Valutazione personale, professionale, collettiva

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Bocciature e ricorso al TAR: un problema di filosofia sociale.

La sentenza del Consiglio di Stato 1245 del 2015 chiarisce che se un docente in Consiglio di classe decide di votare per la bocciatura di uno studente, non agisce con ciò in maniera incoerente, anche se nella sua materia lo studente ha la sufficienza. La sentenza ribalta il responso formulato dal TAR del Lazio del maggio 2011 per un caso in cui, secondo il TAR, si era verificata una situazione del genere. Vi è qui un problema filosofico. Al di là del caso particolare, che a questo livello del discorso si trascende, al di là poi della giurisprudenza e delle procedure istituzionali che fissano chi ha l’ultima parola, interrogando la filosofia sociale, viene da chiedersi chi ha ragione e per quali motivi: il TAR con la tesi di incoerenza, o il Consiglio di Stato che sostiene il contrario?

La questione è interessante, perché mette in luce la complessità della situazione che vive ogni docente che si trova a cercare di comporre tre piani diversi del proprio vissuto esistenziale, quello personale, quello professionale e quello socio-professionale, e deve coordinarli in un’azione coerente. Il docente si trova a formulare tre valutazioni distinte, ancorché queste possano finire per coincidere nel valore e, anzi, solitamente lo facciano. Il docente ha infatti una opinione sul piano umano riguardo all’allievo. Ne ha un’altra (come detto non necessariamente materialmente diversa) quando valuta l’allievo da docente. Potrà, infine, averne ancora un’altra quando sull’allievo egli si esprime in quanto membro del Consiglio di classe. Esemplifichiamo con un caso per fortuna non ordinario, anche se purtroppo non particolarmente raro: un docente può trovare un ragazzo molto simpatico e può apprezzarne le doti umane, può poi giudicarlo sufficiente nella propria materia e nondimeno può, senza incoerenza, decidere di votare per la sua bocciatura in Consiglio di Classe. Quest’ultimo passaggio si spiega col fatto che egli viene a sapere che l’allievo ha gravi lacune in numerose materie e ritiene che esse siano incolmabili, per cui reputa che sia bene per l’allievo che questi ripeta l’anno. Se la distinzione tra valutazione personale e professionale, per quanto difficile da tenersi separate, è solitamente tenuta presente dai docenti, almeno in linea di principio, le cose sono, nella pratica ordinaria, forse più difficili e confuse nella consapevolezza di molti nella distinzione tra semplice valutazione professionale e valutazione professionale collettiva.

Può aiutare a capire quanto detto una distinzione nell’ambito della filosofia dell’azione collettiva: una cosa è agire simpliciter, un’altra agire da, un’altra ancora agire in quanto. Quando passeggio, agisco. Se, poniamo, risalgo via Verdi, perché mi piacciono le sue vetrine, sto semplicemente agendo. Se però sono un poliziotto di quartiere e sono in servizio, non mi sto semplicemente godendo una passeggiata, tanto è vero che il fatto che sia in servizio pone su di me una serie di obblighi che altrimenti non avrei. Ora la mia passeggiata non è un semplice agire, ma un agire da poliziotto. Se, infine, sono un poliziotto e sto risalendo via Verdi per chiudere una via di fuga a un malvivente, che so che mi riconoscerà come poliziotto e fuggirà verso il mio collega in borghese, sto compiendo un’azione collettiva tesa a facilitare la cattura di un criminale. Sto perciò agendo da poliziotto in quanto membro del corpo collettivo che procede a un arresto. Nell’agire in quanto si agisce da, nella misura in cui l’azione collettiva assume in sé le azioni di soggetti agenti dotati di ruolo sociale. Si può però agire da e non agire in quanto, se nella propria azione non si intende seguire un’intenzionalità collettiva, ma si applicano esclusivamente le ragioni per agire del proprio ruolo. Per tornare alla scuola, il docente che votasse contro la bocciatura solo perché nella propria materia lo studente ottiene valutazioni sufficienti, non comprenderebbe di essere chiamato, in quella circostanza, a dover agire in quanto membro del consiglio di classe e non solo da professore.

Sulla base di quanto visto, il Consiglio di Stato ha deciso secondo una filosofia sociale adeguata, che tiene conto delle azioni collettive e della loro peculiarità. Queste infatti seguono logiche solitamente più ampie, o comunque diverse rispetto a quelle delle azioni svolte solo secondo il ruolo sociale del singolo. Si tratta di finezze della realtà sociale che, disattese, forse hanno salvato molte carriere scolastiche, sia pure per motivi sbagliati.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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