La comunicazione visiva in tre manuali di storia

Tempo di lettura stimato: 23 minuti
Cercherò in questo articolo di indagare i contenuti della comunicazione visiva in alcuni testi di storia dal punto di vista del lettore, rispondendo a domande del tipo: quali valori sociali e culturali veicola? qual è il livello di riflessione concettuale che l’accompagna? si riscontrano casi di un suo uso mistificante o addirittura didatticamente pernicioso?
Figura 1. Manifesto di propaganda staliniana.

Ho esaminato il terzo volume, dedicato alla storia del Novecento, di tre manuali per le scuole medie inferiori: Storyboard, edito da Mondadori Scuola, Scenari della storia, Le Monnier, e Il Corriere della Storia, Loescher Editore. Nonostante lo sforzo di quantificare i dati, si tratta di un’analisi qualitativa, perché i criteri scelti per catalogare le immagini non rispecchiano certo la loro complessità comunicativa. D’altra parte, i risultati non si discostano molto dalle impressioni che si ricevono a prima vista semplicemente sfogliando i volumi.

Lo spazio iconografico: immagini e paratesto

La prima considerazione riguarda la rilevanza dello spazio iconografico, ovvero dell’insieme di tutte le forme di comunicazione visiva: cartine, mappe, fumetti, linee del tempo, fotografie e documenti storici. La sua estensione si aggira fra un terzo e la metà delle opere nel loro complesso. Il numero di tali occorrenze iconografiche rasenta quello della pagina in due casi e nel terzo è addirittura superiore.

Se per valutare sul piano qualitativo l’effettiva importanza comunicativa di questo spazio iconografico ricorriamo alla semiotica, possiamo inquadrarlo nella nozione di paratesto, quella parte di un’opera che non fa parte del testo e può anche non essere decisa dall’autore. In questi manuali, se escludiamo titoli, glosse, esercizi e letture, sono gli spazi iconografici a costituirne la parte predominante.

Le immagini determinano una pre-comprensione che dirige e indirizza la lettura del testo, con esiti a volte coerenti e positivi, a volte negativi.Quest’area di contorno al testo, apparentemente accessoria e spesso sottovalutata sia dall’autore sia dal lettore, è in realtà fondamentale rispetto alla effettiva ricezione del testo. La anticipa prima di tutto cronologicamente: la notazione della presenza di un’immagine sulla pagina precede sempre la lettura del testo; anche se non c’è ancora una vera osservazione permette comunque di acquisirne il significato immediato. L’immagine cattura l’occhio, come si dice, e lo studio di manuali illustrati come questi è preceduto dallo sfogliarli, ricevendone più o meno consapevolmente una prima impressione effimera ma importante sia per la seguente analisi del testo sia per il consolidamento mnemonico.
Anche se non posso addurre prove, credo che se chiedessimo a un trentenne cosa sia stata la storia del Novecento rifacendosi solo agli studi scolastici otterremmo risposte condizionate dal paratesto molto più di quanto si immagini.

Oltre che esaudire la curiosità immediata, sollecitare forme di suggestione e quindi fissarsi nella memoria, questi spazi iconografici sono determinanti anche dal punto meramente cognitivo, ossia rispetto alla corretta interpretazione del testo autoriale. Ne determinano infatti una pre-comprensione che dirige e indirizza la lettura, con esiti a volte positivi, quando chiarificano i concetti spiegati, a volte negativi, quando di fatto li mistificano o accentuano aspetti non previsti dall’autore.

Parliamo insomma di una parte importante della strategia comunicativa di un manuale scolastico. I semiotici descrivono il paratesto con la metafora dell’atrio cognitivo, una soglia che previene e poi accompagna la lettura influenzandone l’interpretazione, in particolare agendo sul giudizio di pertinenza delle proposizioni, cioè in pratica della significanza di ciò che poi si va leggendo, un aspetto importante dell’attività di studio, che in buona parte consiste nel distinguere fra notizie accessorie e nozioni da memorizzare.

Figura 2. Caricatura di Margaret Thatcher, «The Sunday Times Magazine», aprile 1980.

