Da P.I.S.A. a Shanghai

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Le classifiche compilate dall’OCSE dei livelli di competenza raggiunti dagli studenti dei vari paesi nei vari ordini di scuola e nelle varie discipline (matematica, scienze, alfabetizzazione linguistica, alfabetizzazione finanziaria, ecc. ecc.) hanno gettato nello sconforto molte autorità scolastiche di molti paesi, compresa l’Italia. In cima alla classifica, sempre e sistematicamente, la Cina e Shanghai.

L’Italia in genere se l’è cavata maluccio (sotto la media in matematica, capacità di lettura, scienze, rispetto ai 65 paesi che hanno partecipato nel 2012) e ha dimostrato solo qualche capacità di progresso nel corso degli ultimi anni (anzi, in qualche caso, di regresso).

Lo sconforto ha particolarmente colpito il presidente Obama e il suo brillante sottosegretario all’educazione Arne Duncan. Duncan è stato assai attivo e pieno di progetti e buone intenzioni, ma negli Stati Uniti, come è noto, non esiste un ministero della pubblica istruzione, non esiste l’obbligo scolastico, scuole e programmi sono affidati ai singoli Stati e alle singole scuole, fra cui molte sono private, e nonostante che il paese possa vantare una tradizione di grandissimi studiosi dei problemi dell’educazione, da John Dewey a Jerome Bruner, il livello dei risultati è nell’insieme assai basso; ci sono molte scuole mediocri e in altre, spesso di élite anche quando sono pubbliche come in Stati come la California, la competizione può essere feroce e ci sono scuole medie inferiori dove, in un solo semestre, su una popolazione di 1000 studenti si sono avuti tredici suicidi, a causa dell’eccessiva pressione da parte degli insegnanti, desiderosi di figurare bene nelle classifiche nazionali.

Il sottosegretario Duncan ha fortemente sostenuto un programma di testing on-line per misurare i risultati scolastici dei ragazzi americani e migliorarne i livelli, e quindi per renderli competitivi nelle classifiche OCSE e rispetto alla Cina. Il programma era stato iniziato I risultati in matematica di Shanghai, primi nel mondo, pongono la città cinese due anni di studio avanti rispetto agli studenti americani del Massachusetts, che sono i migliori nel loro paese. dall’amministrazione Bush nel 2001 con il nome No Children Left Behind (Nessun bambino lasciato indietro) e ripreso e incrementato nel 2009 dall’amministrazione Obama con il nome Race to the Top (corsa alla cima). Uno dei motivi che ha spinto i politici del governo federale americano ad affrontare il problema è stato proprio lo spirito di emulazione con i paesi che superano alla grande nelle classifiche OCSE i risultati statunitensi (gli USA sono sotto la media mondiale in matematica, un pochino meglio in lettura e scienze; i risultati in matematica di Shanghai, primi nel mondo, pongono la città cinese due anni di studio avanti rispetto agli studenti americani del Massachusetts, che sono i migliori nel loro paese).

Ora arriva, per opporsi a questo diffuso stato di scoraggiamento e a mettere in discussione sia la logica delle classificazioni OCSE sia la filosofia dell’educazione praticata in Cina, il libro di un autore cinese-americano, Yong Zhao, intitolato Who’s afraid of the Big Bad Dragon? Why China Has the Best (and Worst) Education System in the World [Chi ha paura del drago grosso e cattivo? Perché la Cina ha il migliore (e il peggiore) sistema educativo nel mondo, San Francisco, Jossey-Bass, 2014].

L’autore è un professore che nell’Università dell’Oregon dirige l’«Istituto per l’educazione globale». Nato e cresciuto in Cina, nella provincia di Sichuan (la cui popolazione è composta da 53 etnie, fra cui la minoranza tibetana e quella Yi), ha insegnato inglese nel suo paese per sei anni, prima di trasferirsi in America. Ha scritto numerosi libri, ha insegnato in Australia, è l’inventore di un premiato video-game, che si chiama ZON e aiuta a imparare il Mandarino divertendosi.

