Mundaneum. Il futuro del libro cent’anni fa

Tempo di lettura stimato: 8 minuti
Il Mundaneum è un museo di archeologia della conoscenza inaugurato a Mons, una piccola città belga, nel 1998, lo stesso anno in cui in America Larry Page e Sergey Brin fondavano la società Google Inc. Solo un decennio dopo si è scoperto che fra i due avvenimenti esiste una relazione.
L’atrio del Mundaneum, un museo di archeologia della conoscenza inaugurato a Mons, una piccola città belga, nel 1998.

Lo ha riconosciuto Google, che nel 2012 ha stretto con il Mundaneum un patto di collaborazione, il cui primo risultato è stata la mostra Rinascimento 2.0: Viaggio alle origini del Web. Da allora la notorietà del Museo è andata crescendo. Bello, avveniristico e ben organizzato sotto l’aspetto didattico, utilizza i più moderni strumenti della information tecnology. Dal 2013 il Repertorio Universale che esso conserva è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità e nel 2015 Mons è stata Capitale Europea della Cultura. Proiettato nel futuro, il Mundanuem documenta però il passato. Le domande che si pone è: come si immaginavano il futuro del libro, della conoscenza e della sua trasmissione agli inizi del Novecento? La risposte sta nella straordinaria esperienza di Paul Otlet, un bibliografo belga utopista e visionario, cui oggi si attribuisce il merito di aver inventato e in parte realizzato una Google di carta.

Il cassetto classificatore nel progetto originario di Paul Otlet conservato al Mundaneum.

L’uomo che voleva classificare il mondo
Può un bibliografo essere tanto appassionato della sua professione da vedervi la chiave della pace universale? Paul Otlet lo fu. E fu capace di coinvolgere in questa visione utopica istituzioni locali, nazionali e mondiali, concretizzandola nel Mundaneum, un’esperienza che nel 1934, quando fu interrotta dal nazismo, occupava ben cento stanze del Palais Mondial di Bruxelles.

L’obiettivo fondamentale del Mundaneum, non l’unico, era concentrare in uno stesso luogo le indicazioni necessarie per reperire ogni tipo di conoscenza veicolata dalla stampa (libri, manifesti, giornali) dal suo nascere all’epoca di Gutenberg sino ai nostri giorni. Tutto il sapere, quindi, per la prima volta accessibile da un unico punto, veicolato in modo che l’accesso fosse consentito a tutti, indipendentemente dalla lingua.

Ma non si trattava di una nuova Biblioteca d’Alessandria: il Mundaneum archiviava non libri bensì le indicazioni necessarie per reperirli nelle biblioteche di tutto il mondo, permettendo una ricerca sia per autore sia per soggetto nel patrimonio intellettuale universale.

Istituito nel 1895, aperto al pubblico nel 1918, questo Repertorio Bibliografico Universale nel 1934 era giunto a catalogare ben diciotto milioni di testi, comprendenti i cataloghi di tutte le biblioteche universitarie e nazionali, la Libreria del Congresso americano, la Biblioteca Nazionale Francese, e quella del Vaticano. Otlet lo immaginava consultabile da avveniristiche postazioni di ricerca come quella descritta nella figura qui sotto.
Al Repertorio Universale si affiancavano altri data base: l’Archivio Internazionale della Stampa; il Repertorio Iconografico universale, comprendente manifesti, cartoline postali, lastre di vetro, fotografie.

Le fotografie dell’epoca mostrano decine di bibliografe volontarie, animate dal sogno pacifista che orientava l’enorme progetto, intente a compilare le schede standardizzate, 12,5 per 7,5 cm. Le schede avevano un foro in basso per essere inserite negli appositi cassetti di consultazione riuniti nei “soggettari”, gli scaffali diffusi poi nelle biblioteche di tutto il mondo sino all’avvento di Internet.

Il progetto di una postazione di consultazione del Repertorio Universale, dotata di strumenti per compiere le operazioni logiche di ricerca.

Google di carta
Creare un soggettario universale del sapere pone gli stessi problemi di organizzazione del contenuto, sia che la realizzazione si avvalga di strumenti cartacei o eletronici.

Otlet li risolse inventando la Classificazione Decimale Universale (UDC), un sistema che al pari di quello messo a punto da Melvil Dewey nel 1876 utilizza la notazione numerica, essenziale per superare lo scoglio della lingua. Il sapere è diviso in dieci classi principali (1 = filosofia; 2 = Religione; 3 = Scienze sociali, ecc.) ciascuna delle quali è ricorsivamente divisibile in altre dieci classi subordinate. Ad esempio, un libro contrassegnato con il numero 513 è un testo di scientifico (5) che tratta di matematica (1) e in particolare di aritmetica (3).

La Classificazione Universale messa a punto da Otlet è però molto più potente del sistema Dewey perché introduce operatori logici che permettono ricerche più approfondite sul contenuto. Il simbolo dei due punti, ad esempio, esprime un rapporto di relazione: il testo contrassegnato 17:7 tratta di filosofia (1) etica (7) con particolare attenzione all’arte (7). Il segno più (+) permette di aggiungere contenuti, la sbarra (/) di estendere l’area della ricerca.

Il sistema diventa così molto efficace. Se, ad esempio, cerco una documentazione statistica sull’attività mineraria e metallurgica in Svezia so che è classificata con la notazione 31:[622+669](485). E se la voglio in inglese basta che aggiunga la notazione =20. L’uso di questi operatori logici rende la ricerca più precisa ma anche più difficile e richiede comunque una operatività tecnologica superiore ai classici e statici schedari per autore o per soggetto.