Immagini testuali e immagini illustrative

In un manuale di storia, ancor più che in quelli di altre discipline, le illustrazioni possono essere presentate e quindi anche fruite in modo diverso. Dobbiamo distinguere fra immagini offerte come un documento storico dall’autore e criticamente analizzate con un testo di corredo da quelle puramente illustrative e accompagnate da una didascalia che si limita a indicarne la fonte e a descriverne il significato immediato.

Queste ultime, le uniche che possono essere considerate paratesto, non sono quasi mai autoriali, almeno nei manuali, perché frutto delle scelte di una figura professionale resa necessaria dalla complessità dell’editoria scolastica. È l’iconografo, la cui mission sta nel reperire illustrazioni di corredo al testo, cioè in qualche modo legate al contenuto della pagina in cui si trovano. L’iconografo è prima di tutto un esperto delle complesse questioni che regolano la pubblicabilità di un’immagine, dal diritto d’autore agli obblighi di citazione, dalle norme etiche assunte dalla casa editrice alle qualità tecniche richieste dalla stampa (formato, definizione, colore, ecc).

Sono problemi a volte molto complessi, specie dal punto di vista legale, e sempre da risolvere in fretta, perché l’iconografo può compiere le sue scelte solo quando sono ormai chiari gli spazi e le pagine destinate alla funzione illustrativa. La soluzione più frequente consiste nel sottoscrivere abbonamenti ai database commerciali di immagini non editoriali, diverse cioè da quelle reperibili sui circuiti fotografici artistici e giornalistici. I più importanti di questi stock photography sono Getty Images, Archivi Alinari, Photolia e Shutterstock. Quest’ultimo è stato il primo a nascere, nel 2003, e oggi archivia più di 50 milioni di fotografie e illustrazioni, con un incremento giornaliero di parecchie migliaia.
Dobbiamo distinguere le immagini autoriali e criticamente analizzate da quelle illustrative, accompagnate da una didascalia che ne descrive solo il contenuto immediato.Chiunque infatti può usare queste piattaforme per vendere immagini, purché superino tre controlli: uno etico sul contenuto; uno tecnico relativo al formato e alle qualità grafiche, che devono rispondere agli standard elevati richiesti dalla stampa industriale; uno legale, perché ogni immagine deve essere accompagnata da una licenza che attesti il possesso di un copyright da parte dell’autore e deve attenersi alle leggi che in molti Paesi, Italia compresa, regolamentano la pubblicabilità di un’immagine. Ad esempio, una fotografia in cui compare in evidenza un volto in modo tale da rendere la persona riconoscibile, deve essere accompagnata da una liberatoria scritta della persona fotografata in cui si attesti la rinuncia al diritto di privacy, che potrebbe altrimenti essere rivendicato in tribunale. Ma esistono naturalmente molte eccezioni (celebrità, uomini politici) e ulteriori complicazioni derivanti da norme convenzionali e di autocensura che escludono la pubblicabilità di certe immagini (contenuto erotico, pubblicitario, orrorifico, non rispettoso di minoranze perseguitate e così via).
Non ultimo, trattandosi di una transazione commerciale, l’acquisto di un’immagine deve essere accompagnato dal pagamento degli oneri fiscali, immancabili se pur variabili da Paese a Paese.

Non esistono database specializzati in ambito educativo, così che anche i testi scolastici attingono allo stesso patrimonio visivo di cui si avvalgono le riviste commerciali, i blogger professionisti, i professionisti dell’illustrazione e le imprese che necessitano di usare in sicurezza un gran numero di immagini.
Questi siti offrono la possibilità di orientarsi tramite ricerche linguistiche, cioè di chiedere alla macchina ciò che si va cercando: tutte le immagini sono infatti indicizzate con una serie di parole chiave (di solito non più di trenta) fornite dall’autore. La loro veridicità è un aspetto delicato del sistema, perché ovviamente ogni venditore cerca di rendere maggiormente reperibili le sue immagini corredandole con parole chiave il più possibile generiche e soprattutto più rispondenti alle richieste dei compratori, consultabili negli strumenti analitici di supporto messi a disposizione dalle piattaforme. Il controllo numerico delle parole chiave e la loro corrispondenza al contenuto effettivo delle immagini sono facilitati da software specifici e oggetto di analisi a campione da parte dei gestori del sito, determinando in definitiva un punteggio che misura l’affidabilità di ogni venditore e il posto che andranno a occupare le sue immagini nell’ordine di apparizione sul sito.

