London come Bianciardi (o viceversa?)

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Martin Eden racconta la storia di un giovane americano di origine proletaria che, spinto dall’amore per una ragazza dell’upper class, intraprende un percorso di riscatto attraverso lo studio matto e disperatissimo, il lavoro forsennato con cui mantenersi, la lotta politica nel partito socialista e la scrittura di saggi, racconti e romanzi grazie ai quali avrebbe dovuto garantirsi il reddito necessario a sposare l’amata Ruth. Ma Ruth, per quanto colta e raffinata, è una ragazza di vedute limitate, oppressa da una madre autoritaria, e incapace di comprendere fino in fondo l’indomito Martin – il quale rifiuta impieghi regolari per proseguire testardamente nel cammino verso quella fama letteraria che, una volta arrivata, non sarà sufficiente a dare un senso alla sua vita.

Scrive Jack London (San Francisco, 1876 – Glen Ellen, 1916), in una lettera a un ammiratore: “…Martin Eden sono io. Martin Eden muore perché era un individualista, io vivo perché sono un socialista e ho una coscienza sociale” (dicembre 1912).
Il romanzo, ideato e in parte scritto a bordo della sua nave – lo Snark – con la quale stava intraprendendo un viaggio intorno al mondo, esce nel 1909, sei anni dopo la pubblicazione de Il richiamo della foresta (1903) e ad appena un anno dall’uscita de Il tallone di ferro (1908). Martin Eden mette in scena gran parte della vita del suo autore ed è uno dei libri più significativi per la generazione di Kerouac e Ginsberg, che nel vitalismo romantico e nel socialismo scientifico del californiano London ha potuto radicare il suo pensiero politico, libertario e comunista insieme, e il suo gusto per la natura selvaggia, per il viaggio avventuroso e per il suicidio alcolico.

Ho iniziato a leggere Jack London all’incirca verso i trent’anni, e credo sia stata una fortuna non averlo fatto prima. Mi ero divorato Zanna bianca a tredici, e mi aveva colpito profondamente, ma del suo autore ho cominciato a interessarmi assai tardi, mentre ero sulle tracce del mio concittadino Luciano Bianciardi, alcolista come London, e traduttore del romanzo autobiografico che quest’ultimo aveva dedicato proprio alla sua esperienza di bevitore (John Barleycorn, 1913).
Di London, il socialista-anarchico Bianciardi doveva aver colto soprattutto la sua attenzione alla dimensione economica della vita, il suo interesse quasi ossessivo per il tempo e per l’energia che sono necessari a un uomo per procurarsi di che vivere.

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Si legge in Martin Eden (traduzione italiana di Paolo Petroni, La Biblioteca di Repubblica 2004, p. 244):
Naturalmente erano notizie buone. In quella busta tanto sottile non c’era un manoscritto, perciò doveva esserci una lettera d’accettazione. Si ricordava quale racconto avesse mandato al “Transcontinental”. Era Il suono delle campane, uno dei suoi racconti dell’orrore, ed era anche un racconto di cinquemila parole. E, visto che le riviste di prima qualità pagavano sempre al momento di accettare qualcosa doveva esserci un assegno all’interno della busta. Due centesimi a parola, venti dollari ogni mille; l’assegno doveva essere di cento dollari. Cento dollari! Mentre era intento ad aprire la busta gli tornavano alla memoria tutte le cifre dei suoi debiti: 3,85 dollari al droghiere; al macellaio 4,00 dollari tondi; 2,00 al fornaio, 5,00 al fruttivendolo. In totale 14,85 dollari. Poi c’era l’affitto della stanza, 2,50; più un mese di anticipo, altri 2,50; due mesi per la macchina da scrivere, 8,00 dollari, più uno in anticipo, altri 4,00: in totale 31,85 dollari.

