
I buoni non esistono è il titolo dell’ultimo romanzo di Gianfrancesco Turano, edito da SEM nel giugno 2025. Probabilmente è vero, se il “brodo” nel quale li vai a cercare (i «buoni» intendo) è fatto di spioni, politici corrotti, ndranghetisti e killer camuffati da baristi.
I buoni libri, però esistono, così come i buoni scrittori: e certamente questa recente fatica di Turano ce lo dimostra appieno. Non so però se chi scrive si possa ascrivere alla categoria dei buoni recensori, almeno per due evidenti ragioni, la prima delle quali è legata al genere del libro: infatti un noir, o un crime (come l’autore preferisce) ha una componente di suspence che qualunque anticipazione potrebbe rovinare e spero che questo nel mio caso non avvenga.
La seconda è di natura più strettamente personale, poiché conosco Gianfrancesco dagli anni dell’Università, come ho già avuto modo di ricordare recensendo altri suoi romanzi, di genere e argomento molto diversi da questo, come il bellissimo Polemos.
Garantisco però i lettori che il suo eclettismo e la sua peculiare capacità di scrivere, e di farlo bene (il suo è uno stile davvero molto personale, come vedremo), non hanno certo bisogno della mia benevolenza, tanto più quando – in questo caso – la “materia” è affine a quella che quotidianamente egli tratta nella sua attività di giornalista d’inchiesta.
Mariano e Minni alla ricerca del Grande Latitante
Ma veniamo al libro, che è opera di fantasia corroborata però da una realtà che talora sembra superarla. Mariano Greco, ex poliziotto calabrese che ora lavora per l’agenzia di investigazioni «Acme», se ne va a Dubai con una giovane e avvenente “praticante” di nome Arminia (detta Minni), alla ricerca di un Grande Latitante. Lo scrivo con la maiuscola perché così si fa nel romanzo, dove quest’uomo – armatore, faccendiere, politico in disgrazia e molto altro ancora – ha nome di Ranieri Averardi. Chi lo vuole localizzare e in qualche modo neutralizzare è la famiglia (o almeno il fratello Claudio, in un primo momento) convinta che sia stato del tutto stregato da una tal Pupi (una dark Lady sui generis), la quale punta a impadronirsi del suo patrimonio.
Si tratta, come è facile intuire, di una figura ispirata a quella di Amedeo Matacena, per anni parlamentare e per ancora più anni latitante a Dubai, dopo alcune condanne per collusioni con la ’ndrangheta; infatti anche lui, come l’avatar Averardi, era (scrivo così perché è morto nel 2022, proprio a Dubai) calabrese, come pure Turano, che di malaffare locale e nazionale è un grande esperto.
Ma non è questa l’unica evidente allusione all’attualità, poiché la rete di spioni che agiscono nel romanzo (che vede coinvolti ex figure apicali delle Forze dell’Ordine: generali, colonnelli ecc.) non può che farci venire in mente il recentissimo caso dei dossieraggi abusivi della società Equalize, sul quale è inutile che mi soffermi data la sua notorietà. E che dire di un misterioso e potentissimo Senatore con la S maiuscola legato a un noto ex Presidente del Consiglio ora scomparso? Meglio fermarsi qui.
Pertanto, di più sulla trama non dico, anche se è facile immaginare che la vicenda sia popolata da molti altri figuri tutt’altro che «buoni» (qualcuno ci lascia anche le penne…, se no che crime sarebbe?) e che sullo sfondo di questa (costituita da «fatti, controfatti e fattoidi», come viene spesso ribadito) ci siano tanti, tanti, soldi occultati con raffinatissimi sistemi.
Voglio però soffermarmi almeno su tre elementi che – a mio avviso – rendono il libro meritevole di una lettura che, dopo un necessario assestamento iniziale (la vicenda è complessa e ci si deve abituare alla peculiare prosa dell’autore), diventa assai avvincente.
Milano, Dubai, Roma e… la Brianza orientale!
Il primo elemento è la conoscenza minuta delle tre località nelle quali la storia si svolge: Milano, Dubai e Roma. Si vede che l’autore le frequenta (o le ha frequentate) con curiosa attenzione e – in certi casi – con evidente partecipazione personale. Solo chi ha bazzicato per anni la Metropolitana Milanese come il sottoscritto (e come Turano) sa che cosa significhi per milioni di passeggeri il bar sotterraneo della fermata Duomo, il cui titolare nel libro è un killer amico di Mariano: è lì, che nei lontani anni Ottanta, ho per la prima volta sentito i nauseabondi profumi delle brioches decongelate passate al forno, poi divenute triste realtà nei bar di ogni località italiana e non solo. Per me si tratta della versione plebea delle madeleines proustiane…
Il secondo si connette a primo – perché sarebbe impossibile immaginare ciò che protagonisti e antagonisti fanno e dicono al di fuori del contesto logistico in cui si trovano – ed è l’accurata attenzione alla psicologia dei personaggi. In particolare a quella del nostro Mariano Greco, sessantenne che non può che instaurare con la sua bellissima assistente un rapporto complesso, in bilico tra protezione professionale e attrazione fisica. Molto riuscita, inoltre, è la figura di Osso – friulano amante della grappa trapiantato nella «Brianza orientale», padre di Minni ma anche titolare del bar di cui sopra… – che negli anni, nonostante il mestee non proprio edificante, ha sviluppato una profonda religiosità: ha addirittura richiesto un’udienza papale!
Uno stile immaginoso
Al terzo elemento già ho accennato, ed è la capacità di scrittura dell’autore, che ama uno stile immaginoso, fiorito, carico di immagini metaforiche o sentenziose. A titolo di esempio cito un brevissimo passaggio carico di metafore nel quale si sintetizza l’atteggiamento di Greco verso i suoi non pochi nemici:
Greco, però, aveva il suo sistema noto in qualche filosofia orientale come “il vaso di fiori in bilico”. Lui sedeva tranquillo sul balcone. Se il nemico non passava, si godeva il regalo della giornata di sole. Ma se il nemico passava, il vaso in bilico gli sarebbe caduto in testa in modo accidentale e necessario. Ne aveva parecchi di vasi in sospeso. Quello con il Senatore era il più pesante e meglio curato (p. 54)
E molto efficace è anche questa arguta sentenza di contenuto politico, affidata sempre alla bocca del protagonista, che mi ha fatti molto sorridere:
Che errore affidare il marxismo ai russi. Gli unici comunisti naturali sono i francesi, maggioritariamente i parigini. (p. 59)
Ora attendiamo i sequel

Concludendo, non credo di rivelare nulla di illecito – infatti lo ha detto lo stesso Gianfrancesco Turano in una presentazione milanese del libro insieme con Gianni Barbacetto – affermando che la vicenda romanzesca si conclude lasciando però aperte le porte ad almeno un paio di sequel. Perché se i «buoni non esistono», esistono comunque gli affari, i conti cifrati, gli interessi del malaffare a decine e decine di zeri; esistono e sempre esisteranno. Ed esiste chi – come il nostro autore – su questi poco leciti interessi indaga da anni come scrupoloso (meglio tignoso? Forse sì…) giornalista de l’Espresso; ma che poi è in grado di nobilitare questa vile materia con un sapiente tocco di genialità creativa. Perché anche i buoni scrittori esistono davvero, come ho scritto all’esordio e come ribadisco in coda alla mia recensione…