Questa necessità di determinare statisticamente e su larga scala il genere e la posizione gerarchica delle immagini, esclude che queste siano accompagnate da note, didascalie esplicative o contestualizzazioni, come invece avviene nelle agenzie fotografiche “editoriali”, cioè documentative di fatti di cronaca, in cui i reporter professionali vendono i loro prodotti a giornali e televisioni.

Immagini ricorrenti

L’enormità di questi archivi richiede una spiegazione e pone il problema del loro utilizzo. Si tratta per la maggior parte di fotografie più o meno amatoriali, abbastanza generiche da poter essere usate nei contesti più diversi e con la leggerezza tipica dei moderni mass media. La loro vendibilità è proporzionale alla insignificanza concettuale. Immagini storiche e fotografie d’epoca vi compaiono solo quando sono offerte da venditori che le hanno acquisite da fonti non più soggette a diritti d’autore.

L’archivio cui di fatto attinge l’iconografo di un manuale di storia è quindi solo una porzione del materiale visivo messo a disposizione dalla storia. Questo potrebbe forse spiegare il ripetersi di alcune illustrazioni nei diversi manuali. Il condizionale è d’obbligo, perché un testo scolastico non cerca l’originalità a ogni costo e vi sono immagini che, avendo fatto la storia, come si dice, sono degne d’apparire in ogni edizione, magari anche con note esplicative della loro vicenda, in quanto immagini, a volte più interessante dello stesso contenuto. Purtroppo, però, le occorrenze di queste ripetizioni non sembrano seguire questa logica ma il mero criterio della reperibilità.

Si segnala l’assenza, comune ai tre volumi in esame, di qualsivoglia riflessione sulla liceità e gli eventuali limiti etici della satira politica o religiosa spinta sino ai limiti estremi. In fondo viviamo in un mondo in cui si muore per tali questioni.La stessa immagine di una fabbrica di armamenti della Prima guerra mondiale (vedi figura 4) compare sia a pagina 63 di Storyboard sia in Scenari della storia, a pagina 31. Mostra in primo piano tre operai maschi chiaramente intenti a verniciare bombe e sullo sfondo una moltitudine indistinta di operaie che non si capisce bene cosa stiano facendo. Sarebbe una buona occasione per commentare sia l’importanza del lavoro femminile nello sforzo bellico della Prima guerra mondiale, sia, e anzi soprattutto, l’intento di nascondimento visivo che ha guidato il fotografo nella scelta dell’inquadratura. Se vi è una verità in questa immagine sta nella cultura maschilista che a suo tempo portò a minimizzare l’ingresso delle donne nel mondo produttivo e a contrastare gli effetti liberatori sul piano sociale che tale fenomeno implicava. Un pregiudizio di genere che i due manuali inconsapevolmente perpetuano pubblicando l’immagine con didascalie poverissime: “Una fabbrica di munizioni all’inizio del Novecento”.

Che il ripetersi delle stesse immagini dipenda solo dalla reperibilità tecnica lo dimostrano tutte le altre occorrenze: ricorre la stesso stesso manifesto di propaganda staliniana (vedi figura 1), la stessa fotografia di Mussolini mentre usa una delle prime cineprese (vedi figura 3). E così via, per un totale, non esiguo, di 7 occorrenze di ripetizione in due testi. Ben 5 immagini compaiono in tutte le opere esaminate, tra cui una vignetta satirica della “ambiguità politica” di Giolitti (sempre senza alcuna indicazione di quale fosse la fazione politica promotrice della satira).

Figura 3. Mussolini con la cinepresa.

L’approccio critico all’immagine-documento

È quindi importante chiedersi quale sia il rapporto numerico fra le immagini autoriali e quelle meramente illustrative, e più in generale se i manuali in esame si differenzino per il grado di attenzione verso l’iconologia, ovvero la competenza di appropriarsi in modo consapevole e critico di una rappresentazione visiva.

