
Il sistema dell’istruzione pubblica prevede che lo Stato indichi alle scuole autonome e a ogni insegnante i traguardi di apprendimento che ogni studente dovrebbe raggiungere alla fine dei diversi gradi e ordini scolastici. Per definire i traguardi, che vengono espressi in termini di competenze, lo Stato italiano cerca innanzitutto di tenere fede agli impegni presi con i Paesi membri dell’Unione Europea, che in materia di istruzione fanno riferimento al quadro delle competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento e dal Consiglio d’Europa nel 2006 e poi, in versione rivista e aggiornata, nel 2018. Inoltre, è fondamentale che il quadro generale venga calato nella realtà dei singoli Paesi e dei diversi sistemi di istruzioni e le cui regole e il cui funzionamento sono assai diversificati.
Il senso delle Indicazioni nazionali e della loro revisione
Per gli otto anni di obbligo scolastico previsti dalla Costituzione – cinque anni di scuola primaria e tre di secondaria di primo grado – in Italia sono attualmente in vigore le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo, emanate nel 2012. Si tratta di un documento che per la sua stessa funzione deve essere periodicamente rivisto e aggiornato, in modo da stare al passo con le richieste dell’Unione Europea e, in generale, per rispondere alle rinnovate esigenze delle persone che devono obbligatoriamente accedere alle scuole pubbliche.
In estrema sintesi, per rinnovare le Indicazioni nazionali1 e, quindi, fornire un adeguato supporto alle istituzioni scolastiche e al loro personale, è fondamentale conoscere il quadro normativo europeo e, soprattutto, essere in grado di descrivere e interpretare lo scenario sociale e culturale contemporaneo. È in questa prospettiva che andrebbero letti i risultati delle indagini condotte sulla scuola italiana e i tanti dati messi a disposizione da INVALSI, ISTAT, Censis, o da organismi internazionali come l’OCSE. Solo a partire dalla conoscenza approfondita dei problemi più urgenti e importanti, infatti, è possibile compiere scelte politiche ragionevoli, dettate innanzitutto dall’esigenza di dare un senso alla scuola pubblica dei Paesi democratici, la quale dovrebbe contribuire prioritariamente all’emancipazione dell’individuo e alla sua libera partecipazione alla vita associata.
Il rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese
Quest’anno il rapporto del Censis sulla situazione sociale dell’Italia ha dedicato un intero capitolo alla scuola. Il titolo, La fabbrica degli ignoranti, è rubato a un vecchio libro di Giovanni Floris, e intende lanciare un allarme sulla «condizione di ignoranza diffusa che caratterizza ormai il nostro Paese». A partire da una disinvolta elaborazione dei dati INVALSI, e ricorrendo alle informazioni raccolte da un’indagine autogestita, il Censis, si legge a pagina 21 del rapporto, intende evidenziare soprattutto la «inesorabile progressione delle percentuali di studenti che non raggiungono i traguardi di apprendimento prefissati, cioè che non comprendono i testi scritti e non sanno applicare la matematica per risolvere problemi e affrontare situazioni contingenti, come se, gradualmente, procedendo nel percorso scolastico, i meccanismi di apprendimento diventassero meno efficaci ed esclusivi». Sono dati a disposizione della cittadinanza, consultabili sul sito dell’INVALSI, che avrebbero bisogno di essere introdotti e commentati con una profondità che non è dato rilevare nel documento Censis (è certo, per esempio, che le prove INVALSI non indagano i risultati di apprendimento previsti dalla norma; semmai forniscono alcune informazioni sulle conoscenze e abilità linguistiche e matematiche della popolazione scolastica), ma che sono utili a indicare una direzione e a descrivere un possibile scenario per la scuola del futuro.
A questa sintesi si potrebbe aggiungere, sulla scorta della lettura delle prove
INVALSI fornita dello stesso ente, la disuguaglianza di opportunità di apprendimento nelle regioni del Mezzogiorno, laddove la capacità della scuola di attenuare l’effetto delle differenze socio-economico-culturali è notevolmente inferiore rispetto al resto del Paese.
