Razza, parola equina

Tempo di lettura stimato: 3 minuti
La decisione dell’Assemblea francese di eliminare dalla Costituzione di quel Paese la parola “race”, omologa della nostra “razza”, fa discutere. Naturalmente, dovrebbe riscuotere il massimo consenso l’intenzione di proclamare in ogni modo la necessità di combattere il razzismo, la discriminazione di gruppi umani per il semplice motivo che appaiono fisicamente diversi da quello a cui si appartiene. Ognuno ci rifletta per suo conto e si convinca di quanto sia stupido e fuorviante ridurre a questo fattore le questioni di concorrenza politico-economica o di contrasto socio-culturale tra i popoli; o si faccia convincere dagli studiosi di storia genetica, come il nostro Luca Luigi Cavalli Sforza.

cavalli5

Ma ha senso combattere la parola? Personalmente ritengo che nella Costituzione di uno Stato, e mi riferisco anche alla nostra che lo usa in un contesto analogo (art. 3), sia pure usata per condannare la relativa discriminazione, la parola non dovrebbe esserci e quindi do ragione al Parlamento francese. Perché l’uso della parola razza con significato biologico umano (e connessa funzione discriminatoria) è frutto di una banale deriva semantica, che ha finito col creare un concetto, appunto il concetto aberrante che vogliamo combattere.
Ma che razza di parola è razza (da pronunciare con z sorda, come in piazza)?
Pochi (pochissimi) sanno che negli anni ’60 del secolo scorso ci fu una disputa tra due grandi filologi europei, lo svizzero Walther von Wartburg e l’italiano Gianfranco Contini, sull’etimologia di questa parola. Il primo, nel suo vocabolario etimologico del francese, riconduceva il vocabolo francese, con il suo antefatto italiano che ne è la fonte, al latino ratio, “principio”, seguendo una proposta dell’austriaco Leo Spitzer e convalidando tutto un filone di pensiero che implicitamente nobilitava il concetto, portandolo nella sfera della speculazione filosofica. Il secondo scoprì che la parola si era sì, formata in Italia, ma, inizialmente, alla fine del ‘200, come adattamento della parola francese haraz “allevamento di cavalli” (derivata a sua volta da una parola germanica). La prova di Contini era fulminante (mise in contatto un testo francese che presentava haraz “allevamento di cavalli” con le traduzioni italiane che recavano arazzo, razzo e razza), ma Wartburg non si dichiarò convinto.
E qui, devo pur dirlo, capitò al sottoscritto di confermare la spiegazione di Contini con una decina di attestazioni anche di qualche decennio più antiche: nel Regno di Sicilia, gli Angioini avevano introdotto particolari allevamenti equini chiamati nei documenti latini aracie, termine che fu poco dopo adattato nel volgare razze. Con il commercio di cavalli la parola si diffuse anche in Toscana e nel resto d’Italia e, sempre in groppa ai cavalli, si diffuse in Europa. Riferimenti alle famiglie umane? In senso generico di discendenza o gruppo nazionale sì, ma senza quel carico di discriminazione che cominciò ad affiorare nel tardo ‘700 (con l’economista Ferdinando Galiani; Leopardi ammette le differenze razziali, ma – udite udite – difende la parità dei popoli “in quanto è a diritti umani”; e così via).

Con la decisione francese, dunque, la parola rientri totalmente nell’ambito della sua «nascita zoologica, veterinaria, equina» (Contini).

Nota bibliografica
La questione è stata dibattuta nei seguenti scritti: Gianfranco Contini, I più antichi esempi di razza, in “Studi di Filologia Italiana” (Accademia della Crusca), XVII (1959), pp. 319-327; Walther von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, vol. X, pp. 111 ss.; Francesco Sabatini, Conferme per l’etimologia di razza dall’antico francese haraz, in “Studi di Filologia Italiana” cit., XX (1962), pp. 365-382. Agli ulteriori tentennamenti, di G. Merk, L’étymologie de race. Rapports entre generatio, ratio et natio, nei “Travaux de linguistique et de littérature”, VII, 1 (1969), pp. 177-188, replicò definitivamente, con altre conferme alla soluzione continiana, Rosario Coluccia, L’etimologia di razza: questione aperta o chiusa?, nuovamente negli “Studi di Filologia italiana”, XXX (1972), pp.325-330.

Condividi:

Francesco Sabatini

Professore ordinario di Storia della Lingua Italiana in diversi atenei e, in ultimo, presso l’Università Roma Tre. È presidente onorario dell’Accademia della Crusca.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it