Le differenze sono notevoli. In un scala dal basso poniamo prima Il Corriere della Storia, che commenta uno scarso numero di immagini con l’uso di tiranti (frecce che collegano un elemento specifico di un’immagine a una breve notazione), ma d’altra parte cade numerose volte nel grave difetto di presentare documenti visivi molto complessi (vignette satiriche, manifesti di propaganda, opere pittoriche) con didascalie che si limitano a descrivere il loro significato immediato, aprendo la porta a possibili fraintendimenti ed equivoci. Ad esempio: “Guglielmo II come il diavolo su una montagna di teschi”, senza spiegare se il messaggio veicolato da questa vignetta satirica sia aderente ai dati storici complessivi, come lascia supporre l’assenza di indicazioni, oppure sia un’assurda esagerazione polemica del disegnatore.

Soprattutto poi, questo approccio eminentemente contenutistico risulta diseducativo perché occulta il fatto che il significato reale di questo tipo di documenti storici sta nella funzione pragmatica assegnata alle immagini, più ancora che nel loro soggetto. La stessa vignetta satirica su Maometto non ha lo stesso significato se pubblicata su «Charlie Hebdo», su «L’Osservatore Romano» o su un quotidiano di Teheran.

Trattandosi poi di un manuale di storia, va messa nel numero delle occasioni mancate l’assenza, comune ai tre volumi in esame, di qualsivoglia riflessione sulla liceità e gli eventuali limiti etici della satira politica o religiosa spinta sino ai limiti estremi. In fondo viviamo in un mondo in cui si muore per tali questioni.

Ovviamente non si tratta di introdurre forme di censura o di selezionare i documenti storici in base ai nostri attuali criteri di correttezza comunicativa: tutto può essere mostrato, purché, almeno in un manuale di storia, sia contestualizzato, analizzato nei significati evidenti ed impliciti (spesso preponderanti) ed eventualmente criticato dal punto di vista etico-formativo, spiegando cioè come certe prassi comunicative usuali nel passato possano essere considerate illegittime nella sensibilità moderna. Il Corriere della Storia si caratterizza altresì per un espediente di dubbio valore, ossia il frequente accostamento di un personaggio storico a una frase celebre a lui attribuita, inserita in una “nuvoletta” collegata all’immagine. Il risultato è aumentare a dismisura il già esorbitante numero di ritratti e di immagini di personaggi potenti.

Più attento ai problemi della comunicazione visiva sembra Scenari della storia, sebbene non presenti un gran numero di immagini autoriali. Oltre all’analisi con il metodo dei tiranti, però, propone nella sezione laboratoriale di analizzare alcune illustrazioni rispondendo a una serie di domande sul loro contenuto immediato, senza per altro offrire gli strumenti per analisi più sofisticate.

In vetta alla classifica troviamo Storyboard, che non a caso pone come promettente sottotitolo Parole e immagini della storia. Qui le immagini-testo sono oggetto di interventi didattici diversificati. Oltre all’indagine analitica favorita dai tiranti, si propongono con sistematicità due tipi di attività: il confronto fra due immagini al fine di rilevare analogie e differenze caratterizzanti, e l’accostamento di un’immagine a una citazione o un brevissimo testo storico, in modo da focalizzare l’attenzione sulla capacità delle immagini di sintetizzare concetti, propensioni politiche o ideologie. Non solo: la sezione laboratoriale assegna due tipi di attività iconologiche. La prima invita a un’analisi puntuale delle immagini indicandone gli elementi notevoli con tiranti lasciati vuoti che spetta allo studente completare. La seconda enfatizza il potere di suggestione di determinate immagini invitando lo studente a comporre un libero testo dopo averle osservate.

Soprattutto, Storyboard propone una riflessione metodologica sul modo di accostarsi ai documenti visivi, anche se purtroppo la inserisce in un’introduzione al volume dedicata alle pratiche della storiografia, probabilmente non utilizzata da tutti i docenti. Partendo dall’osservazione di due fotografie del 1914, in cui soldati francesi e tedeschi appaiono felici di recarsi al fronte, si pone il problema della veridicità dei documenti fotografici invitando alla contestualizzazione, ossia al confronto con tutte le altre fonti storiche disponibili. Come secondo e ultimo esempio si esamina il caso della documentazione fotografica dell’olocausto, con esiti per la verità non molto convincenti sul piano metodologico, perché le tesi dei negazionisti non sono prese in seria considerazione.

Anche in Storyboard, comunque, il trattamento autoriale delle immagini rimane minoritario rispetto a quello meramente illustrativo. Su 417 occorrenze iconografiche solo 80 sono immagini in vario modo lavorate dall’autore (tiranti, confronto, accostamento) mentre ben 258 sono quelle illustrative, inserite dall’iconografo, suppongo, e da questi succintamente didascalizzate.