Secondo Zhao, gli straordinari risultati nelle classificazioni OCSE del sistema educativo cinese si spiegano con gerarchia e competizione. Il nuovo libro richiederebbe una lunga recensione, perché descrive minutamente e dall’interno filosofia e pratiche del sistema educativo cinese. La tesi principale, a cui qui posso solo accennare, è che il sistema elitistico, gerarchico e fortemente competitivo della scuola cinese, ispirato alla tradizione confuciana, resta dominante nel paese. Esso è decisamente in contrasto con la tradizione della pedagogia europea e americana – quella dei vari Montessori, Dewey e Bruner e di centri di apprendimento collaborativo e aperto di tante scuole e collegi sparsi nell’America, come il mitico Bennington nel Vermont, che aveva avuto Dewey fra gli ispiratori. Mi soffermo solo su ciò che, secondo Zhao, spiega gli straordinari risultati nelle classificazioni OCSE del sistema educativo cinese: gerarchia e competizione.

  •  Studenti cinesi, fonte: Telegraph, foto Alamy Studenti cinesi, fonte: Telegraph, foto Alamy
  •  Yong Zhao Yong Zhao
  •  Chi ha paura del grande e brutto drago? Chi ha paura del drago grosso e cattivo?

«La Cina – sostiene Zhao – dà un ordine gerarchico a ogni aspetto della vita». Egli ricorda la scala gerarchica che caratterizza il governo politico del paese, nonostante l’ideologia egualitaria comunista. Ci sono criteri socialmente riconosciuti e imposti dalle autorità governative che informano ogni struttura, anche piccola, di potere e ne misurano i relativi valori. Per esempio, i leader nazionali cinesi siedono in cima a una piramide stratificata in cui il premier sta sopra ai vice-premier e questi stanno sopra i ministri e i governatori delle province, i quali stanno sopra i viceministri e i vice-governatori e così via fino alla giunta che governa un villaggio; similmente le strutture gerarchiche che governano un’impresa o una fabbrica o le regole che segue ogni padrone di casa per sistemare gli ospiti a tavola. Gli studenti in una classe sono distribuiti in rigido ordine gerarchico: nei primi banchi quelli che hanno i voti più alti e sempre più indietro, nelle file dei banchi, gli Non c’è mai un meglio, solo il migliore, recita un eloquente detto popolare. altri. «Non c’è posizione che abbia il proprio valore intrinseco, onde il detto popolare: ‘non c’è mai un meglio, solo il migliore’». Gli studenti e le loro famiglie scelgono la scuola o il collegio a cui iscriversi in base alla posizione che quegli istituti hanno nelle classifiche nazionali e non in base ai corsi che offrono o alla loro corrispondenza con le loro aspirazioni e i loro interessi. E sono disposti a tutto e passano mesi e mesi a prepararsi per superare le durissime prove di ammissione.

In Cina si è passati fra il 1978 e il 2012 da 508 scuole d’istruzione superiore a 2100, il numero di studenti accettati è passato nello stesso torno di tempo da 400.000 a 7 milioni, la percentuale di studenti ammessi dal 6 per cento al 70 per cento. «Eppure la competizione per essere ammessi è diventata sempre più feroce, perché non basta essere ammessi in un collegio qualsiasi, bisogna poter frequentare quelli più famosi». Le scuole vengono classificate ufficialmente, in base ai risultati, sia a livello nazionale, sia a quello provinciale, sia a quello locale. Anche le singole classi vengono classificate e per nascondere la fredda realtà della loro collocazione in cima alla graduatoria vengono designate con nomi come «classe straordinaria», «classe razzo di velocità», «classe sperimentale». Gli studenti con buoni voti portano una sciarpa rossa, quelli con cattivi voti una sciarpa verde. Si arriva a concedere gratuitamente delle lezioni extra agli studenti con i risultati migliori e lezioni a pagamento a quelli che sono più indietro e devono cercare di far meglio («non c’è mai un meglio, solo il migliore»).