Prendiamo per buono, dunque, che esista una sorta di «stato di ignoranza rispetto a conoscenze elementari, che dovrebbero far parte dell’ordinario bagaglio del cittadino del tempo presente, e lasciano prevedere una condizione di ignoranza diffusa anche nel prossimo futuro»: a partire dalla consapevolezza di questo problema, dovremmo individuare soluzioni didattiche adeguate alla sua risoluzione, andando a ridefinire meglio i traguardi di apprendimento e, soprattutto, presentando a scuole e a insegnanti una descrizione puntuale di una situazione che non dovrebbe lasciare indifferente il sistema di istruzione.
Altrettanto interesse dovremmo prestare al capitolo intitolato La guerra delle identità, in cui si mette in relazione la sostanziale immobilità sociale del Paese – «non si può più salire socialmente grazie alle capacità personali, all’impegno, al merito, allo studio e al lavoro» – con un «desiderio di riconoscimento» che può essere appagato «spostando la partita in un altro campo da gioco: quello della rivalità delle identità». «Rancore», «sovranismo psichico» e «irrazionalità crescente» sono i fenomeni che il Censis individua come tratti distintivi della società attuale, che sfociano in una diffusa «intolleranza per le alterità» che prelude alla progressiva frammentazione del corpo sociale. Anche in questo caso la scuola italiana potrebbe essere chiamata a fornire delle risposte, o quanto meno a tener conto, nel momento in cui ne vengono ridefiniti gli obiettivi, della specificità del problema. A meno che non si pensi che un contesto del genere sia ininfluente sui modi e sui fini dell’apprendimento e dell’insegnamento.
Dallo scenario alle Indicazioni
Ammettiamo, a titolo di esempio, che il rapporto Censis evidenzi dei problemi reali, che meritano di essere presi in considerazione da un’ipotetica commissione addetta alla stesura delle Indicazioni nazionali per la scuola del primo ciclo. Cosa si può fare, ovvero cosa si può scrivere, per introdurre cambiamenti che dovrebbero auspicabilmente migliorare la situazione? È possibile che la scuola incida più profondamente sul quella che viene definita competenza alfabetica funzionale, e che a livello europeo è descritta come «la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti»? Ed è possibile, attraverso il medesimo canale, prevenire i rischi di una possibile «guerra delle identità» che ridurrebbe ulteriormente le potenzialità del Paese e dei singoli individui che ne fanno parte?
Senza addentrarci in ulteriori approfondimenti sui livelli di alfabetizzazione funzionale rilevati dagli organismi internazionali, e tralasciando i numerosi studi che attestano la persistenza di bassi livelli di literacy in lettura, è fondamentale prendere le mosse da quanto già prevedono le Indicazioni nazionali attualmente in vigore, in modo da capire se siano più o meno adeguate o se vadano invece aggiornate e riviste.
La sezione dedicata all’Italiano si apre con queste parole introduttive, destinate a docenti di scuola primaria e secondaria di primo grado:
Lo sviluppo di competenze linguistiche ampie e sicure è una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della cittadinanza, per l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali e per il raggiungimento del successo scolastico in ogni settore di studio. Per realizzare queste finalità estese e trasversali, è necessario che l’apprendimento della lingua sia oggetto di specifiche attenzioni da parte di tutti i docenti, che in questa prospettiva coordineranno le loro attività.
Si tenga conto del fatto che la grande maggioranza delle scuole del primo ciclo sono ormai accorpate in Istituti Comprensivi, istituzioni scolastiche autonome che tengono insieme scuole dell’infanzia, scuole primarie e secondarie di primo grado di un quartiere o di un paese, e che coinvolgono docenti di diverse discipline in un processo educativo che dura almeno otto anni (ma sarebbe opportuno parlare di un ciclo di undici anni, riconoscendo la funzione fondamentale della scuola dell’infanzia). È naturale, e perfino auspicabile, rivolgersi a insegnanti che per consuetudine ricevono una formazione radicalmente diversa e che sono poco abituati a lavorare insieme alla progettazione di quello che viene chiamato curricolo verticale: un percorso di insegnamento e di apprendimento che dovrebbe prevedere una continuità tra i diversi gradi del primo ciclo scolastico. Si legge ancora a pagina 30 delle Indicazioni nazionali attualmente in vigore:
La complessità dell’educazione linguistica rende necessario che i docenti delle diverse discipline operino insieme e con l’insegnante di italiano per dare a tutti gli allievi l’opportunità di inserirsi adeguatamente nell’ambiente scolastico e nei percorsi di apprendimento, avendo come primo obiettivo il possesso della lingua di scolarizzazione.
