
Si apre con “Appiani. Il Neoclassicismo a Milano” – a Palazzo Reale di Milano fino all’11 gennaio 2026 – una suggestiva stagione espositiva in cui si celebra la Milano napoleonica, massima espressione del Neoclassicismo in quell’Italia che non era ancora nazione. Si inaugurerà infatti il prossimo 28 novembre alle Gallerie d’Italia anche l’esposizione “Eterno e visione. Roma e Milano capitali del Neoclassicismo”, e sicuramente su questa rivista parleremo pure di quella.
Il maggior “frescante” d’Europa
Ma è di Andrea Appiani (1754 –1817) che tratteremo oggi, e in particolare della mostra in corso nelle sale di quel Palazzo Reale che – reinventato dall’architetto Giuseppe Piermarini – contribuì anch’egli a rendere splendido: infatti non solo era il pittore ufficiale di Napoleone (fu nominato “primo pittore” del Regno d’Italia napoleonico e venne insignito di medaglie onorifiche come la Légion d’honneur) ma godeva della fama di maggior “frescante” (cioè pittore di affreschi) d’Europa.
Purtroppo i bombardamenti che devastarono l’edificio nel 1943 ci hanno sottratto molti frutti della sua arte, anche se, come vedremo, i curatori della mostra Francesco Leone, Fernando Mazzocca e Domenico Piraina hanno fatto di tutto per provare a restituirceli. Perché questa esposizione – che propone oltre cento opere di varia provenienza (c’è tra l’altro la partnership di Châteaux de Malmaison et de Bois–Préau, Grand Palais di Parigi e Musée du Louvre) – non vuole, come diceva una vecchia pubblicità, “stupirci con effetti speciali”, ma essere una rigorosa, filologica ricostruzione di un particolare ambiente artistico e di una straordinaria carriera pittorica.
Il “pittore delle Grazie”

L’esposizione si sviluppa in dieci sezioni che spaziano dall’immagine dell’artista, con alcuni ritratti provenienti dal Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco e dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano, ad alcune “istantanee” dell’età dei Lumi, con i ritratti di Parini e dei protagonisti dell’Illuminismo milanese.
Ci si immerge poi nella mitologia classica – vero serbatoio dell’arte neoclassica – con le tele dedicate a Venere e gli affreschi dedicati ad Apollo (meraviglioso quello con Apollo e Dafne, del quale è esposto sia uno strappo, sia il cartone preparatorio) provenienti dalla Pinacoteca di Brera e da collezioni private, che hanno valso ad Appiani l’appellativo di “pittore delle Grazie”, impegnato – sulle orme di Raffaello e Correggio – a cercare di esprimere la bellezza ideale. E questo si vedrà anche in seguito, quando le Grazie – intese come divinità, artisticamente “frequentate” anche da Canova, Thorvaldsen e Foscolo… – compariranno nelle tele che decoravano il Gabinetto milanese di Napoleone: tra tutte spicca la bellissima Giunone assistita dalle Grazie (1808–10) conservata nella Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia.
La glorificazione di Napoleone

Dopo la sezione dedicata ai disegni per gli interventi nella Chiesa milanese di San Celso (raro e raffinato esempio di arte sacra neoclassica), si apre il nucleo – per così dire – più decisamente “napoleonico” della mostra.
Segnalerò anzitutto numerosi ritratti di Bonaparte, prima generale (giovanissimo nel 1796 dopo la battaglia del ponte di Lodi, mentre con superbia detta alla personificazione della Vittoria le sue imprese, su una tela ora a Edimburgo), poi primo console, presidente della Repubblica Italiana, re e imperatore (dimentico forse qualcosa?) – e dei suoi familiari (come la prima moglie Joséphine, dipinta come una sacerdotessa di Venere), ufficiali e collaboratori.

È poi giunto dal Louvre il gigantesco cartone degli affreschi dell’Apoteosi di Napoleone che decoravano la Sala del Trono milanese, nel quale il sovrano è rappresentato più simile a un dio che a un regnante terreno: se no, che apoteosi sarebbe? Il grande disegno è esposto nella Sala del Lucernario e fa da preambolo ai Fasti di Napoleone, installati nella Sala delle Cariatidi: i 35 dipinti che li componevano sono perduti, ma il fregio è qui temporaneamente ricomposto sottoforma di copia, con un’operazione di grande impatto visivo che è stata possibile partendo dalle incisioni di Giuseppe Longhi e da preziose fotografie antecedenti al bombardamento.
Appiani, David e… Raffaello
Insomma, a buon diritto possiamo affermare che la funzione propagandistica del lavoro di Appiani per costruire l’immagine dell’imperatore in Italia sia stata – nel complesso – non meno rilevante di quella avuta dall’opera di Jacques Louis David in Francia. E che costoro abbiano rappresentato, nella pittura, il vertice del Neoclassicismo europeo, così come Canova e Thorvaldsen l’hanno rappresentato nella scultura.

Certamente, rispetto a David, Appiani ha una maggiore morbidezza di tratti, che gli deriva da una voluta continuità con la tradizione della pittura rinascimentale italiana. Morbidezza visibile anche in un disegno – nel quale è tratteggiata una figura femminile – che non è in mostra ma che propongo all’attenzione dei lettori de «La ricerca» per gentile concessione del privato che lo detiene nella sua collezione. D’altronde Giovanni Berchet, quando nel 1817 ne pronunciò l’orazione funebre, sottolineò questo legame con i grandi del passato affermando: «La natura aveva versato in lui tutti quei doni de’ quali era stata già prodiga tanto verso Raffaello. Ella aveva voluto che Appiani ne fosse l’emulo; e Appiani obbedì». E Berchet avrebbe potuto – se guardiamo la postura di alcuni ritratti femminili – citare pure Leonardo, e non solo.
Sì, il nostro pittore morì nel novembre 1817, già da tempo paralizzato in seguito a un attacco apoplettico subìto nel 1813. Da due anni il “suo” Napoleone era in esilio a Sant’Elena, e pertanto non gli servivano più cantori o decoratori: sembra proprio che Appiani, per andarsene da questo mondo, abbia atteso che Bonaparte non avesse davvero più bisogno della sua arte sublime.
Tra l’altro con l’uscita di scena di Napoleone, la Restaurazione e l’affermazione in Lombardia (e, più in generale, in Italia) dei nuovi vecchi dominatori (Asburgo in primis), anche il Neoclassicismo – che aveva preso le mosse a metà Settecento dalle idee di Winckelmann – cedeva il passo alle nuove pulsioni romantiche: quella che si apprestava era infatti la Milano di Francesco Hayez e Alessandro Manzoni. Ma – come diceva sempre un personaggio del celebre film di Billy Wilder Irma la dolce (1963) – «questa è un’altra storia», che non è proprio il caso di affrontare adesso.
Appiani. Il Neoclassicismo a Milano , Palazzo Reale (23 settembre 2025–11 gennaio 2026).
Mostra promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei, Electa (editore del catalogo) e MondoMostre; organizzata in partnership con lo Châteaux de Malmaison et de Bois, il Grand Palais di Parigi e il Louvre e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Milano, la Pinacoteca di Brera e Villa Carlotta.
A cura di Fernando Mazzocca, Francesco Leone, Domenico Piraina.