Philodiffusione #4

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Gli “esseri immaginari” di Borges continuano a parlarci: sappiamo ascoltarli? Il primo di due articoli per ragionare sui possibili significati del racconto “Animali degli specchi.”

 

 

Il Manuale di zoologia fantastica di Borges è un bestiario in piena regola, che propone un’accurata tassonomia di un mondo animale ozioso perché presente solo nella mente dell’autore che l’ha concepito e dei lettori che si immergono in questa avventura di pensiero. Non si tratta tuttavia di un elenco di esseri propriamente inutili perché, come spesso accade con i racconti dello scrittore argentino, le storie associate a ciascuno di essi ci insegnano molto anche di quegli animali che possiamo effettivamente incontrare nel mondo, primi tra tutti quelle «strane e pericolose bestie» che siamo noi uomini.
L’elemento che rende immortali queste pagine è il fatto che molte di esse parlano anche del nostro tempo, cioè si rivolgono ad aspetti della realtà che per ragioni storiche e oggettive erano preclusi all’autore al momento della scrittura.
È questo d’altronde il tratto peculiare delle opere che non tramontano e che entrano nel canone condiviso: dei classici vale sempre la pena occuparsi perché non invecchiano e non hanno «mai finito di dire quel che ha[nno] da dire» (I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1991, ed. dig.).

Leggere gli animali degli specchi

È questo il caso delle pagine (anzi delle poche decine di righe) del racconto borgesiano sugli animali degli specchi, che riproduciamo quasi per intero.

[…] A quel tempo [dell’Imperatore Giallo, N.d.R.] il mondo degli specchi e il mondo degli uomini non erano, come adesso, incomunicanti. Erano, inoltre, molto diversi: non coincidevano né gli esseri, né i colori, né le forme. I due regni, lo specolare e l’umano, vivevano in pace; per gli specchi si entrava e si usciva. Una notte la gente dello specchio invase la terra. Irruppe con grandi forze. Ma, dopo sanguinose battaglie, le arti magiche dell’Imperatore Giallo prevalsero. Egli ricacciò gl’invasori, li incarcerò negli specchi, e impose loro il compito di ripetere, come in una specie di sogno, tutti gli atti degli uomini. Li privò di forza e di figura propria, riducendoli a meri riflessi servili. Un giorno, tuttavia, essi si scuoteranno da questo letargo magico. Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo dello specchio scorgeremo una linea sottile, e il colore di questa linea non rassomiglierà a nessun altro. Poi verranno svegliandosi le altre forme: gradualmente, differiranno da noi; gradualmente, non ci imiteranno. Romperanno le barriere di vetro o di metallo, e questa volta non saranno vinte. […] Altri intende che, prima dell’invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi. (J.L. Borges, Manual de zoologia fantàstica, 1957, tr. it. di F. Lucentini, Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, Torino 1984, ed. dig.).

Come possiamo interpretare e riattualizzare queste parole? Il filosofo francese Jean Baudrillard, nel 1995, individua un’amara analogia tra il legame che connette specchi e uomini e quello dell’io con l’altro da sé. Secondo il filosofo, quest’ultimo rapporto nel tempo contemporaneo si sarebbe dissolto a favore di una meno proficua ma spasmodica ricerca della somiglianza con l’altro. Come l’Imperatore Giallo di Borges, abbiamo condannato l’alterità a essere una copia servile di noi stessi: non accettiamo di riconoscere in ciò che non siamo delle differenze indomabili, e ci troviamo alle prese con tentativi di addomesticamento che il filosofo descrive come «la schiavitù del medesimo».
Tuttavia, ci ricorda Baudrillard, questa situazione non durerà per sempre, e dobbiamo prepararci al «riapparire violento dell’alterità» (J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, tr. it. di G. Piana, Raffaello Cortina, Milano 1995, p. 154), con ciò facendo riferimento al “ritorno del rimosso” di freudiana memoria, ma anche al fatto che solo riconoscendo a ogni uomo la propria singolarità eccezionale e irriducibile a categorie e generalizzazioni possiamo fare esperienza del mondo e instaurare una rete di relazioni che non sia solo un’illusione, una fantasia narcisistica nella quale c’è posto soltanto per l’egocentrismo ipertrofico dell’io.

Continua

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Silvia Capodivacca

ha studiato Filosofia e Storia tra Padova, Bologna e New York. Attualmente svolge attività di ricerca all’università di Udine e collabora con la casa editrice Loescher come autrice e formatrice didattica. Maggiori informazioni e aggiornamenti sulla sua attività sul sito personale, www.silviacapodivacca.com.

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