Scrive Luciano Bianciardi nell’ottavo capitolo del suo romanzo autobiografico La vita agra (Rizzoli 1971, pp. 143-44), storia di un traduttore a cottimo nell’Italia del boom economico:
Anna stava alla macchina […]. Me ne stavo disteso sul letto, col libro in mano e il vocabolario accanto e dettavo.
A che cartella siamo?”
Alla decima.”
Andiamo bene, vero?”
Sì sì.”
Sei un po’ stanca?”
No, no, detta, dai.”
Pensa, quattromila lire ce le siamo già guadagnate.”
Davvero.”
Due vanno a Mara, una al padrone di casa, la quarta paga la luce, il telefono, il gas, il latte e il pane.”
Sicuro, e ora guadagnamoci il companatico. Dai, detta.”
Riuscivamo a fare anche quindici, anche venti cartelle al giorno. Due a Mara, una al padrone di casa, una per luce-gas-telefono-pane e latte, un’altra per le rate dei mobili e dei vestiti, due per il companatico e per le sigarette.

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E ci sarebbe da leggere anche oltre, e sarebbe necessario approfondire – in entrambi gli autori – il rapporto stretto tra biografia e invenzione letteraria, tra saggio e romanzo, tra argomentazione e narrazione. Perché se Bianciardi con i suoi romanzi ha spiegato agli italiani prima il boom economico e poi il risorgimento, non va dimenticato che London, coi suoi racconti, saggi e romanzi, ha illustrato ai lettori di tutto il mondo – e anche, si sospetta, a tanti non lettori – il socialismo scientifico, diffondendo e radicando in migliaia e migliaia di persone il pensiero di Marx, i principi di Darwin, le idee di Spencer… (pare che il nome di Ernesto Che Guevara si debba al protagonista del Tallone di ferro, Ernest Everhard, e che su quel libro si siano formati Mussolini, che durante la dittatura fascista proibì la sua traduzione e pubblicazione in Italia, Lenin, e milioni di militanti socialisti di tutto il mondo).

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Ma in questa fine d’agosto 2014, nell’epoca in cui le tecniche dello storytelling sono utilizzate soprattutto per manipolare la pubblica opinione e per stimolare l’insorgere di bisogni sempre nuovi, mi limito a segnalare una lettura estiva di tutto rispetto: la biografia di Jack London di Irving Stone (titolo originale: Sailor on Horseback, Marinaio a cavallo), del 1938, pubblicata da Castelvecchi nel 2013. Difficile prendere le distanze da London, dopo aver letto questo libro, tanto riesce a entrare in sintonia l’autore con il suo protagonista. E per quanto avessi preferito un approccio più filologico e, in certi punti, addirittura, più didascalico e schematico, è bello e divertente ritrovarsi a fianco di questo “personaggio enorme” – come lo definisce Goffredo Fofi nella sua non agiografica prefazione all’edizione feltrinelliana di Il tallone di ferro – che a 15 anni compra la sua prima barca per “lavorare” come razziatore di ostriche nella baia di Hudson, a 17 si imbarca per sei mesi su un mercantile per il Giappone, a 18 si unisce a una marcia di disoccupati per vagabondare attraverso l’America, a 21 parte per la corsa all’oro in Klondike, a 25 è candidato sindaco di Oakland per il partito socialista, ecc. ecc.
Un uomo che, una volta diventato scrittore, scrive regolarmente mille parole al giorno e arriva a guadagnare milioni di dollari, che investe regolarmente in imprese folli e disperate, degne di Alexandre Dumas, nelle quali mette a lavoro decine e poi centinaia di persone, tutte regolarmente retribuite. Capace di offrire da bere a un intero paese e di ospitare d’abitudine nella sua casa decine di persone più o meno conosciute, non sapeva resistere alla tentazione di fidarsi di tutto e di tutti.

Aveva sempre affermato di volere una vita breve e felice. Aveva voluto risplendere nel firmamento della sua epoca come una scia luminosa di fuoco per imprimere l’immagine delle proprie idee nella mente di ogni essere umano. Aveva voluto ardere in fretta e risplendere e bruciarsi per paura che la morte potesse coglierlo impreparato con un ultimo dollaro da spendere e un pensiero da comunicare (Stone, Jack London, p. 366).

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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