Alcune brevi pagine in cui sono descritte puntualmente le caratteristiche della comunicazione orale, della lettura, della scrittura e dell’“Acquisizione ed espansione del lessico ricettivo e produttivo” e degli “Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua”, introducono agli elenchi di traguardi per lo sviluppo delle competenze della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali hanno un carattere prescrittivo. A titolo di indicazione e suggerimento per insegnanti, consigli di classe e colleghi dei docenti chiamati a progettare il curricolo delle loro scuole, sono poi elencati gli obiettivi di apprendimento della classe terza della primaria, della classe quinta e poi della classe terza della secondaria di primo grado.
Sempre a titolo di esempio si possono leggere di seguito i traguardi prescrittivi per la fine del primo ciclo:
-
- L’allievo interagisce in modo efficace in diverse situazioni comunicative, attraverso modalità dialogiche sempre rispettose delle idee degli altri; con ciò matura la consapevolezza che il dialogo, oltre a essere uno strumento comunicativo, ha anche un grande valore civile e lo utilizza per apprendere informazioni ed elaborare opinioni su problemi riguardanti vari ambiti culturali e sociali.
- Usa la comunicazione orale per collaborare con gli altri, ad esempio nella realizzazione di giochi o prodotti, nell’elaborazione di progetti e nella formulazione di giudizi su problemi riguardanti vari ambiti culturali e sociali.
- Ascolta e comprende testi di vario tipo “diretti” e “trasmessi” dai media, riconoscendone la fonte, il tema, le informazioni e la loro gerarchia, l’intenzione dell’emittente.
- Espone oralmente all’insegnante e ai compagni argomenti di studio e di ricerca, anche avvalendosi di supporti specifici (schemi, mappe, presentazioni al computer, ecc.).
- Usa manuali delle discipline o testi divulgativi (continui, non continui e misti) nelle attività di studio personali e collaborative, per ricercare, raccogliere e rielaborare dati, informazioni e concetti; costruisce sulla base di quanto letto testi o presentazioni con l’utilizzo di strumenti tradizionali e informatici.
- Legge testi letterari di vario tipo (narrativi, poetici, teatrali) e comincia a costruirne un’interpretazione, collaborando con compagni e insegnanti.
- Scrive correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo) adeguati a situazione, argomento, scopo, destinatario.
- Produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori.
- Comprende e usa in modo appropriato le parole del vocabolario di base (fondamentale; di alto uso; di alta disponibilità).
- Riconosce e usa termini specialistici in base ai campi di discorso.
- Adatta opportunamente i registri informale e formale in base alla situazione comunicativa e agli interlocutori, realizzando scelte lessicali adeguate.
- Riconosce il rapporto tra varietà linguistiche/lingue diverse (plurilinguismo) e il loro uso nello spazio geografico, sociale e comunicativo
- Padroneggia e applica in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; utilizza le conoscenze metalinguistiche per comprendere con maggior precisione i significati dei testi e per correggere i propri scritti.
Facciamo mente locale: si tratta di traguardi che sono prescrittivi già dal 2007, rinnovati nel 2012 e ancora validi per questo e il prossimo anno scolastico. Sono trascorsi diciotto anni dalla loro entrata in vigore e rappresentano il motivo fondamentale per cui ogni persona residente in Italia deve frequentare obbligatoriamente gli otto anni di scuola del primo ciclo. Cosa sappiamo su quanto siano effettivamente raggiunti? E su cosa si faccia nelle scuole italiane per conseguirli? Quali sono le tecniche didattiche più adeguate? E quanto sono preparate le persone addette al loro insegnamento?
