limiti all’interpretazione. Nessuna interpretazione infatti mi consentirà di attraversare un muro e, del resto, se ci provo, finirò col farmi male: mi scontrerò con lo “zoccolo duro dell’essere”, come ammonisce enfaticamente Eco.
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A Piras va riconosciuto il merito di aver lanciato con coraggio un dibattito fecondo che provoca il docente di filosofia a ripensare il senso della propria attività didattica ed educativa e spinge a valutare il nuovo, rilanciando l’eterno quesito sul perché fare e perché fare così e, soprattutto, come fare domani.
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”Vedere qualcosa come arte richiede qualcosa che l’occhio non può cogliere – un’atmosfera di teoria artistica, una conoscenza della storia dell’arte: un mondo dell’arte”. Un ricordo di Arthur C. Danto.

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