È successo più o meno negli ultimi vent’anni, anche se si erano avute delle avvisaglie già tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando nel mondo degli studi letterari si è cominciato a spostare l’attenzione dal testo al lettore, e intanto – ricorrendo alle idee del formalismo e dello strutturalismo sugli effetti di lettura – le scienze cognitive iniziavano a interessarsi al lettore empirico e all’esperienza estetica. Il testo, scriveva nel 1978 Franco Brioschi in un fondamentale articolo sull’insegnamento e sulla teoria della letteratura, «non è letterario, ma (in un certo senso) lo diventa in rapporto a un comportamento sociale»1. È la lettura – e in particolare quel tipo di lettura che definiamo estetica – a rendere il testo un’opera, secondo una visione funzionalista e relativista della letterarietà che attribuisce un ruolo fondamentale alle persone e alle loro abitudini nella costruzione e manutenzione di quell’istituzione che chiamiamo “letteratura”. La letteratura esiste grazie alle persone che la praticano, e il compito della scuola – è ancora un’idea di Brioschi – consiste nell’allargarne la partecipazione democratica. Una partecipazione, aggiungiamo noi, che richiede necessariamente di fare esperienza diretta dei testi-opere a scuola, grazie alla mediazione e con il coinvolgimento diretto di docenti che non si vede come possano promuovere e valorizzare delle pratiche che non conoscono se non direttamente.
Pratiche sociali ed esperienze significative
A coronamento di un lungo lavoro di ricerca letteraria e antropologica, nel 2007 Tzvetan Todorov aveva rivolto un appello accorato e autorevole a docenti e studiosi di letteratura affinché ponessero al centro della loro riflessione il lettore comune, colui o colei che legge non per lavoro o per studio ma per dare un senso alla propria vita2. Leggere e insegnare a leggere, dunque, non per consegnare alle nuove generazioni strumenti e competenze di analisi e decodifica del testo, ma per far esperire le potenzialità conoscitive dell’esperienza letteraria, via d’accesso privilegiata alla conoscenza di sé e della condizione umana.
Guardare alla lettura e alla scrittura letteraria come esperienze significative, alla letteratura come una pratica sociale, e alle opere come il risultato di un’interazione il cui significato è di natura negoziale e relativa, comporta necessariamente una revisione del ruolo di chi insegna e della sua professionalità. Diventa difficile, per esempio, pensare a docenti di lingua e di letteratura che non contribuiscano attivamente, con i loro comportamenti quotidiani, alla manutenzione della letteratura, praticando in maniera intensiva e routinaria la lettura e la scrittura e condividendo le proprie esperienze estetiche con altre persone che non siano retribuite per farlo.
Docenti che sono in grado, semplicemente attraverso la riflessione sul proprio vissuto, di individuare strategie e tecniche didattiche capaci di creare le condizioni affinché ogni studente abbia a sua volta accesso all’esperienza letteraria, mentre la classe si costituisce in comunità ermeneutica grazie a un intenso dialogo sulle opere e alla condivisione di scritture e riscritture.
Una didattica orientativa e laboratoriale
In questo clima culturale – che nella scuola italiana, in perenne ritardo anche rispetto agli studi letterari, non ha trovato terreno fertile fino a quest’ultimo decennio – si possono collocare quelle strategie didattiche laboratoriali che, in continuità con la tradizione del Movimento di Cooperazione Educativa e con le proposte dei grandi maestri di didattica del Novecento, come Bruno Ciari, Mario Lodi e Gianni Rodari, hanno preso piede in molte scuole italiane. Il Writing and Reading Workshop, importato in un primo momento in alcune scuole dell’Emilia Romagna da Jenny Poletti Riz3 e poi attuato e divulgato da docenti di tutta Italia, sta contribuendo a diffondere alcune idee e pratiche didattiche radicalmente innovative, che mettono al centro dell’azione educativa la libertà di scelta di ogni studente, che deve essere messo in grado di divenire una persona che ha sperimentato le proprietà della scrittura e della lettura letteraria e che ha capito per esperienza quale senso possano avere queste attività nella sua vita, in modo che continui a leggere e scrivere anche dopo la scuola e al di fuori di essa.