Prendiamo, sempre a titolo di esempio, il terzo traguardo: «Ascolta e comprende testi di vario tipo “diretti” e “trasmessi” dai media, riconoscendone la fonte, il tema, le informazioni e la loro gerarchia, l’intenzione dell’emittente». In effetti le prove INVALSI, centrate come sono sulla comprensione della lettura di un testo scritto, non ci dicono molto sulla comprensione di testi orali, né tantomeno sui testi trasmessi dai media, che tuttavia hanno un ruolo decisivo nella vita quotidiana e sono sempre più rilevanti per la cultura contemporanea. Siamo sicuri che l’insegnante di Italiano della scuola secondaria abbia una preparazione adeguata al raggiungimento di questo risultato? E considerando che è uno dei tredici risultati che obbligatoriamente dovrebbero essere raggiunti, quanto tempo viene dedicato al suo sviluppo? E con quali metodi e tecniche didattiche? Non si tratta di domande retoriche, ma di questioni decisive per capire se e come procedere alla revisione di un testo scritto che potrebbe essere inadeguato, ridondante o comunque fuori fuoco rispetto:
- A) alle Raccomandazioni del Consiglio e del Parlamento dell’UE;
- B) alla specifica situazione e ai problemi strutturali del sistema dell’istruzione dell’Italia.
Soprattutto, dovremmo domandarci se questi tredici traguardi previsti per l’insegnamento di Italiano siano stati davvero perseguiti da scuole e insegnanti, e quanto siano state coinvolte, nel corso del tempo, le persone più interessate al loro conseguimento: studenti e loro familiari, che avrebbero dovuto essere al corrente – per l’Italiano come per le altre discipline – degli obblighi previsti dal sistema scolastico. Quante ore all’anno sono state dedicate all’obiettivo 8? E al 6? E in che modo?
Se dovessi muovere una critica a questo elenco, soprattutto tenendo conto delle difficoltà di comprensione della lettura evidenziate dalle prove INVALSI, direi che è troppo lungo e che mette sullo stesso piano competenze che potrebbero essere accorpate e semplificate, soprattutto per quel che riguarda la comprensione del lessico e i registri linguistici (9-13). Non sono tuttavia fuori fuoco rispetto alla finalità della competenza alfabetica funzionale così come è descritta dalla Raccomandazione dell’Unione Europea:
La competenza alfabetica funzionale indica la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Essa implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo.
Siamo sicuri che la mancata attuazione delle Indicazioni o comunque il mancato raggiungimento di livelli adeguati di questa competenza dipendano dalla scrittura delle Indicazioni? E che, dunque, per modificare la situazione della scuola, si debba scrivere qualcosa di radicalmente diverso nelle nuove Indicazioni? Io personalmente sarei più chiaro nel dire che l’insegnamento di Italiano contribuisce anche allo sviluppo di competenze digitali, come risulta evidente da alcuni risultati (4 e 8) e, anche, alle competenze sociali (1 e 2), e aggiungerei un riferimento esplicito al ruolo di questa disciplina per lo sviluppo dell’ottava delle competenze chiave dell’UE, Espressione e consapevolezza culturale, ma questa sarebbe davvero un’altra storia.
La competenza alfabetica funzionale nelle nuove Indicazioni nazionali
Le nuove Indicazioni nazionali, presentate al pubblico a marzo di quest’anno in una bozza, sono state elaborate da una Commissione nazionale completamente rinnovata rispetto alla precedente. La presidente della Commissione, la pedagogista Loredana Perla, e uno dei suoi membri più noti, il giornalista e storico Ernesto Galli della Loggia, hanno d’altronde definito «scervellati» gli estensori delle precedenti Indicazioni, e hanno dunque scelto di cambiare quel che potevano, pur rimanendo ancorati, almeno formalmente, al quadro normativo europeo.
