Insegnanti #1

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Insegnanti che parlano bene di altri insegnanti. Per quanto la cosa possa sembrare noiosa, bisogna ammettere che suona originale. Parlar male della scuola e degli insegnanti, infatti, sembra ormai diventato uno sport nazionale, praticato da studenti, ovvio, e anche da genitori, da politici e perfino dagli insegnanti stessi e dai dirigenti scolastici, questi ultimi tutti rigorosamente ex insegnanti. Ma ormai il dado è tratto, ho deciso. Io, insegnante e formatore di insegnanti, parlerò bene dei colleghi. Non di tutti, certo, anche perché non mi basterebbe il tempo. Ne sceglierò alcuni, secondo criteri che di certo sono sindacabili ma hanno almeno il merito di essere verificabili. Criterio numero uno: devono essere ancora in attività (niente ex insegnanti o insegnanti in pensione). Numero due: devono avermi insegnato qualcosa (anche una cosa piccola, minima, perché la didattica è una questione assai pratica, a volte terra terra). Tre: devono essere disposti a incontrarmi, a dedicarmi del tempo e, infine, a farsi raccontare.
Il sentiero del Ponale. Bello, no? fonte: tr3ntino.it, Foto: AT, © Peer.

Ho conosciuto Stefano Lotti nell’aprile del 2008 a Trento. Ero lì insieme a un altro insegnante, Silvio Paladini, per fare una sorta di audizione con alcuni dirigenti e funzionari della provincia autonoma, i quali erano interessati a capire se si potessero usare le tecnologie digitali per coinvolgere alcune centinaia di studenti drop-out – i famigerati dispersi, rimasti ai margini della scuola e della formazione professionale.

A un certo punto ci presentarono un insegnante del liceo scientifico di Riva del Garda, il quale avrebbe dovuto illustrare il funzionamento della LIM, l’ormai famigerata (ma in quel caso utile, utilissima) lavagna interattiva multimediale. Il mio iniziale scetticismo si sciolse subito di fronte a una splendida lezione su una versione dal latino che comportava l’uso di Moodle (un LCMS, Learning Content Management System) per la condivisione dei materiali con gli studenti.

Per me potrebbe bastare così. Tornai a casa con un’informazione che avrebbe avuto conseguenze importanti sulla mia carriera di ricercatore e di consulente. Chissà, forse avrei comunque imparato a usare Moodle, ma sono certo che senza l’incontro con quel latinista e grecista smanettone non avrei avuto lo stesso entusiasmo iniziale né la fiducia che hanno contribuito ad ammorbidire le mie posizioni nei confronti delle tecnologie che stavano colonizzando la scuola e, soprattutto, il pensiero degli insegnanti e dei politici.

Lotti è un insegnante fortunato, consapevole del valore dei suoi alunni e del contesto in cui lavora, il liceo di una cittadina turistica situata in una delle aree più ricche d’Italia, famosa per la qualità della vita e per la straordinaria bellezza paesaggistica. Quando sono andato a intervistarlo, all’inizio di settembre, mi ha portato a camminare lungo il sentiero del Ponale, un tracciato panoramico scavato nella roccia, a picco sul Lago di Garda. E lì mi ha parlato della sua tranquilla carriera – 31 anni su 34 di insegnamento trascorsi nella stessa scuola –, dei suoi pacifici alunni e della sua totale incapacità di annoiarsi.

Ecco, la didattica di Stefano Lotti mi pare si possa riassumere in un solo motto: bando alla noia. Nemica numero uno di alunni e insegnanti, per Lotti la noia è da combattere attraverso la partecipazione attiva e curiosa degli studenti alla costruzione del loro sapere e, quindi, del sapere dell’intera comunità di cui fanno parte. A questo serve la piattaforma online: a dare concretezza e visibilità a ciò che normalmente rimane al chiuso delle cartelle e dei quaderni.
Devi fare un compito in classe? Bene: fallo, e dopo che hai scritto il tuo tema, per esempio, fagli una fotografia, portala a casa, caricala sul computer e correggilo. Carica il testo sulla piattaforma della classe e proponi le tue correzioni, motivale, convinci il docente ad alzarti il voto. Il docente, ubbidiente, leggerà rapidamente il testo e si soffermerà sul tuo modo di ragionare, sulla tua capacità di individuare e correggere gli errori, ovvero sulla tua capacità di imparare: ben più divertente che portare a casa la mazzetta dei compiti da correggere.

Lotti si definisce un artigiano e non è abituato a scrivere le sue esperienze didattiche, ma quando le racconta e descrive è un fiume in piena. È un esperto di didassi, dice lui, non di didattica. E ha voglia di condividere, non è geloso delle sue scoperte. Sa che quello che fa è il frutto di invenzioni altrui, che lui ha avuto la fortuna e l’abilità di scoprire grazie al suo intuito, alla sua curiosità e alla sua efficace rete di relazioni con persone più giovani, rete di cui i figli sono una parte importante.

Mentre tornavamo verso casa, dopo la nostra breve passeggiata lungo il lago, a un certo punto si è fermato, mi ha preso per un braccio e mi ha spiegato in modo puntuale, nonostante non avessimo davanti lo schermo di un pc, come fare ad assegnare il ruolo di amministratore agli studenti per svolgere alcune attività su Moodle. Quello è il massimo, mi ha detto, quando loro sono amministratori e svolgono le attività al grado più alto di autonomia e responsabilità. Loro fanno, io osservo e valuto.

L’insegnamento del latino è un po’ la sua fissazione. Lo racconta come una sfida quotidiana, una lotta contro la demotivazione e l’insensatezza. Condividiamo, io e lui, un atteggiamento critico nei confronti delle pratiche tradizionali. Troviamo imbarazzante l’idea che la versione sia una specie di esercizio di logica applicato alla lingua. Sostiene l’opportunità di lavorare a partire da traduzioni d’autore. Un passo dell’Eneide tradotto da Alessandro Fo, per esempio, da sottoporre a revisione. In questo modo si è costretti a mettere a confronto i testi e le lingue. Non serve scaricare da internet la versione già fatta, e non è necessario avere una perfetta padronanza della lingua latina. Serve semmai la pazienza di stare con l’occhio sul testo (il bitesto, direbbero alcuni traduttologi, pensando ai due testi l’uno a fronte dell’altro, inseparabili) e ricostruire, con l’aiuto della traduzione e del dizionario, il processo traduttivo già avvenuto, certo, ma che avrebbe potuto avere un esito diverso.

Confesso di essere tornato a casa frastornato, oltre che arricchito. Dal mio bottino potrei tirare fuori molti altri strumenti, siti internet, software, funzioni particolari di Moodle. Voglio lasciarli in secondo piano, anche perché so che non avrei modo di sperimentarli tutti nell’immediato, e poi perché non vi voglio annoiare. Farei un pessimo servizio al mio collega.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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