Dentro la scatola nera #1. Racconti di scuola “senza voto”

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Inauguriamo oggi una rubrica, curata da Sonia Bacchi, dedicata a esperienze di scuola “senza voto” in diversi ordini e gradi, per ragionare e trovare insieme strumenti e strategie.

 

 

Event Data Recorder, scatola nera, black box: sono tanti i modi per definire il dispositivo elettronico delle dimensioni di una comune scatola da scarpe che, installato all’interno di una vettura, a bordo di un aeromobile o di un’imbarcazione, raccoglie e registra dati sugli spostamenti, permette il monitoraggio delle informazioni inerenti il mezzo di trasporto e lo stile di guida del conducente.

Per alcuni aspetti la valutazione parrebbe o potrebbe essere la “scatola nera” dell’apprendimento. L’idea non è nuova. Lo sostenevano già nel 1998 Paul Black e Dylan Wiliam[1], convinti che la valutazione rappresentasse il cuore di un insegnamento efficace:

Partiamo dall’affermazione evidente in sé stessa che l’insegnamento e l’apprendimento devono essere interattivi. Gli insegnanti hanno bisogno di conoscere i progressi e le difficoltà di apprendimento dei loro studenti, in modo da poter adattare il proprio lavoro e venire incontro ai bisogni degli alunni.

Usiamo il termine generale di valutazione (assessment) con riferimento a tutte quelle attività svolte da parte degli insegnanti – e dai loro studenti nella valutazione di sé stessi – che forniscono informazioni da utilizzare come feedback per modificare le attività di insegnamento e di apprendimento.

Nelle interazioni umane, la valutazione è un processo sempre presente e a carattere fortemente pervasivo: tende, cioè, a diffondersi in modo penetrante in tutti i momenti della vita di un individuo, fino a prevalere, a dominare, coinvolgendo conoscenze, valori e opinioni dei soggetti che elaborano giudizi e di coloro che ne sono oggetto. La valutazione è un processo dinamico, caratterizzato nei suoi aspetti da continua variazione; interattivo e simmetrico, per cui ciascuno di noi formula giudizi sugli altri ed è a sua volta oggetto di giudizio. Soprattutto, la valutazione è un processo riflessivo: sono gli altri a offrirci con i loro giudizi uno specchio in cui vederci riflessi; sulla base dei giudizi ricevuti, ciascuno elabora un’opinione sulla propria persona[2].

È appunto la natura pervasiva della valutazione a farne un elemento centrale dell’apprendimento.

Come è noto, l’ambiente di apprendimento ha una forte caratterizzazione sociale e meta-cognitiva: esso crea una comunità, al cui interno i ragazzi collaborano nella risoluzione di compiti e problemi, si scambiano pareri e punti di vista, imparano a confrontarsi con le opinioni di altri, rispettandole, a negoziare idee e concetti. Mentre costruiscono insieme ad altri il proprio apprendimento, gli studenti imparano dal confronto a riconoscere i propri limiti e i propri punti di forza, gli errori che compiono e le modalità per evitarli; acquisiscono non solo contenuti, ma anche strategie e modalità di lavoro, si abituano a riflettere sui propri processi mentali e a controllare la propria attività cognitiva[3].

La valutazione svolge un ruolo determinante nello strutturare l’ambiente di apprendimento e nel salvaguardarne le suddette funzioni. Nel contesto scolastico, infatti, le dinamiche valutative hanno modalità specifiche. Il clima valutativo proprio di ciascuna comunità scolastica contribuisce innanzitutto alla definizione del curricolo informale o nascosto: insegnanti, alunni e chiunque sia partecipe agli scambi comunicativi inviano e ricevono messaggi spesso impliciti, più o meno consapevoli, che coinvolgono attese, esigenze, pregiudizi e desideri di ciascuno.

Il sistema di valutazione instaurato nella scuola, con i suoi fini, i suoi metodi, il modo in cui vengono comunicati i giudizi agli alunni e ai genitori, propone valori – o disvalori – che vengono a poco a poco interiorizzati sia dal soggetto sia dalla comunità locale, sia dalla società più in generale.[4]

Sono, ad esempio, interpretati e trasmessi come valori l’attitudine all’obbedienza, l’assiduità dell’impegno e la precisione nell’attendere agli studi; la disposizione abituale alla compostezza e alla sopportazione, l’osservanza piena e acritica delle norme stabilite. Al contrario, sono spesso avvertiti come disvalori la capacità critica, l’autonomia di azione e di giudizio, l’intraprendenza e l’esercizio di un pensiero divergente[5].