Vediamo intanto la definizione di Competenza alfabetica funzionale fornita nel profilo dello studente in uscita dal primo ciclo di istruzione:
Creare, esprimere e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale che scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta).
Comprendere i punti chiave di un discorso complesso, riguardo sia temi concreti sia astratti, integrando con argomentazioni sulla base di quanto è noto.
Interagire adeguatamente e in modo creativo utilizzando materiali visivi, sonori e digitali e in vari contesti culturali e sociali quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero.
Rispetto al profilo valido ancora per questo anno scolastico si tratta di una formulazione nuova, più articolata e forse meno comprensibile. Questo è ciò che si legge nelle Indicazioni del 2012:
Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da consentirgli di comprendere enunciati e testi di una certa complessità, di esprimere le proprie idee, di adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni.
E questo è invece ciò che si legge nel nuovo modello di certificazione delle competenze emanato dallo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito con DM 14 del 20 gennaio 2024:
Competenza alfabetica funzionale: Padroneggiare la lingua di scolarizzazione in modo da comprendere enunciati di una certa complessità, esprimere le proprie idee, adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni.
Non si capisce il motivo di cambiare rispetto a quest’ultima definizione, a meno che non si intenda modificare di nuovo un modello appena entrato in vigore. Inoltre, si nota che la definizione adottata delle nuove Indicazioni ricalca in gran parte quella fornita dalla Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018, laddove si legge che:
La competenza alfabetica funzionale indica la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Essa implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo.
Si noti la scomparsa, nelle Indicazioni nazionali in via di rinnovamento, di quest’ultimo paragrafo, laddove si fa riferimento alla capacità di comunicare e relazionarsi in modo opportuno e creativo, sostituito da una frase macchinosa sulla comprensione dei «punti chiave di un discorso complesso, riguardo sia temi concreti sia astratti, integrando con argomentazioni sulla base di quanto noto». Non è chiaro chi debba integrare cosa e dove, rimarrebbe da definire il significato dell’espressione «discorso complesso», la cui vaghezza stona con le altre prescrizioni.
Il processo logico che stiamo seguendo prevederebbe che, una volta definito il profilo in uscita, si provveda a individuare il contributo delle singole discipline alle diverse competenze individuate, senza dare per scontato che a ogni competenza corrisponda una disciplina. Si noti, infatti, che la scuola italiana prevede che allo sviluppo delle otto competenze chiave previste dal profilo contribuiscano almeno undici materie, a cui si aggiungono il Latino per l’educazione linguistica (opzionale) e lo Strumento musicale (solo per le scuole secondarie a indirizzo musicale). Ma per rimanere all’Italiano, in che modo l’insegnante dovrebbe contribuire al conseguimento di quanto previsto dal profilo in uscita? Quali sono i traguardi previsti dalla propria disciplina? La loro definizione, che è considerata prescrittiva, dovrebbe servire a prendere meglio la mira e a ragionare sul rapporto tra saperi disciplinari, approcci didattici e risultati attesi da ogni insegnamento.
Secondo le nuove Indicazioni, dunque, la disciplina Italiano dovrebbe dare il suo contributo attraverso una lunghissima lista di «Competenze attese» e di «Obiettivi specifici di apprendimento» da conseguire alla fine della classe terza. Rispetto alle Indicazioni del 2012, si noti l’insistenza pressoché esclusiva sulla dimensione linguistica e sulla scrittura:
Competenze attese
-
- Comprendere. [1] Possedere la lingua in maniera tale da comprendere testi anche complessi; [2] essere in grado di gerarchizzare le informazioni che essi trasmettono e di cogliere l’intenzione dell’emittente.
- Ordinare le conoscenze. [3] Saper confrontare informazioni ricavabili da più fonti, selezionando quelle ritenute più significative; [4] riformulare in modo sintetico le informazioni selezionate e riorganizzarle in modo personale (liste di argomenti, riassunti, schemi, mappe, tabelle).
- Riconoscere i tipi testuali. [5] Imparare a riconoscere le caratteristiche dei principali tipi testuali (narrativi, descrittivi, regolativi, espositivi, argomentativi).
