La Casa de Pilatos a Siviglia

Tempo di lettura stimato: 7 minuti
Devo dire che non è facile dire cosa sia davvero la “Casa de Pilatos” di Siviglia: quel che è certo è che non volevo più uscirne, per non ripiombare nel grigiore del mondo reale. Che poi, dato che siamo in Andalusia, è un grigiore per modo di dire…  Questo edificio ha infatti qualcosa del Castello di Atlante di ariostesca memoria – un luogo così eclettico, così “pieno” di cose tra loro diverse, che ognuno può credere di trovarsi nello spazio e nel tempo che più gli piace: nell’antica Roma, nella Giudea dei tempi di Gesù, nella reggia di un sultano, nella Firenze del Rinascimento.  Ma è bene andare con ordine, se no non si capisce più nulla.
  • xPatio Grande
  • xIl portale rinascimentale
  • xVeduta del palazzo
  • xAtena, Patio grande
  • xFaustina minore, Patio grande
  • xFontana rinascimentale, Patio grande
  • xStucchi, Salone di riposo dei Giudici
  • xEleganti bifore

La costruzione del palazzo in stile mudéjar 

Siamo a fine Quattrocento e i nobili Pedro Enriquez, governatore di Andalusia, e Catalina de Ribera edificano, a Siviglia, un palazzo in stile mudéjar, con qualche concessione al gotico. I lavori cominciano nel 1483, e la Reconquista della Spagna è quasi ultimata; eppure lo stile moresco (appunto il mudéjar) va ancora per la maggiore, a testimonianza del fatto che la cultura araba fosse percepita ovunque come superiore. Non era stato così qualche secolo prima anche per i Normanni in Sicilia, che avevano affidato le loro costruzioni proprio a maestranze arabe? E, tornando a Siviglia, non era stato così – in quegli stessi anni – per il Real Alcázar, il quale più che la residenza di un re cattolico assomiglia a quella di un califfo?

Tra Gerusalemme e Firenze 

Ma, si sa, le mode cambiano. E dunque il figlio di Pedro e Catalina – Fadrique Enriquez de Ribera, primo marchese di Tarifa – ampliò e modificò la casa, dopo una duplice “illuminazione” conseguente ai suoi viaggi. Infatti visitò l’Italia, e fu colpito dalle vestigia romane e dall’architettura rinascimentale; ma, soprattutto, nel 1519 andò in pellegrinaggio a Gerusalemme, ove scoprì che la distanza tra la sua abitazione sivigliana e la chiesa della Croce del campo era uguale a quella tra i resti della casa di Ponzio Pilato e il Calvario. Da qui un duplice impulso: da un lato sostanziosi interventi architettonici di ampliamento e restyling “italiano” del palazzo, affidati ai fratelli genovesi Antonio Maria e Pietro D’Aprile (fino al 1533), dall’altro la sua identificazione nella prima delle quattordici stazioni della locale Via Crucis, che corrisponde alla Casa di Pilato. Ma tale suggestione continuò, se è vero che nei secoli – probabilmente andando aldilà delle volontà di Fadrique – le varie sale dell’edificio assunsero nomi che richiamavano il palazzo del governatore romano della Giudea: il Pretorio, la Cappella della flagellazione, il Gabinetto di Pilato etc.

L’epoca del collezionismo

Venne poi l’epoca del collezionismo, nel quale primeggiò Per Alfán de Ribera, nipote di Fadrique: costui, Marchese di Tarifa e Duca di Alcalà, divenne Vicerè di Napoli, dove imparò ad apprezzare le antichità classiche. Di queste fece pertanto incetta, e il trasferimento dei reperti a Siviglia lo obbligò ad ampliare il palazzo, sotto la supervisione – a partire dal 1568 – del visionario ingegnere e architetto napoletano Benvenuto Tortello. E potrei andare avanti, citando ad esempio la quadreria del piano superiore, esito del gusto di Fernando Enriquez de Ribera III, uno dei tanti membri della famiglia che abitarono la Casa de Pilatos. Ma mi fermo qui, ricordando solo che il casato dei Ribera confluì nel tempo in quello dei Medinaceli, alla cui Fondazione oggi il palazzo appartiene.

Eclettismo artistico e architettonico

  • xAzulejos
  • xEmblema degli Enriques

La visita alla Casa de Pilatos è come l’invito a un buffet che può soddisfare tutti, dal carnivoro al vegano… Meglio gli stucchi in stile mudéjar e plateresco delle arcate o gli azulejos delle pareti, la cui varietà è sorprendente? Meglio i candidi marmi delle colonne e delle statue o i soffitti lignei policromi? Meglio il palazzo d’estate – al pian terreno – o quello d’inverno al piano superiore? Meglio le suggestioni orientali o quelle provenienti dall’antichità classica?

Beh, direi che, per fortuna, possiamo godere di tutte queste cose con eguale soddisfazione… Chi scrive, però, è un classicista e dunque non si stupiranno i lettori se riserverò qualche parola in più alle collezioni lapidee della Casa, fatta di importanti statue classiche, sublimi repliche rinascimentali, e persino delle mie amate epigrafi latine.