Una storia di battaglie?

Queste note sulla complessità del lavoro sottostante la produzione di un manuale possono spiegare come mai in tutti i casi esaminati la funzione di indirizzo svolta dal paratesto iconografico risulti scoordinata rispetto agli obiettivi cognitivi che il testo si propone con tutta evidenza di raggiungere.

Storyboard, ad esempio (ma le stesse considerazioni valgono per gli altri), mostra un’encomiabile attenzione per la dimensione sociale della storia, concretizzata in pagine dedicate all’avvento della società di massa, all’evoluzione della cultura e dei modi di vivere, ma le suggestioni iconografiche indirizzano verso altri modi di intendere la storia.

Qual è lo statista più importante del Novecento? Certamente Mussolini, dato che surclassa tutti gli altri comparendo ben 18 volte.Di gran lunga prevalenti, ben 63, sono le immagini descrittive di eventi bellici: scene di battaglia, vita al fronte, condizione dei prigionieri, effetti dei bombardamenti e così via. Estremamente numerose (31) sono poi quelle connesse al potere politico e alla sua dimensione istituzionale: incontri fra capi di Stato, firma di trattati e cerimonie pubbliche. Nessuna altra categoria riesce a insidiare il primato di queste due, alle quali seguono in ordine di frequenza immagini dedicate all’emancipazione femminile (23), a manifestazioni di massa, comizi e adunate (13), alle modificazioni della vita quotidiana (11), alla condizione dei bambini (8) e altre minori.

L’immagine del Novecento e della storia nel suo complesso che ne trarrà lo studente non è probabilmente quella cui puntava l’autore. Lo stesso accade con le risposte ad alcune semplici ma fondamentali questioni storiografiche. Qual è lo statista più importante del Novecento? Certamente Mussolini, dato che surclassa tutti gli altri comparendo ben 18 volte in Storyboard, 9 in Il Corriere della Storia e 7 in Scenari della storia. Quale il peso degli individui nel procedere della storia? Enorme, se i ritratti di personaggi celebri e ben individuabili occupano ben 86 immagini. Quale il peso delle donne in questo processo? Nullo, dato che le uniche due femmine individuabili sono Anna Frank e Jacqueline Kennedy mentre salta sul cofano dell’auto presidenziale nel momento in cui il marito è ucciso a Dallas (per inciso: la didascalia afferma che stava fuggendo, come suggerirebbe la percezione immediata dell’immagine. Ma è falso: stava istintivamente cercando di afferrare quella parte di cervello che aveva appena visto schizzare via dalla testa del marito, il che suggerisce una lettura molto diversa dell’immagine).

Figura 4. Una fabbrica di armi nel 1917.

Questioni di genere e stereotipi

Ancor più delle parole, le immagini sono potenti strumenti di creazione e diffusione di stereotipi, modelli ricorrenti e convenzionali di discorso, che si fissano come abitudini cognitive diventando opinioni precostituite in grado di influenzare l’esperienza e rimanendo scarsamente suscettibili alle smentite di quest’ultima.

Ovviamente autori e iconografi hanno ben presente la necessità che un manuale scolastico combatta gli stereotipi più comuni e deleteri. Lo si vede dall’attenzione dedicata ad alcuni nodi scottanti nella sensibilità contemporanea, come la condizione della donna. I manuali in esame destinano tutti un congruo numero di immagini a questo tema, sottolineando le lotte delle suffragette per il diritto di voto, la partecipazione femminile alla produzione industriale, agli eventi bellici e alle battaglie per i diritti civili nel dopoguerra.

A questa documentazione della vita sociale delle donne, tuttavia, fa da contrappunto l’evidenza di alcune connessioni che oggi tendiamo a considerare espressione di stereotipi. Ad esempio, le figure femminili sono di gran lunga prevalenti nelle immagini che documentano le modificazioni della condizione personale (moda, stili di vita, progressi materiali e così via), ribadendo così una divisione dei ruoli fra l’ambito politico, prettamente maschile, e la sfera domestica, intimistica e famigliare, in cui le donne svolgerebbero il loro ruolo precipuo.

