Una scuola da ripensare? #2

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Prosegue l’analisi del rapporto del CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti), di Legambiente, dell’Associazione Maestri Cattolici, di Proteo Sapere: il Secondo rapporto sul Sistema Educativo Italiano.
Allievi durante un’esercitazione di registrazioni contabili. Regia Scuola Tecnica Commerciale. Padova, 1930-40. Archivio fotografico Indire.

Il canale per l’assolvimento del diritto/dovere all’istruzione e formazione, dopo che a sedici anni (traguardo di tipo anagrafico) si conclude l’obbligo di istruzione, presenta, da sempre, problemi particolari per la sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni, che si verifica a proposito della formazione professionale. Le Regioni, infatti, legiferano spesso con interpretazioni differenti delle stesse norme nazionali e con piena autonomia sulla parte di loro competenza, rendendo dunque complessi eventuali passaggi, confronti, censimenti.

Nell’anno scolastico 2011-12 c’è stato l’avvio del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) col passaggio dalla fase “sperimentale” a quella “definitiva”. I problemi che si sono presentati sono testimoniati da una produzione normativa delle Regioni davvero notevole: una media di una decina di leggi nelle regioni del Sud, una media di una trentina di nuove norme nel Nord (in un solo anno e solo relative a questa materia).

Com’è noto, i due modelli possibili sono quello integrativo e quello complementare. Il modello complementare, che prevede l’organizzazione del tutto autonoma rispetto al modello statale degli istituti professionali, è stato scelto da Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia (Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno reso possibile adottare il modello integrativo dal 2012/2013). Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, in ragione della loro particolare condizione di autonomia, sono fuori da questi accordi e hanno costruito propri modelli (assimilabile a quello complementare il modello trentino e a quello integrativo quello valdostano). Se guardiamo ai numeri della IeFP registriamo, nel 2011/2012, un incremento delle iscrizioni pari a circa 100.000 unità (+69,7%) rispetto al 2008-09. La maggior parte di questo incremento si è diretto verso le scuole statali che, laddove prima assorbivano un terzo di questa specifica popolazione, oggi ne assorbono oltre la metà: un bene o un male? Quanto le scuole stesse riusciranno a fare una proposta diversa ai ragazzi che hanno, è bene ricordarlo, dopo l’obbligo d’istruzione, deciso di abbandonare il percorso scolastico propriamente detto? Il rischio della reiterazione di didattiche e modelli di valutazione di tipo tradizionale è dietro l’angolo, con effetti in termini di abbandono notevolissimi. Nel Centro e nel Sud quest’utenza frequenta, in maggioranza, i percorsi nella scuola di Stato. Solo in cinque regioni si può già accedere, invece, al diploma professionale quadriennale.

Nell’anno 2011-12 sono “partiti” anche gli Istituti Tecnici Superiori (ITS), ennesimo modello (tentativo?) per costruire un percorso post-secondario non universitario ma di elevata qualità – un percorso per tecnici di alto livello, insomma. Il nuovo modello non presenta sorprese: sono soltanto 1.162 gli studenti iscritti a ben 57 corsi, in 43 ITS. In sei regioni i corsi non sono presenti; la distribuzione vede maggiore offerta e un numero d’iscritti maggiori nel Centro Nord, con l’eccezione costituita dalle Marche (alto il dato di frequenza rispetto alla popolazione regionale).

I dati aggiornati al 2013-14 ci dicono che, complessivamente, gli alunni transitati all’interno di questi corsi sono stati soltanto 3.516.

Le aree sulle quali insistono questi percorsi sono sei, e precisamente: Efficienza Energetica, Mobilità Sostenibile, Nuove Tecnologie della Vita, Nuove Tecnologie per il Made in Italy, Tecnologie per i Beni e le Attività Culturali – Turismo, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione – TIC.

Molto complessa anche la situazione dell’Istruzione degli adulti: Centri Territoriali Permanenti (CTP), Istituti serali e Scuole carcerarie sviluppano percorsi formativi di vario tipo e durata. Con la nuova regolamentazione dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) – DPR n. 263 del 29 Il sistema di longlife lifewide learning esiste, al momento, solo sulla carta. Ottobre 2012 – e con i successivi accordi Stato-Regioni si opera un tentativo (modesto) di costruire un sistema di Life Long Learning e di Life Wide Learning [N.d.A. per approfondire rimando all’ultimo numero di Rivista Edaforum].

Gli adulti nella fascia di età tra 25 e 64 anni che hanno frequentato un corso di studi o di formazione professionale nel 2011 sono soltanto il 5,6% del totale (Censis, 2012), e se a questo si sommano le bassissime percentuali di diplomati e laureati si comprende come il sistema di longlife lifewide learning esista, al momento, solo sulla carta. In questo senso non bastano, certo, dispositivi normativi che riconoscano l’importanza di un apprendimento in ogni fase della vita e in ogni esperienza di vita: occorre incrementare notevolmente l’offerta, attraverso un sistema flessibile e accessibile e incentivare la domanda. A sorpresa, è la Puglia la regione con il miglior rapporto tra numero di sedi di Istruzione degli adulti e popolazione (1 sede ogni 20.000 abitanti di età superiore a 16 anni, contro una media italiana di 1 a 35.000), mentre il Piemonte è la regione con il rapporto peggiore (1 sede ogni oltre 53.000 abitanti). Diversa la situazione, invece, per il numero di corsi offerti, dove la Lombardia, penultima per numero di sedi in relazione agli abitanti, è prima per la numerosità assoluta (non proporzionale) dei corsi attivati. Tra corsi e partecipanti, com’è normale che sia, vi è una proporzionalità diretta. Risulta di estremo interesse sapere che quasi la metà (il 49,4%) degli iscritti ai corsi per adulti sono cittadini stranieri (ovviamente la fanno da padrona in questo senso i corsi di alfabetizzazione linguistica che preparano alla prova necessaria per l’ottenimento del permesso di soggiorno). Complessivamente, il 51,4% degli adulti che partecipano a un corso sono donne.

Nota: In tal senso risulta particolarmente importante l’attuazione dell’art. 4 della cosiddetta “legge Fornero”, che per la prima volta prevede l’esistenza di un diritto all’apprendimento permanente e l’attivazione dell’integrazione formale, non formale e informale dei sistemi formativi, all’interno di reti territoriali che dovrebbero offrire un’ampia gamma di opportunità alle persone (offerta formativa, riconoscimento delle competenze acquisite, rientro nel ciclo di istruzione e formazione).

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Federico Batini

Insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato e dirige le associazioni Pratika e Nausika, da cui è data la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

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