- Leggere e interpretare la letteratura. [6] Saper leggere autonomamente testi complessi, anche in forma integrale, comprendendo ciò che essi vogliono comunicare: raccontare una storia; descrivere una situazione, un carattere, un oggetto; comunicare un sentimento; dare un’informazione.
- Scrivere, rielaborare, riassumere. [7] Saper scrivere in maniera corretta testi ‘liberi’ oppure testi che prendano spunto da fonti saggistiche, letterarie, figurative, musicali, audiovisive; [8] descrivere una situazione, un carattere, un oggetto, un luogo in maniera appropriata; [9] saper riassumere un testo producendo un elaborato corretto ortograficamente e curato nella veste grafica.
- Adoperare i testi. [10] Saper parlare con gli altri di un testo dopo averlo letto, non solo mettendolo in relazione con la propria esperienza di vita ma anche apprezzandone l’apertura nei confronti del mondo, delle esperienze altrui, delle culture diverse dalla propria.
Obiettivi specifici di apprendimento
-
- Il lessico. [1] Conoscere le principali relazioni fra significati delle parole (sinonimia, opposizione, inclusione); [2] conoscere l’organizzazione del lessico in famiglie lessicali.
- La frase e la sua struttura. [3] Saper riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase, almeno fino a un primo grado di subordinazione; [4] trasformare le frasi in interrogative, dirette e indirette, e il discorso diretto in indiretto (e viceversa); [5] riconoscere le parti del discorso, i connettivi sintattici e testuali, i segni interpuntivi e la loro funzione; [6] saper riflettere sui propri errori tipici e sugli errori comuni, segnalati dall’insegnante, allo scopo di imparare ad autocorreggerli nella produzione scritta.
- Ascoltare, rielaborare, parlare. [7] Saper riconoscere, all’ascolto, gli elementi sonori caratteristici dei testi poetici; [8] essere in grado di prendere appunti durante una lezione o una relazione, ed essere poi in grado di rielaborare questi appunti in una forma discorsiva corretta; [9] saper raccontare oralmente esperienze personali o fatti noti, selezionando informazioni significative in base allo scopo, ordinandole in base a un criterio logico-cronologico, esplicitandole in modo chiaro adoperando un registro adeguato all’argomento e alla situazione; [10] saper intervenire in una discussione rispettando tempi e turni di parola, tenendo conto del destinatario ed eventualmente riformulando il proprio punto di vista alla luce delle reazioni degli interlocutori.
- Leggere, interpretare. [11] Saper leggere ad alta voce in modo espressivo testi noti, adoperando l’intonazione e le pause in maniera tale da permettere a chi ascolta di capire; [12] saper leggere silenziosamente testi di varia natura e provenienza adottando semplici tecniche di aiuto alla comprensione (sottolineature, note a margine, appunti); [13] saper ricavare informazioni da un testo per documentarsi su uno specifico argomento; [14] essere in grado di confrontare, su un medesimo argomento, informazioni ricavabili da più fonti, selezionando quelle ritenute più significative; [15] essere in grado di comprendere testi letterari di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie), letti per brani ma anche integralmente, e di riflettere sulle caratteristiche dei vari personaggi, sull’ambientazione spaziale e temporale, sul genere cui appartiene il testo e sulle tecniche impiegate dall’autore.
- Scrivere. [16] Saper organizzare le informazioni su un dato argomento in liste, mappe, scalette; [17] rispettare le convenzioni grafiche correnti nella redazione di testi scritti (rispetto dei margini, dell’impaginazione, dei titoli); [18] saper scrivere testi argomentativi e creativi in maniera corretta sotto il profilo ortografico, morfosintattico e lessicale, adoperando sia carta e penna sia i programmi di videoscrittura; [19] saper riassumere per iscritto un testo argomentativo o creativo di media lunghezza, per esempio un articolo di giornale; [20] saper adoperare, nei propri testi, parti di testi prodotti da altri sotto forma di citazione esplicita o di parafrasi.
