È tempo 
di cambiare

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Forse l’Europa riuscirà a modificare la condizione professionale degli insegnanti italiani. Riflessioni su una riforma imminente. Dal numero 22 de «La ricerca», “Professione prof”.
Un’aula negli anni Settanta. Foto Wikicommons.

Nei giorni in cui va in stampa questo numero de «La ricerca» [primi di maggio 2022, N.d.R.], il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha presentato le linee guida di un’imminente riforma della scuola.

Sul tavolo vi è, in particolare, la condizione professionale degli insegnanti, con misure che riguardano il reclutamento, l’accesso alla docenza, la struttura della carriera e la formazione, sia quella precedente all’assunzione sia quella da svolgere in servizio. I provvedimenti specifici ancora non sono definiti, ma i princìpi ispiratori sembrano ben chiari, se non altro perché ribadiscono quelli già enunciati dai più recenti tentativi (la riforma Berlinguer nell’anno 2000 e la “Buona scuola” di Renzi) di modificare lo status professionale dei docenti, tutti clamorosamente falliti.

Si prevede che i docenti, oltre a essere ovviamente laureati nelle materie di insegnamento, acquisiscano anche nozioni antropologiche e psicopedagogiche; che mettano alla prova le loro capacità didattiche in un periodo di tirocinio, e che le competenze così acquisite siano alla fine valutate, con la possibilità che l’assunzione a tempo indeterminato sia rifiutata, nel caso di un giudizio negativo.

Si prevede che tutti i docenti continuino a studiare, anche dopo l’assunzione, in corsi formativi obbligatori, e che quelli più volonterosi, che in tale formazione si impegnano in privato, godano di speciali riconoscimenti, anche di tipo economico.

Si prevedono infine accelerazioni di carriera legate non solo all’anzianità ma anche all’assunzione di nuovi ruoli nell’ambito scolastico (forse con il riconoscimento di nuove figure professionali), al fine di potenziare, si dice, il middle management dell’istituzione. Cioè, in altre parole, di riconoscere anche sul piano formale ed economico il ruolo essenziale svolto da quel 10% di professori, volonterosi ed entusiasti, che mantengono viva l’istituzione (la stima è spanno-metrica ma ben accreditata da molti addetti ai lavori).

Per l’annosa questione dei precari, infine, si prevedono norme che da una parte facilitino il loro accesso ai concorsi, dall’altra ribadiscano la necessità di superare con successo questi ultimi per accedere alla professione.

A me sembrano tutti princìpi giusti e riforme ben adatte al contesto italiano, anche se bisogna aspettare di vedere come saranno poi articolati in concreto. Non è questo però l’atteggiamento dei sindacati, che già da ora chiamano alla lotta, sia perché giudicano erronei e impraticabili tali princìpi, sia per non essere stati coinvolti come protagonisti essenziali nella progettazione della riforma. La Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (FLC CGL) parla di «proposte irrealistiche e irricevibili», di un «decreto solo da respingere».

Riuscirà l’Europa a modificare lo status dei docenti italiani? A rendere concreti i principi di selezione, meritocrazia e differenziazione fra insegnanti, sul cui rifiuto sono a suo tempo naufragati i tentativi di Berlinguer e di Renzi?

Forse sì, perché questa volta la riforma è non solo razionale e possibile, ma anche assolutamente necessaria, per lo meno se si vogliono incassare i fondi europei del Piano di Ripresa e Resilienza. Sarà quest’argomento, probabilmente, a travolgere le resistenze e a dettare tempi ristrettissimi nella formulazione dei provvedimenti (entro il 30 giugno), impedendo così di fatto ogni coinvolgimento dei docenti (oltre che dei loro sindacati) nella loro progettazione. Forse è la volta che si cambia davvero.

Ma non mancano perplessità. L’esperienza passata dimostra che ogni riforma della scuola calata dall’alto e giudicata con favore solo da quel 10% di insegnanti entusiasti di cui si parlava finirà con l’essere snaturata e svuotata se non coinvolgerà una quota consistente del restante 90%, in cui si sommano pochi lavativi e molti scettici, delusi da un sistema che non offre occasioni per crescere, ma che abbraccerebbero volentieri la possibilità di mettersi alla prova.

Che fare, quindi? Per quanto ci riguarda pubblichiamo in questo Dossier non opinioni ma dati e notizie su come di fatto gli insegnanti sono reclutati e poi valutati nel corso del servizio in altri Paesi, europei e non. Un’opera di aggiornamento che dovrebbe da sola, per lo meno nelle intenzioni, togliere dal campo molti argomenti basati non su giudizi di merito ma sul presupposto che certe proposte siano irrealistiche e irricevibili perché impossibili a realizzarsi o contrarie a qualche principio costituzionale.

Valutare il lavoro degli insegnanti, ad esempio, è una prassi comune a molti Paesi, anche democratici, e le istituzioni educative internazionali propongono diversi modelli per realizzare tale obiettivo, anche tenendo conto delle particolarità nazionali.

Ma ci sono altre perplessità. Anche se la riforma si dimostrasse buona e fosse accompagnata da un dibattito corretto e coinvolgente (dico dei professori, non solo dei loro sindacati), l’effettivo status dei docenti italiani cambierà solo quando si riuscirà a modificare l’immagine sociale della loro professione.

Le particolarità dell’Italia in questo ambito sono numerose, e tentiamo di darne conto nei box informativi che corredano il Dossier. Il nostro è fra i pochissimi Paesi che non prevedono alcun riconoscimento simbolico ai maestri e professori, compresa la Giornata Mondiale a loro dedicata dall’UNESCO, celebrata invece in ben 102 Stati (per averne la lista bisogna cercare in Wikipedia, ma nella versione inglese, non italiana). E la nostra avversione verso ogni forma di riconoscimento premiale dell’eccellenza professionale ci impedisce di adottare molte buone pratiche già ben sperimentate all’estero. Si consideri ad esempio il National Teacher Day, celebrato negli Stati Uniti dal 1952 (spiegato in dettaglio nel box a fianco). Tra le altre cose, è anche un modo per dar voce agli insegnanti, per selezionare un gruppo di rappresentanti della categoria da consultare quando si vuol mettere mano a riforme scolastiche o insorgono emergenze, come l’epidemia da Covid-19. Una pratica, quindi, che concerne anche il problema della rappresentanza, affrontato in Italia solo attraverso un confronto sindacale, la cui insufficienza è, a mio avviso, plateale.

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Ubaldo Nicola

Direttore del cartaceo de La ricerca e coautore dei manuali Loescher Filosofia: “Dialogo e cittadinanza”, “Il nuovo pensiero plurale”, “Passeggiate filosofiche”, “Pensare la Costituzione”.

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