La scuola è, inoltre, il luogo della valutazione come atto formale ed esplicito. Ne sono attori privilegiati gli insegnanti, impegnati dall’esercizio della professione nell’elaborazione di giudizi, atto socialmente dovuto e atteso. La valutazione scolastica come atto formale costituisce uno degli aspetti vissuti come più significativi dagli studenti, che la interpretano come chiave di lettura del proprio percorso di formazione e ne sono fortemente influenzati nei comportamenti e nelle scelte future[6]. La valutazione esercita, infatti, su chi è valutato notevoli ripercussioni di carattere sociale e individuale, influenzandone la percezione di sé, il senso di autostima e di auto-efficacia, le relazioni sociali con i pari e il rapporto con gli adulti di riferimento, insegnanti e genitori. La didattica tradizionale attribuisce al docente la prerogativa esclusiva del valutare, al punto che i soggetti valutati ignorano talvolta criteri e strumenti della valutazione a cui sono sottoposti: oggetto del valutare è la conoscenza, e appare, dunque, coerente che spetti all’insegnante, depositario del sapere, misurare quantitativamente le nozioni acquisite dallo studente[7].

La valutazione nella scuola italiana è, inoltre, fortemente pervasiva anche nei tempi. Per ottemperare alle richieste della normativa vigente, che impone che il voto assegnato sia «desunto da un congruo numero» di valutazioni (art. 79 del R.D. 653/1925), il docente dedica molte ore a elaborati scritti e interrogazioni orali, comprimendo i tempi di lavoro effettivo in classe. L’agire dell’insegnante registra, infatti, sovente una sorta di dissociazione tra momento formativo e momento valutativo, per cui da un lato ci sono le lezioni, gli esercizi, le correzioni e le altre attività didattiche, dall’altro le prove e le interrogazioni. I tentativi di trasformare il momento valutativo in momento formativo, le verifiche orali e la correzione degli scritti in occasioni di ripasso generale, confronto, approfondimento sono spesso ampiamente disattesi nella prassi concreta, che vede prevalere dinamiche di gruppo involute e il coinvolgimento del solo interrogando[8]. Un tale approccio dicotomico sminuisce la valenza formativa della valutazione che, concepita come momento conclusivo e separato rispetto al processo di insegnamento/apprendimento, perde l’occasione di porsi come efficace risorsa meta-cognitiva (ricordate la scatola nera?); posta al termine del percorso didattico, essa ne diventa talvolta il fine prevalente e manca di farsi opportunità di formazione, momento utile sia all’insegnante, che potrebbe raccogliere informazioni funzionali al miglioramento dell’offerta formativa, sia allo studente, che potrebbe sviluppare e acquisire «competenze di carattere valutativo per lo sviluppo dei processi cognitivi»[9].

Né sarebbe preferibile non valutare: l’assenza di valutazione «renderebbe ancora più difficile il rapporto educativo, quando non lo sconvolgerebbe. Il non sentirsi né stimato, né disistimato, il non percepire alcuna reazione al proprio lavoro, impegno o disimpegno, priva di riferimenti espliciti il proprio operato e crea uno stato di ambiguità e di paura interno»[10].

Secondo la teoria di Arie W. Kruglanski[11], l’individuo manifesta un bisogno di chiusura cognitiva, inteso come desiderio di dare una risposta definitiva e certa a una condizione confusa e ambigua: egli mostra avversione verso l’ambiguità e rifugge dall’incertezza che ne deriva, sia in riferimento alle conoscenze sul mondo esterno, sia in merito alla conoscenza di sé. Ne nasce una spinta a soddisfare il bisogno di valutazione di sé stessi, volta a ridurre l’incertezza circa le proprie competenze e a presentarsi agli altri in modo positivo, così da possedere un’immagine di sé congruente con il proprio sé ideale.

