Martellate di ottimismo

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È uscito il numero 25 de La ricerca, “Uomini e bot”, dedicato ai chatbot e a tutti quegli assistenti artificiali 
che (forse) stiamo imparando a conoscere e a usare. L’editoriale.

Ci sono analogie potenti che apparentemente aiutano a comprendere e che invece rischiano di confondere. Come quando diciamo «buco nero» e il pensiero, pur istruito, va dove spinge la metafora: all’immagine di un buco, di un varco, di un vuoto e non, come dovrebbe, a quella di un pieno, massicciamente denso e attrattivo.

Per me con l’«intelligenza artificiale» è lo stesso. Se è intelligente, penso a un cervello umano, e a quello che sa fare un cervello umano. E siccome è artificiale, penso a un cervello umano creato dall’uomo «a sua immagine e somiglianza». Le stesse pulsioni dell’uomo, le stesse intenzioni. Tra le altre, quella supremamente umana del controllo e del dominio. All’uomo nella mia mente spetta il ruolo ora di divinità onnipotente, ora di apprendista stregone.

Suggestioni fantasy? Tutt’altro, dal momento che gli stessi creatori dei più diffusi software di IA si ritirano in disparte a stilarne il bugiardino, elencando tra le controindicazioni la possibile estinzione del genere umano!

Sono cose che non lasciano indifferenti e di fronte alle quali crediamo ci spetti il modesto compito di tentare un chiarimento, entro i limiti angusti e non specialistici di questa pubblicazione.

Cominciamo quindi dal posizionamento: apocalittici o integrati? Né gli uni né gli altri, o forse entrambi. Attenzione critica e consapevole, piuttosto, alle implicazioni del balzo evolutivo che potrebbe favorire questa nuova tecnologia. In positivo e in negativo.

Personalmente confuso, leggendo i contributi mi si chiariscono le idee mentre si sfumano le convinzioni. Per esempio, tornando all’ingannevole metafora iniziale: l’intelligenza artificiale non è intelligente. Su questo sembrano concordare tutti. Il software segue strade sue, probabilistiche e non semantiche. Imita e non capisce, o meglio, imita senza sapere. È l’intelligenza del tostapane, dice il filosofo: l’ordigno scalda delle resistenze, ma non sa di scaldarle e, soprattutto, non può immaginare a cosa serva farlo… E qui mi accorgo che mi manca una definizione certa di intelligenza: è intelligente risolvere problemi o sapere di saperlo fare? Intelligenza o coscienza? O autocoscienza? Ad aumentare la mia confusione, l’ipotesi che sia solo questione di tempo e di potenza di calcolo perché l’IA, non intelligente adesso, possa diventarlo in un futuro non lontano…

E poi… L’IA non è nemmeno creativa, limitandosi a ripetere lo stereotipato immaginario dei suoi creatori. Vero, ma forse no. O meglio: vero a meno di non rivedere il concetto stesso di creatività, fortemente condizionato dal contesto (anche tecnologico) in cui viviamo (e qui mi soccorre l’immagine suggerita da Capodivacca, quella del martello che spinge a cercare cose da martellare).

Anche in questo caso mi rendo conto di non avere una mia formula definitoria della creatività umana, così come di quasi ogni altro concetto tirato in ballo. E allora oscillo senza soluzione tra la paura e la speranza che ogni prospettiva sembra aprire: e se da un lato l’IA mi appare pericolosa (imprevedibile); disfunzionale ed economicamente dannosa (incentiva alla pigrizia e sottrae lavoro); antidemocratica e manipolatoria (può controllare gli esseri umani e costringerli in una bolla di menzogne)… dall’altro mi accorgo dell’enorme potenzialità che esprime attraverso il racconto dell’uso intelligente, creativo, inclusivo, funzionale e democratico che di essa si fa – già ora – in molte realtà scolastiche del nostro territorio.

Ripenso al martello di cui si è detto: arma terribile in potenza, strumento operoso e benefico in atto. E mi scopro ottimista.

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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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