Evidentemente funziona bene con la tecnologia elettronica, tanto che ancora oggi la Classificazione Universale di Otlet è utilizzata, assieme ad altre, nel campo della semiotica applicata ai motori di ricerca sulla rete Web. L’attuale versione comprende 220.000 suddivisioni concettuali incrociabili fra loro.

È il sistema su cui si regge Google. Se la tecnologia dei motori di ricerca è americana, l’esigenza che li ha prodotti e l’intuizione della loro struttura funzionale sono nate in Belgio cento anni fa. Google ha riconosciuto le sue origini europee, ben contenta di presentarsi non più solo come un’invenzione ma anche come realizzazione di bisogni profondi e radicati nella modernità culturale.

Il progetto di Otlet non era un’utopia destinata a rimanere irrealizzabile sino all’avvento dell’era elettronica. Per parecchi decenni la Classificazione Universale ha funzionato altrettanto bene, se pure più lentamente, utilizzando apposite schede meccanografiche, cartoncini dimensioni standard sui quali venivano registrati i dati numerici con una perforatrice, in modo che fossero facilmente leggibili da una macchina usata come motore di ricerca. È esistita una Google di carta precedente a quella elettronica.

Una tavola della Enciclopedia Universale proposta da Paul Otlet.

Un’Enciclopedia evolutiva universale e collaborativa
Altrettanto imponente e avveniristico è il progetto di Otlet di una Enciclopedia universale, frutto collettivo di una comunità aperta di ricercatori, capace di correggersi in caso di errore, di evolversi rimanendo sempre attuale e di rivolgersi a un pubblico non specialistico.

Facile oggi vedervi una prefigurazione di Wikipedia. Ma il Mundaneum conserva parecchie migliaia di voci della Encyclopedia Universalis che il solerte Otlet cominciò a comporre dal 1920. Sono tavole standardizzate di gradi dimensioni, quadrati di 65 cm. di lato, archiviate in una struttura che permette di modificare ogni singola scheda senza alterare le altre. Standardizzato è anche il contenuto: ogni tavola possiede un riquadro in alto con il titolo e l’indice numerico di classificazione della voce; nella parte inferiore sono annotati l’autore e le fonti documentali. In quella centrale la voce è spiegata in forma sintetica e con il sistematico supporto di forme grafiche, immagini, sequenze fotografiche, schemi concettuali e icone visive.

Per elaborare questo vocabolario Otlet si avvalse della collaborazione del filosofo Otto Neurath, inventore delle icone concettuali che usiamo oggi sul computer, e per la prima volta tentò di usare sistematicamente le intuizioni di personalità oggi considerate pionieri nella visual data representation, come lo scozzese William Playfair (1759-1823), il padre della rappresentazione grafica statistica. O ancora Charles Joseph Minard (1781-1870), l’ingegnere francese precursore della attualissima information graphics. È sua, e datata al 1869, una celebre mappa che illustra il disastro della campagna napoleonica in Russia nel 1812 mostrando graficamente l’assottigliarsi delle truppe in base alla distanza percorsa, alla localizzazione geografica, alle condizioni climatiche e alle perdite in battaglia. Oltre che dal punto di vista cognitivo, è una mappa impressionante anche sul piano dell’impatto emotivo: comunica l’entità del disastro in modo molto più incisivo rispetto a una descrizione numerica o verbale.

Uno schema concettuale della Città del Sapere immaginata da Paul Otlet.

Riflessioni e morale
Paul Otlet era un generoso visionario e giustificava l’immane sforzo necessario per realizzare i suoi progetti universalistici con motivazioni politiche pacifiste e internazionaliste. Ebbe sempre l’appoggio di Henri Marie La Fontaine (1854-1943), politico e avvocato belga insignito nel 1913 del premio Nobel per la pace. Assieme a lui, e con il supporto di Le Corbusier, progettò addirittura di edificare una Città Mondiale del Sapere, nella quale migliaia di ricercatori (la popolazione era preventivata in un milione) avrebbero dato vita a un’esperienza di condivisione della conoscenza capace sia di ottimizzarne processi e risultati delle ricerche, sia di porre le basi della pace mondiale promuovendo la collaborazione fra i popoli.

Sarebbe errato, però, ridurre quest’esperienza a un’utopia bibliografica o a una semplice anticipazione visionaria, curiosa e suggestiva quanto velleitaria. Essa dimostra che, volendo oggi immaginare come la conoscenza sarà prodotta e trasmessa fra cento anni, è inutile focalizzarci sui progressi tecnologici che saranno intervenuti nel frattempo. Per quanto importanti, non saranno comunque la molla decisiva del cambiamento, semmai la conseguenza. Se un’esigenza è profonda o prima o dopo troverà la tecnologia adeguata per funzionare al meglio. E non credo sia possibile il contrario, che cioè la chiave del futuro debba cercarsi nelle nuove tecnologie. Non so quanto sia vera, ma è questa la riflessione che la visita al Mundaneum mi ha suggerito.

Il cassetto classificatore nel progetto originario di Paul Otlet conservato al Mundaneum.
Condividi:

Ubaldo Nicola

Direttore del cartaceo de La ricerca e coautore dei manuali Loescher Filosofia: “Dialogo e cittadinanza”, “Il nuovo pensiero plurale”, “Passeggiate filosofiche”, “Pensare la Costituzione”.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it