Tre buoni motivi per insegnare

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È uscito il numero 22 de «La ricerca» di Lœscher editore: “Professione prof”. Il fascicolo esplora percezione, formazione, storia del mestiere di insegnare, con un dossier sui modelli di carriera all’estero. L’editoriale del numero, di Sandro Invidia.

Ho conosciuto qualche anno fa un docente torinese, Marco G., preparatissimo, aggiornato, rinnovatore e motivato, che amava girare con una t-shirt su cui campeggiava in grande una scritta ad arco, sopra e sotto il disegno di una mano con tre dita alzate.

Sopra: “Tre buoni motivi per insegnare”.

Sotto: “giugno, luglio e agosto”.

Irrisione autoironica e intelligente, stranamente indossata da chi tutto era fuorché un insegnante sfiancato.

Conoscendolo meglio, ho poi capito che si trattava di una orgogliosa rivendicazione di appartenenza, che aderiva provocatoriamente alla rappresentazione macchiettistica che della categoria proponeva (e propone) la vulgata più vieta.

Già, perché a chiedere un giudizio spassionato sugli insegnanti a chi non sia del mestiere si ottiene un mosaico di risposte, spesso contraddittorie, quasi sempre basate sulla personale esperienza della scuola che ognuno rivendica o rigetta.

Unico comune denominatore: la mezza giornata di lavoro, i tre mesi di ferie, l’assenza di controllo…

Ora, chiariamoci: io quel mestiere l’ho fatto per dieci anni, e ne conservo un ricordo bello e faticoso. Dopo tanti anni di lavoro aziendale, posso serenamente dire che non mi sento un lavoratore più impegnato e controllato di allora.

Di certo, più appagato economicamente. Quasi sempre, più “apprezzato” socialmente.

Il che certo non guasta, anche se la cosa mi suona come un’ingiustizia verso quell’io che sono stato e della cui esperienza si avvantaggia il mio io presente.

La cosa che però più mi sorprende ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dall’ultima volta che sono entrato in una classe per tenervi una lezione, è quanto poco sia cambiata la percezione della scuola e dei suoi professionisti che se ne ha al di fuori.

Mi sorprende, dicevo, perché nel frattempo è davvero cambiato il mondo, e sono cambiate le richieste che da questo arrivano a bussare alle porte della scuola italiana.

Dal mio osservatorio particolare, io mi rendo conto della cosa dal semplice confronto tra i libri di testo di allora e di oggi, con tutto il corredo di materiale ancillare (guide, risorse, eserciziari, soluzioni, multimediale), da sfogliare, guardare, ascoltare.

Considerando le richieste che i libri di testo fanno oggi ai docenti (in ossequio alle indicazioni nazionali, ai bisogni educativi, agli stili di apprendimento, alle sensibilità sociali e ambientali, alle evoluzioni didattiche, alle emergenze sanitarie…), e confrontandole con quelle di tanti anni fa, si fatica a riconoscere un comune destinatario. Anzi, a dirla tutta, si fatica perfino a capire che tipo di professionista si immagina possa essere chiamato ad assolvere con competenza e pertinenza a tutti i compiti che oggi vengono proposti.

Viene allora più facile figurarselo sdraiato sotto l’ombrellone per tre mesi d’estate… e mugugnare.

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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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