Lavorare sui traguardi

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Una volta, all’inizio dell’anno, si compilava la programmazione per obiettivi, ed era sempre un po’ faticoso. L’incontro con il WRW mi ha insegnato invece a progettare per competenze e a lavorare prima a ritroso, e poi per piccoli step successivi.

Questo modo di pianificare la didattica non ha nulla a che vedere con la “programmazione” che si faceva una volta – e che ancora esiste, sui modelli che a inizio anno molte scuole richiedono di compilare. Progettare non è programmare. Lucy Calkins, una delle maestre del WRW, dice che «il laboratorio è un luogo prevedibile dove l’imprevedibile può accadere».

Chi lavora seguendo questo metodo sa benissimo cosa intende: occorre lavorare in classe in modo strutturato, ma non così rigido da non saper accogliere i cambi di percorso che le situazioni e gli studenti possono richiedere di volta in volta. Del resto, è ciò che viene esplicitato in tutte le normative del Ministero dell’Istruzione. Gli obiettivi con cui programmavo prima sono standard, e non costituiscono competenze vere. Oggi si lavora sui traguardi, il che è proprio molto diverso. Io so dove voglio portare la mia classe ma do a ciascuno o a ciascuna l’opportunità di arrivarci nei suoi modi e nei suoi tempi.

Nel WRW i traguardi si chiamano «finish line», un’espressione che personalmente mi ricorda il filo che si strappa alla fine di una gara di atletica. Non per il concetto di gara, ovviamente, ma per l’idea che lí, con tempi diversi e correndo su corsie diverse, arrivano tutti.

Ecco: se si lavora progettando traguardi, tutti alla fine arrivano, e non senza lasciare indietro nessuno.

Ora: cosa propone il WRW? Una progettazione di lavoro che parte dalla mia linea di arrivo finale. Ad esempio: nel primo quadrimestre vorrei che i ragazzi scrivessero un testo autobiografico perché quel tipo di testo ( lo penso) è la palestra nella quale si gettano le basi della scrittura autonoma.

Il passo successivo, ovviamente, non è dettare una traccia e dare tre ore di tempo per scrivere. Ma è invece chiedersi: cosa devono saper fare gli studenti per arrivare là? E come seconda domanda: come (ovvero insegnando quali strategie) li posso condurre e accompagnare?

Quindi io lavoro così: suddivido il traguardo in step successivi, e per ognuno penso utili strategie da insegnare, costruendo per ognuna una minilesson. Lavorare così è faticoso. Da una parte prevede tanto lavoro casalingo per gli studenti (non al posto degli studenti!), dall’altra prevede la capacità di individuare le strategie e saperle insegnare, cioè saper passare dallo “spiegare” al “mostrare”. Una parte importante delle ML è infatti il coinvolgimento attivo, ovvero chiedo agli studenti l’immediata applicazione di ciò che hanno visto e ascoltato. Questo permette di consolidare l’apprendimento, perché il fare aiuta sempre (come Dewey insegna).

Ma in pratica? In pratica, tornando all’esempio del testo autobiografico, alla prima consegna (dopo circa un mese di laboratorio) chiedo un memoir breve (di solito) e mi preparo cinque o sei ML, ognuna per una strategia di scrittura che considero utile. Non sono in realtà sempre le stesse, ma dipendono dalla classe e dalle esigenze degli studenti. Ad esempio: scrivere un buon incipit, paragrafare, mostra non dire, mettere un buon titolo, o altre strategie simili. Sostanzialmente concentro il mio sforzo didattico su un solo teaching point ben focalizzato.

Come si insegnano le strategie? Con l’esempio pratico: usando i testi mentore tratti dalla letteratura, dal web o a volte scritti dal docente. È importante infatti che anche il docente scriva: come si può insegnare qualcosa senza averla sperimentata in precedenza? Le strategie si insegnano come vere e proprie istruzioni di lavoro, quindi saranno:

  • pratiche
  • replicabili
  • concrete
  • supportate anche visivamente
  • rintracciabili con un nome preciso.

A questo proposito, credo che sia molto importante stabilire un lessico comune all’interno della comunità di scrittrici e di scrittori che si costruisce in classe. Questo lessico comune serve a tutti per discutere dei testi, valutarli e dare feedback anche fra pari, tra compagni.

Insegnare strategie è veramente un modo interessante e molto efficace di lavorare su lettura e scrittura. Permette una azione didattica vera, un modo di essere incisivi in un processo di apprendimento, ed è anche una modalità altamente inclusiva.

Consente infatti a ognuno e a ognuna di partecipare alaboratorio con le strategie che ha imparato, rielaborato e fatto proprie, seguendo un percorso personale e individuale e raggiungendo, piano piano, autonomia come lettore o lettrice e come scrittrice o scrittore. Ecco che così si lavora davvero sulle competenze, come tutti i documenti del MIUR ci chiedono da anni.

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Sabina Minuto

Insegna lettere nella scuola superiore di II grado, a Savona. Si occupa da anni di metodologie didattiche, in particolare dei laboratori di lettura e scrittura messi a punto dalla Columbia University (Writing and Reading Workshop) contribuendo a portarne in Italia il metodo.

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