- Analizzare. [21] Maturare la capacità di riconoscere le caratteristiche dei diversi generi letterari e le peculiarità del linguaggio letterario, in versi e in prosa.
I dodici punti dell’elenco sono in realtà articolati in ben trentuno frasi introdotte da un verbo all’infinito, le quali stanno a indicare altrettanti risultati di apprendimento prescrittivi. Dal punto di vista strettamente tecnico, questa sovrabbondanza di obiettivi rende molto difficile se non impossibile qualsiasi forma di monitoraggio e quindi di valutazione. Ci sarebbe poi da lavorare ancora molto per rendere fluida la spiegazione delle sei aree di competenza, che sono di fatto seguite da una serie di abilità che poi vengono replicate o ulteriormente frammentate nel successivo elenco di obiettivi specifici di apprendimento.
Aumentare in modo indiscriminato gli obiettivi prescrittivi è d’altronde uno dei modi più rapidi ed efficaci per boicottare la didattica attiva e spostare il focus dell’insegnamento sulla trasmissione puntuale di conoscenze e abilità, evitando accuratamente ogni coinvolgimento attivo degli e delle studenti nel processo di costruzione dei saperi, che dovrebbe condurre alla padronanza delle otto competenze chiave previste dal profilo in uscita del primo ciclo.
Nonostante la sua apparente esuberanza, questo elenco finisce per limitare il ruolo dell’insegnamento linguistico-letterario alla lettura e alla scrittura, escludendo di fatto ogni riferimento al mondo in cui si legge e si scrive, al senso del leggere e dello scrivere per la vita, e a tutto ciò che supera i limiti dell’universo testuale. L’insegnamento letterario – anch’esso chiamato in causa in modo decisamente sovrabbondante e improprio per questo grado scolastico – torna ad assumere un ruolo ancillare e complementare rispetto all’educazione linguistica, che a sua volta risulta impoverita e indebolita.
Rendere prescrittivo il saper «riconoscere, all’ascolto, gli elementi sonori caratteristici dei testi poetici», o «saper riconoscere le caratteristiche dei diversi generi letterari e le peculiarità del linguaggio letterario, in versi e in prosa» e ancora «essere in grado di comprendere testi letterari di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie), letti per brani ma anche integralmente», eccetera, è un invito a praticare quella che Guido Armellini ha definito efficacemente «letteratura alla griglia»2, e conferma le pratiche didattiche più trasmissive, basate sullo svolgimento degli esercizi di analisi del testo presenti nelle antologie, togliendo spazio proprio a quegli approcci e tecniche didattiche che potrebbero e dovrebbero contribuire a migliorare i livelli di comprensione e a rendere più duraturi e stabili gli apprendimenti. Insomma, sembra un invito a continuare come si è sempre fatto, come se il problema degli scarsi livelli di comprensione della lettura rilevati in uscita alla secondaria di primo grado e la scarsa attitudine alla lettura e alla scrittura degli adulti scolarizzati non fossero correlate a pratiche didattiche così notoriamente inefficaci.
Fare letteratura o imparare dalla letteratura?
Qual è dunque il contributo che quello che chiamiamo insegnamento letterario può fornire alla risoluzione dei problemi segnalati dal Censis? E in che modo potremmo ricorrere alle Indicazioni nazionali – che senza adeguati investimenti rimarranno sempre e comunque un’arma spuntata – per tentare di migliorare l’efficacia della letteratura a scuola? È possibile, per esempio, migliorare i livelli di comprensione della lettura attraverso la letteratura? Ed è possibile agire in qualche modo con la letteratura sull’«intolleranza per le alterità»? E se sì, a quali condizioni? E con quali tecniche didattiche?
Per rispondere esaustivamente a queste domande occorrerebbe rifarsi almeno ai risultati di venticinque anni di ricerca internazionale nel campo della didattica della letteratura, ma anche a quei settori della ricerca educativa che hanno indagato i processi di comprensione o a quello che viene definito approccio scientifico alla letteratura negli ambienti di apprendimento3.