Le donne sono presenti solo in quanto categoria sociale, come i bambini, i reduci o i popoli colonizzati, ma assenti come individualità storiche.Soprattutto, le donne sono presenti solo in quanto categoria sociale, come i bambini, i reduci o i popoli colonizzati, ma assenti come individualità storiche. È impressionante che in Scenari della storia non appaia neppure una sola immagine di una donna individuabile con nome e cognome, e che oltre ad Anna Frank e Jacqueline Kennedy (in Storyboard) siano rintracciabili (in Il Corriere della Storia) solo Margaret Thacher (vedi figura 2) ed Eva Perón (presentata però solo come moglie dell’illustre marito, senza accenni al suo ruolo politico neppure nel testo). Certamente le donne protagoniste riconosciute della storia del Novecento non sono molte, ma questi testi arrivano sino alla contemporaneità, per cui accanto a Ceausescu, Bob Dylan e Di Pietro potrebbero anche trovarsi Indira Gandhi, la regina Elisabetta o Angela Merkel.

E perché non Emma Bonino? Sarebbe un modo per riconoscere che anche i movimenti d’emancipazione femminile, come tutti gli altri movimenti sociali, hanno espresso leader (cioè donne) dalla personalità memorabile. Quello delle suffragette non fu solo un fenomeno sociologico: fu capitanato da eroine degne di una citazione e una foto almeno quanto molti eroi. E lo stesso si può dire per altri episodi: pensiamo alle istituzioni che si occupano della cura dei malati al fronte, dell’assistenza ai bambini e del soccorso ai poveri del mondo, che sono state fondate a seguito di battaglie in cui le donne hanno dimostrato notevoli capacità di leadership, da Florence Nightingale a Eglantyne Jebb, da Madre Teresa di Calcutta a Maria Montessori.

Ragionamenti analoghi si possono fare per altri temi che la sensibilità contemporanea giudica scottanti. Ad esempio la rappresentazione dei neri e degli africani, sempre, solo e unicamente centrata sull’efferatezza del loro sfruttamento in epoca coloniale e sulla drammaticità della loro attuale condizione materiale (siccità, mortalità infantile, degrado delle bidonville). L’immagine di un bambino nero riprodotta a pagina 44 di questa rivista compare ad esempio ben due volte in Storyboard per illustrare il problema attuale della carenza di acqua. I motivi che sottostanno a queste scelte di denuncia sono chiari e anche condivisibili; sta di fatto però che l’uso di un solo e unico registro per una realtà tanto complessa finisce per avere effetti stereotipizzanti, confermando l’equazione mentale fra l’Africa e una povertà atavica e irrisolvibile.

Anche la rappresentazione dei bambini è quasi totalmente improntata alla denuncia del loro sfruttamento (lavoro in fabbrica, bambini soldato) e delle sofferenze particolarmente efferate che le guerre provocano loro. Tutte cose vere, ma ancora una volta sono la costanza seriale di queste associazioni mentali e l’unilateralità del loro punto di vista ad avere effetti fuorvianti. Suggeriscono una visione in cui i bambini servono solo a dimostrare quanto grande sia la crudeltà degli adulti, tralasciando le occasioni in cui compaiono non come meri oggetti della storia ma come soggetti attivi, a volte persino esprimendo veri e propri leader, come Malala, di cui sarebbe bello vedere il ritratto.

Un’educazione alla lettura delle immagini

Dopo aver tanto criticato corre l’obbligo di dire almeno a grandi linee cosa si potrebbe fare. Di certo non poco, se solo nelle pagine gli ampi spazi oggi usati a scopo ornamentale fossero ripensati in un progetto organico e fondato sulla consapevolezza della loro portata cognitiva, per certi versi ancor più importante del testo nel costruire l’immaginario della storia, o la sua narrazione, come oggi si ama dire.