Le antichità classiche

  • xAntichità classiche
  • xIscrizioni latine

Anzitutto debbo menzionare le quattro grandi statue collocate agli angoli del Patio Grande, tra le quali spicca un’Atena di 2, 85 m di altezza, che Per Alfán de Ribera acquistò a Napoli durante la sua permanenza come Vicerè. Si tratta di una replica romana di un originale greco del V secolo, e c’è chi pensa che sia proprio la colossale Atena Promachos che Fidia realizzò per l’Acropoli di Atene. Atena sembra vigilare sul cortile – e sulla sua spettacolare fontana cinquecentesca – insieme con le altre tre statue e i ventiquattro busti di imperatori romani e antichi generali collocati in apposite nicchie: tra loro c’è però anche Carlo V, a dimostrare che passato e presente possono (secondo il Duca di Alcalà devono…) mescolarsi e confondersi.

E se manufatti antichi si trovano un po’ dappertutto, c’è un’area dove questi la fanno da padroni. Si tratta del corridoio esterno di Zaquizami, dove si ammirano iscrizioni latine, statue romane e prodotti rinascimentali; da qui si arriva al meraviglioso Salone dorato, che si affaccia sul cosiddetto Giardino piccolo con una finestra arcuata sulla cui mensola riposa una ninfa del XVI secolo. Qui reperti antichi e rinascimentali convivono con armonia, anche se non può sfuggire la qualità superiore di un rilievo marmoreo d’epoca augustea, celebrativo della battaglia di Azio: un vero capolavoro. Proprio di fronte al Salone dorato, vi è inoltre una copia del trofeo che decora la base della Colonna Traiana di Roma, che i Ribera vollero per onorare l’imperatore Traiano, gloria locale in quanto nativo di Italica, città romana che da Siviglia dista pochi chilometri.

Le ceneri di Traiano

  • xRiproduzione del basamento della Colonna Traiana
  • xFregio di Azio, età augustea

Tra l’altro una leggenda popolare narra che nella Casa de Pilatos giunse addirittura l’urna con i resti mortali dell’imperatore iberico, dopo suo il trafugamento dall’Urbe; ma una serva infedele, volendo rubare il prezioso vaso, rovesciò nel giardino le ceneri dell’Optimus princes, che da allora fungono da nobile fertilizzante. Una colossale bugia? Può darsi, anzi certamente sì. Però, fin che sei lì dentro ci credi; e così come, nel Castello di Atlante, Orlando vedeva davvero l’amata Angelica che era altrove, tu credi di vedere l’immagine solenne di Traiano apparire tra gli aranci e le altre piante aromatiche.

Una suggestione pittorica: Piero della Francesca 

  • xPiero della Francesca, La Flagellazione
  • xNinfa dormiente, epoca rinascimentale

Concludo chiedendo scusa agli storici dell’arte, ma non posso tacere un’idea fissa che mi perseguita da quando sono entrato in quella casa. Infatti, non sono riuscito a togliermi dalla testa un possibile parallelismo tra la sivigliana Casa do Pilatos e l’enigmatico dipinto di Piero della Francesca La flagellazione di Cristo (ca 1460), conservato oggi a Urbino. Per carità, non voglio dire che i Ribera si siano ispirati a quel dipinto, che probabilmente non videro mai; né voglio riprendere il plurisecolare toto-nomi degli spettatori della Passione di Gesù, querelle che ha implicazioni filosofiche e teologiche di non poco momento. Ma anche lì, nell’opera di Piero, probabilmente, c’è Pilato, il “fantasma” che si aggira nella dimora sivigliana; e anche lì la Flagellazione avviene in un’elegante casa di gusto quattrocentesco… Basta così: voglio evitare di essere deriso dagli esperti.

Comunque, l’idea che l’arte possa – attraverso i colori di una tavola o mediante particolari soluzioni architettoniche – dare concreta visibilità a un evento sacro e contribuire a collocarlo (se mai ce ne fosse bisogno) sub specie aeternitatis non è certo peregrina, e dunque ho osato mettere per iscritto queste mie riflessioni ad alta voce. La cosa straordinaria è, però, che un quadro non lo si può abitare, un palazzo sì. Ed è altrettanto straordinario cha ancora oggi la celebre Via Crucis sivigliana muova, ogni anno, dalla casa di cui stiamo parlando, a dimostrazione che i Ribera-Medinaceli sono stati per secoli non solo i custodi di un inestimabile patrimonio artistico, ma di un rito senza tempo.
Sì, forse Cristo è stato flagellato a Siviglia, e Pilato ha davvero vissuto in questo sontuoso edificio. Anzi, a pensarci bene l’ho incontrato mentre discuteva con Traiano, Carlo V, Pedro Enriquez e il figlio Fadrique: e io fui sesto tra cotanto senno.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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