In conclusione, la valutazione svolge un ruolo centrale nel processo di insegnamento/apprendimento. Ben si comprende, quindi, l’attenzione che essa ha ricevuto fin dal secolo scorso: è sufficiente scorrere rapidamente la storia delle istituzioni scolastiche e la relativa normativa, dallo Statuto Albertino del 1848 a oggi, per assistere a frequenti cambiamenti di rotta, con percorsi di andata e ritorno da sistemi di valutazione basati sul voto numerico ai giudizi sintetici, ai giudizi descrittivi espressi per livelli di apprendimento. È opportuno ricordare che la valutazione degli apprendimenti non è neutra rispetto al sistema di istruzione, non ne costituisce una variabile indipendente, per cui una modalità valutativa risulta indifferente rispetto a un’altra. Un metodo valutativo è coerente con le finalità che un sistema di istruzione si pone: banalmente, quando un Paese conquista livelli più alti di democrazia, si adopera perché tutti i suoi cittadini possano fruire dell’istruzione; la valutazione sarà, quindi, promozionale e orientativa. Al contrario, in un contesto sociale rigidamente organizzato in classi e fortemente selettivo, la valutazione sarà altrettanto discriminante ed esclusiva[12].

Negli ultimi anni, in particolare, ci si interroga sull’efficacia del voto numerico quale strumento di misurazione degli apprendimenti; sul suo carattere oggettivo; sull’influenza che può esercitare su motivazione e metodo di studio; sull’opportunità di ridurre allo stretto necessario la valutazione tradizionale degli apprendimenti per applicare modalità diverse all’atto del valutare. Ci si chiede quali siano i vincoli normativi e i margini di autonomia posti dalla legislazione italiana, quali le alternative concrete alla valutazione con il voto, le modifiche da apportare alla didattica e al ruolo di docenti, studenti e genitori. Ci si informa sulle esperienze già vissute in Italia e nel mondo e sui loro esiti.

Nel 2020, nella scuola primaria il voto è stato abolito, sostituito da valutazioni descrittive. Nelle scuole italiane di altro ordine e grado, sono molte le esperienze di didattica senza voto messe in atto da singoli dirigenti e docenti o da interi consigli di classe. Noi stessi ne abbiamo raccontata una, la classe senza voto, portata avanti con entusiasmo nel 2016[13].

In questo spazio, ne racconteremo altre, con l’intento di condividere storie di scuola vissuta senza voto, di accendere l’attenzione dell’insegnante, di contribuire al cambiamento. Questa rubrica intende, quindi, entrare all’interno della scatola nera della valutazione. Dimostreremo che essa è il cuore di un insegnamento efficace.


Note

[1] P. Black, D. Wiliam, Inside the black box: Raising standards through classroom assessment, in «Phi Delta Kappan» 80(2), 1998, pp. 139-148, traduzione mia.

[2] M. Pellerey, Progettazione didattica: metodi di programmazione educativa scolastica, SEI, Torino 1994.

[3] C. Petracca, La costruzione del curricolo per competenze, Lisciani Libri, Teramo 2020.

[4] Pellerey, Progettazione didattica, cit.

[5] M. Parodi, La scuola è sfinita, edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2022.

[6] D. Maccario, A scuola di competenze. Verso un nuovo modello didattico, SEI, Torino 2012.

[7] L. Guasti, Competenze e valutazione metodologica, Erickson, Trento 2016.

[8] P. Fasce, La valutazione (pervasiva) come riduzione ad un numero: insensatezza scientifica e alternative praticabili, consultabile all’indirizzo http://www.pavonerisorse.it/riforma/valutazione/valutazione_pervasiva.htm.

[9] P. Plessi, Teoria della valutazione e modelli operativi, La Scuola, Brescia 2004.

[10] Pellerey, Progettazione didattica, cit.

[11] A. W. Kruglanski, A.W., Shah, J.Y., Fishbach, A., Friedman, R., Chun, Woo.Y., Sleeth-Keppler, D., 2002, A theory of goal systems. Advances in Experimental Social Psychology. 34: 331–378.

[12] M. Tiriticco, La valutazione tra passato e futuro, http://www.funzioniobiettivo.it

[13] S. Bacchi, S. Romagnoli, La classe senza voto, I Quaderni della Ricerca, n. 48, Loescher, Torino 2019.

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Sonia Bacchi

è docente di Lettere presso il Liceo “Vincenzo Monti” di Cesena. Si è occupata di editoria scolastica, collaborando alla redazione di numerosi manuali per la scuola secondaria di primo e secondo grado. È stata referente del progetto “Ben-essere a scuola”, che ha sperimentato la didattica innovativa della valutazione senza voto. Insieme a Simone Romagnoli è autrice del Quaderno della Ricerca #48: «La classe senza voto»

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