In un manuale dedicato al Novecento questo progetto dovrebbe proporsi di offrire agli studenti una strumentazione intellettuale atta a capire le molteplici, importanti e spesso controverse funzioni assegnate alle immagini nella vita civile e nelle lotte politiche attuali. Dato che non è il caso di approfondire qui questi temi, basti qualche esempio: la foto del piccolo Aylan annegato sulla spiaggia diventa un argomento importante nel dibattito politico sull’immigrazione; decine di giovani europei si lasciano sedurre da una propaganda jihadista che usa le tecniche hollywoodiane per estetizzare la guerra; la liceità di pubblicare vignette su Maometto è posta come un valore per cui si è disposti a uccidere e morire; la possibilità di diffondere subito e ovunque le immagini trasforma le esecuzioni in esibizioni spettacolari secondo un’inedita propaganda visiva di tipo orrorista. E così via: gli esempi possibili sono fin troppi anche rimanendo solo nell’ambito delle forme della guerra, il tema iconografico più considerato dai manuali.

La riflessione critica sul presente dovrebbe essere preparata dallo studio del passato, sviluppando una sistematica educazione alla lettura delle immagini. Ecco una possibile sintesi in ordine gerarchico crescente delle competenze che questa didattica potrebbe sviluppare.
Lo studente dovrebbe dapprima saper distinguere fra i diversi generi in cui le immagini si presentano, ognuno dei quali è connotato da una natura specifica: vignette, caricature, manifesti, opere d’arte, fotografie sono tutti documenti storici ma intrattengono un diverso rapporto sia con l’obiettività storica sia con le aspettative dell’osservatore. Dovrebbe quindi essere capace di distinguere il contenuto di un’immagine dall’uso, dalla funzione che assume in un contesto storico determinato. Dovrebbe poi abituarsi a leggere un’immagine come un testo polisemico e solo in parte intenzionale, in cui accanto a quelli previsti dall’autore sono spesso presenti significati ulteriori e inconsapevoli. È la via attraverso cui le immagini si prestano a veicolare stereotipi e pregiudizi.
La riflessione critica sul presente dovrebbe essere preparata dallo studio del passato, sviluppando una sistematica educazione alla lettura delle immagini.Lo studente dovrebbe essere indotto a riflettere su come i giudizi di verità sulle immagini siano profondamente influenzati dalle aspettative di chi le osserva. Ad esempio, una foto di guerra brutta e mossa appare più vera proprio per la sua imperfezione tecnica, che può anche essere simulata ad arte dal fotografo. Robert Capa fu il primo ad inventare questo sottile modo di suggestionare l’osservatore nella celebre immagine del miliziano spagnolo morente, giustamente riportata dai manuali pur senza commenti adeguati. Le aspettative sono determinanti, cambiano secondo l’epoca e dipendono persino dai mezzi tecnici con cui l’immagine è stata prodotta: la fotografia nell’era digitale vede perdere l’aura di oggettività che possedeva nell’era della impressione chimica.

Un bambino del Darfur – da internet.

Immagini e sofferenza

Un manuale di storia dovrebbe infine puntare a sviluppare competenze nel campo dell’educazione civica, ad esempio sottolineando la portata etica di scelte iconografiche apparentemente innocenti. Le immagini sono un ottimo strumento per documentare le sofferenze, e i tre manuali in esame insistono molto sul registro della denuncia. Ma fino a che punto le sofferenze altrui possono essere usate per esprimere un concetto? Il rispetto verso chi sta patendo è anch’esso un valore etico da salvaguardare. E soprattutto: possono le convenzioni che regolano le testimonianze visive del dolore umano essere diverse secondo l’etnia del sofferente? La coscienza civile ripudia l’idea, ma questa è la pratica corrente, purtroppo anche nei nostri manuali oltre che nel resto della carta stampata. Su un quotidiano non è possibile trovare il volto di un bambino morente, né quello di un cadavere a seguito di un incidente stradale, ma le convenzioni saltano se a morire è un bambino africano o la vittima di una strage in un Paese esotico.

Infine, porrei come competenza massima l’acquisizione di una sana diffidenza nei confronti di tutte le immagini, l’assunzione verso di esse di un atteggiamento pregiudizialmente critico e caratterizzato dal sospetto. Se si vuole, la consapevolezza che, ancor più delle parole, le immagini sono un ottimo strumento per mentire. Solo l’abitudine a questo dubbio estremo può riequilibrare l’impressione di verità che ogni immagine reca in sé

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Ubaldo Nicola

Direttore del cartaceo de La ricerca e coautore dei manuali Loescher Filosofia: “Dialogo e cittadinanza”, “Il nuovo pensiero plurale”, “Passeggiate filosofiche”, “Pensare la Costituzione”.

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