Per essere specifici, nel tentativo di evitare quello che Claudio Giunta ha definito «lamento del letterato»4, si potrebbe ad esempio tener conto del lavoro sulla didattica delle comprensione di Roberta Cardarello e Chiara Bertolini5, e anziché concentrarsi – come si legge nella bozza delle nuove Indicazioni – sull’applicazione (prescrittiva) di «semplici tecniche di aiuto alla comprensione (sottolineature, note a margine, appunti)» o sulla compilazione di liste e riassunti, dovremmo lavorare sulle condizioni in cui si legge, sulla motivazione, che dovrebbe essere intrinseca, e sulle strategie per la comprensione. Quel che sappiamo sul funzionamento dei processi di comprensione delle persone esperte ci suggerisce infatti di insistere sull’ambiente di apprendimento – per esempio creando una biblioteca di classe e uno spazio riservato alla lettura – e sul significato da attribuire alla lettura e alla comprensione, che non avvengono mai nel vuoto sociale e non sono riducibili a fenomeni mentali. Perché non scrivere tra le competenze una frase come «Ricorre alla lettura letteraria per compiere esperienze estetiche» e poi suggerire – anziché prescrivere – il ricorso a strategie di insegnamento reciproco per superare le difficoltà di comprensione del testo? E anziché fornire elenchi di generi letterari o di opere che servono solo a sollecitare il dibattuto sui social e sui giornali, perché non parlare di gradualità della lettura e invitare chi insegna a praticare la lettura letteraria e a indagare in modo sistematico i gusti e le abitudini di lettura della classe?
Per mettere in dialogo le Indicazioni nazionali con il mondo della ricerca sarebbe opportuno innanzitutto evitare la personalizzazione – questa sì tipicamente vetero-umanista – del documento, ridotto al lavoro autoriale di troppe individualità distinte, che sembrano essersi incontrate per la prima volta in sede di discussione pubblica del documento. Sarebbe sufficiente, a volte, evitare di dire troppo, soprattutto sotto forma di prescrizioni minute o di aurei consigli. Un approccio scientifico – e quindi intersoggettivo – richiederebbe un lavoro collegiale e coordinato, condotto secondo criteri condivisi e tenendo conto dei risultati raggiunti. E richiederebbe una scrittura asciutta e precisa, capace di lasciare spazio a chi dovrà metterla alla prova del lavoro didattico. Le Indicazioni del 2007, perfettamente calate nella migliore tradizione della scuola democratica, avevano indicato la strada da percorrere, e adesso – per la prima volta dal dopoguerra – ci siamo ridotti in un vicolo cieco, e non basterà la didattica della letteratura, che qualcosa in proposito potrebbe fare, a prevenire né tantomeno a contrastare la deriva identitaria denunciata dal Censis e praticata con pervicacia dalla Commissione per le nuove Indicazioni nazionali.
NOTE
- Sulla bozza di Indicazioni Nazionali per l’infanzia e il primo ciclo resa disponibile dal ministero a marzo e sulla sua sostanziale inemendabilità rimando innanzitutto al ciclo di commenti usciti su questa testata online, e recuperabili all’indirizzo https://laricerca.loescher.it/tag/indicazioni-nazionali-2025/; si veda anche Credere Obbedire Insegnare. Voci critiche sulle Indicazioni Nazionali 2025 per il primo ciclo di istruzione, a cura di D. Ianes, Erikson, Trento 2025.
- G. Armellini, Letteratura “alla griglia”: una ricetta difficile, in Per una letteratura delle competenze, a cura di N. Tonelli, I Quaderni della Ricerca #9, Loescher, Torino 2013, p. 65.
- Scientific Approaches to Literature in Learning Environments, a cura di M. Burke, O. Fialho e S. Zynger, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam-Philadelphia 2016.
- C. Giunta, E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica, il Mulino, Bologna 2017, p. 17. Con questo saggio l’autore ha inaugurato a sua volta il genere del lamento del letterato sul lamento del letterato.
- R. Cardarello, C. Bertolini, Didattiche della comprensione del testo. Metodi e strumenti per la scuola primaria, Carocci, Roma 2020.