Conseguenze dello spirito feroce di competizione sono la forte e diffusa disuguaglianza fra gli studenti e le spinte fortissime a ottenere risultati misurabili, ma anche la tendenza a usare, per riuscire a ogni costo, pratiche scorrette e truffaldine. Zhao cita la dichiarazione fatta alla CNN dal preside di un istituto superiore di Shanghai a proposito degli straordinari risultati del sistema scolastico della sua città: «La mentalità ‘cane-mangia-cane’ e ‘il vincitore prende tutto’ diffusa nelle scuole cinesi non si limita a rendere gli studenti infelici e in cattiva salute – provoca anche truffe e corruzione e produce un sistema scolastico basato sulla disuguaglianza». Le famiglie più ricche sono disposte a tutto pur di ottenere, anche a pagamento, i professori migliori, lezioni supplementari (e classi speciali di inglese e matematica, campeggi estivi in America).

Anche in Cina si registra un numero alto di suicidi fra gli studenti che non riescono a ottenere i livelli richiesti dalla scala gerarchica. Secondo Zhao il risultato di tutto questo è una diffusa ideologia della competizione e del successo. «Gli studenti così imparano di più, ma cosa imparano e come lo imparano è assai problematico». Il discorso investe così l’organizzazione dei programmi, il sistema delle valutazioni, l’incentivo dei premi. Anche in Cina si registra un numero alto di suicidi fra gli studenti che non riescono a ottenere i livelli richiesti dalla scala gerarchica. «Gli incentivi a studiare sono tutti esterni e basati sulla classificazione basata sui risultati ottenuti nei test. L’obiettivo è semplicemente di far meglio degli altri nelle attività e compiti prescritti. La conseguenza può essere l’aver ottenuto complessivamente un punteggio alto nelle prove di matematica, scienze, lettura. Ma gli studenti in questo modo rinunciano alla possibilità di imparare in modo autentico arte, musica o scienze umane: discipline che il progetto P.I.S.A. non sottopone a valutazione. Inoltre, e qui Zhao cita di nuovo il preside della scuola di Shanghai, «gli incentivi del sistema non si limitano a rendere gli studenti stressati, solitari e infelici – essi uccidono anche l’innata curiosità degli studenti, la loro creatività e l’amore per il sapere».

Il libro di Zhao è pieno di esempi e aneddoti interessanti per capire la situazione del sistema scolastico cinese e le esperienze di quegli studenti travolti dallo spirito della competizione e resi spesso infelici. Esso offre motivi di riflessione anche per noi e spinge a ripensare, o a usare in modo meno rigido e meccanico, le classificazioni del programma P.I.S.A.

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Remo Ceserani

(Soresina, 1933 – Viareggio 2016), allievo di Mario Fubini a Milano, si è perfezionato alla Yale University con René Wellek. Ha insegnato a Bologna, Milano, Pisa, Genova e in università statunitensi e australiane. Si è occupato di teoria della letteratura, di letterature comparate del Rinascimento e dell’età moderna e di storia della critica. Tra i suoi scritti ricordiamo Raccontare la letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 1990, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino 1997, Guida allo studio della letteratura, Laterza, Roma-Bari 1999, Il testo narrativo: istruzioni per la lettura e l’interpretazione, il Mulino, Bologna 2005, con Andrea Bernardelli, Il testo poetico, il Mulino, Bologna 2005, Convergenze: gli strumenti letterari e le altre discipline, Bruno Mondadori, Milano 2010, La letteratura nell’età globale, il Mulino, Bologna 2012, con Giuliana Benvenuti, Treni di carta, Bollati Boringhieri, Torino 2002, L’occhio della medusa: fotografia e letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Ha fatto parte del comitato direttivo de «L’asino d’oro» e ha collaborato al «Giornale storico della letteratura italiana», a «Belfagor», a «L’Indice» e a «il manifesto».

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