Filosofia e assertività: qualcosa è cambiato

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In Italia, dopo decenni di pensiero debole, di pensiero laterale, di dibattito pubblico le cui parole d’ordine sono state: “assenza di fondamenti”, “dubbio”, “leggerezza”, “ironia”, “lotta alla metafisica arrogante”, “decostruzione”, dopo aver per anni fluttuato tra giochi linguistici wittgensteiniani, ermeneutiche senza verità, metafisiche heideggeriane cui manca il linguaggio, finalmente, quasi inaspettatamente, qualcosa è cambiato.

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Ciò non già nella direzione dell’arroganza, della pesantezza o della presuntuosa saccenza, quasi fossero le uniche alternative all’ironia liberale debolista. L’icona di un certo stile in filosofia, diffuso negli ultimi decenni, era il celeberrimo quadro di Munch, L’Urlo, immagine di un reale privo di spigolosità e però anche di appigli, illustrazione di un’esperienza di disagio che riassorbe, risucchia nel dramma del protagonista, il contorno, cioè tutto. Ora invece, mi scopro qui ad annunciare che c’è traccia di qualcosa di fermo.

Mi sento come quell’uomo che, da anni per mare e senza approdo, scorge una rondine che porta un ramoscello. Egli si rende conto che essa, inconsapevolmente, annuncia la prossimità della terra ferma. Vi è, insomma, qualcosa che prima non c’era, si avverte nell’aria un clima nuovo, frizzante, che infonde speranza. Dopo il rigido inverno di un pensiero teoretico cullato dalla povertà speculativa delle esegesi dei classici e dalle finte battaglie dialettiche tra pensatori che, in fondo, la pensano allo stesso modo, compare una rondine. Si tratta del libro di Franca D’Agostini, Realismo? Una questione non controversa. Che l’operazione “assertività” compiuta dall’autrice, quella disponibilità a sferrare un pugno teoretico, abbia richiesto coraggio e che costituisca una novità lo si vede dalla stessa esigenza di giustificarsi avvertita dall’allieva di Gianni Vattimo. Si tratta di uno scrupolo che, per fare un esempio, a Nietzsche non sarebbe mai venuto: questi faceva roteare martelli, scioglieva nell’acido i concetti, figurarsi se si impressionava per un pugno! D’Agostini però è figlia di un altro tempo, è cresciuta in un’epoca in cui la forza di un pugno può spaventare i cantori del debole, può gettare nell’ansia i cultori del laterale. Il fatto che lei senta l’esigenza di giustificarsi mostra che il postmoderno sarà forse in agonia come corrente (p. 78), ma ha lasciato una forte impronta di sé nella cultura attuale e in ciò esso è quanto mai vivo e vitale.

Ma vediamo il testo. Nelle fasi introduttive del libro, l’autrice formula le proprie tesi di fondo: “1. esistono fatti; 2. c’è una sola descrizione vera dei fatti; 3. a volte possiamo formulare e valutare descrizioni vere dei fatti” (p. 26). Subito dopo, in una bella pagina che merita di essere letta, quasi sussultando al bisbiglio accusatorio del maestro di un tempo, D’Agostini scrive: “Direbbe qualcuno: stai adottando la soluzione da “lettere maiuscole”, o da “pugni sul tavolo” (nel senso di: le cose stanno COSÌ! – pugno sul tavolo)”. In omaggio a coloro che sono ipersensibili all’esibizione dell’energia muscolare, perciò D’Agostini educatamente argomenta: ci sono almeno quattro buoni motivi per essere assertivi. I pugni sul tavolo, in filosofia teoretica, non fanno male a nessuno. Inoltre, se essi sono il frutto di un lungo lavoro, sferrarli è onesto: starà agli altri valutare e, anzi, il fatto di doversi misurare con tanta schiettezza renderà loro più facile il compito. Detto altrimenti, l’autrice ci mostra che si può essere assertivi senza essere arroganti. In secondo luogo, si può essere risoluti senza essere dogmatici come sarebbe se, per esempio, si assumesse delle asserzioni senza giustificarle. In terzo luogo, sostiene l’autrice, chi rifiuta l’approccio assertivo o “non ha le idee chiare su che cosa sia e come sia fatta la filosofia” (p. 27), oppure “sta spacciando per filosofia la sua personale e profondissima avversione per la filosofia stessa”, oppure ancora “sta nascondendo il fatto che a ben guardare non ha niente di rilevante da dire sul tema in questione” (ivi). Come quarto punto, D’Agostini scarica la forza dell’assertività delle sue tesi sul linguaggio stesso: senza le tesi del realismo, non c’è scienza, né filosofia, né la possibilità di una vita sociale che possa mirare alla giustizia, alla libertà e al benessere. Con Spinoza, D’Agostini scrive che contro l’ignoranza che sale in cattedra e si spaccia per sapienza, e da questa cattedra vinta con il nulla reprime il linguaggio e il pensiero si oppone il “potere” dei concetti.

Insomma, domani discuteremo le tesi di D’Agostini, ci interrogheremo sul suo nuovissimo realismo, impareremo dalle sue critiche ai nuovi realisti, godremo e problematizzeremo le sue genealogie ed esprimeremo turbamento per i suoi ignobili anglismi. Oggi è tempo di celebrare il fatto che non siamo lontani da terra!

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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