La recentissima traduzione italiana di uno dei capisaldi di questo metodo, The Reading Zone di Nancie Atwell, appena uscita nella collana dei Quaderni di didattica e letteratura della rivista «La ricerca»4, fornisce un’idea precisa delle strategie e tecniche didattiche attraverso cui è possibile in effetti cambiare i comportamenti di ogni studente, in modo che diventi una lettrice o un lettore abituale, capace di scegliere i propri libri, di trarne alcune lezioni utili per la vita e per la scrittura, di esprimere una valutazione su ciò che legge e di parlare delle proprie letture con gli altri.
Imparare per agire
Ma se ogni studente dovrebbe disporre di una biblioteca di classe ben fornita e adatta alle persone della sua età e della sua condizione culturale, allora è necessario che ogni docente di Italiano e di Lingua e letteratura italiana sia in grado di scegliere i libri adatti al pubblico degli adolescenti o dei giovani adulti. E se il docente, come previsto per altro dalle diverse Indicazioni nazionali e Linee guida, volesse davvero incidere sulle competenze degli studenti, sui loro atteggiamenti oltre che su conoscenze e capacità, è evidente che dovrebbe mettere i suoi studenti in grado di fare delle scelte e di acquisire quei saperi che sono indispensabili all’azione, tralasciando tutto ciò che rimarrebbe inerte al di fuori delle interrogazioni e dei compiti in classe.
Una comunità di pratiche letterarie
Da una recente rassegna sistematica della ricerca educativa internazionale sul rapporto tra educazione letteraria e sviluppo della capacità di comprendere la natura umana5 è emerso che alcuni approcci didattici sono più adatti a favorire questo tipo di comprensione negli studenti adolescenti. Se vogliamo aumentare la probabilità che gli studenti adolescenti acquisiscano una comprensione della natura umana durante l’insegnamento letterario, si legge in questo articolo, è preferibile tra l’altro integrare lettura e scrittura, progettando compiti di scrittura che spingano gli studenti a attivare precedenti esperienze personali prima della lettura, a notare e annotare le esperienze durante il processo di lettura, e a riflettere sulle esperienze evocate direttamente dopo la lettura. È inoltre molto utile progettare attività dialogiche esplorative che stimolino gli studenti a condividere verbalmente le loro esperienze di lettura.
Leggere, scrivere e condividere sono tre azioni fondamentali affinché la classe di italiano diventi una comunità di pratiche letterarie6: un gruppo di lavoro costruito, gestito e animato da insegnanti che devono conoscere a fondo, per averle sperimentate direttamente, le potenzialità conoscitive di quelle azioni, di quei comportamenti.
Un nuovo ruolo per chi insegna
Sono cambiamenti che richiedono, innanzitutto, un rinnovato ruolo di chi insegna, una sua diversa formazione e, soprattutto, un suo particolare atteggiamento nei confronti della letteratura, da intendersi innanzitutto come un insieme di comportamenti, uno stile di vita basato sulla fruizione delle opere: sull’ascolto e sulla lettura, sulla scrittura e sulla condivisione di storie, sul dialogo, sulla comprensione e sull’interpretazione.
È possibile, dunque, che l’insegnante sia una persona che non legge e che non scrive quotidianamente, o che non condivide gli effetti di queste pratiche con ogni studente? E nel caso che in effetti sia necessario, per realizzare una didattica della letteratura laboratoriale e orientativa, essere una persona che pratica l’arte letteraria nella sua accezione più ampia, cosa dovremmo fare per formare e selezionare questo tipo di docente? Possiamo pretendere di avere in classe persone che “credono” nella letteratura e nelle sue potenzialità, semplicemente perché le hanno sperimentate oltre che perché ne hanno avuto conferma dalla ricerca educativa, dalle scienze cognitive e dagli stessi studi letterari?
In effetti, se pretendiamo che gli studenti sviluppino competenze per la vita, andando a incidere sui loro atteggiamenti affinché diventino persone che usano le risorse date dalla scuola anche al di fuori di essa, comportandosi da persone democratiche, allora dovremmo poter esigere lo stesso da chi insegna. Non abbiamo forse pensato, durante la pandemia da Covid-19, che ogni docente dovesse comportarsi secondo quanto previsto dall’esercizio del pensiero scientifico?
Una questione di stile
Infine, di fronte alle nuove pratiche didattiche e a quegli studi che ci aiutano a dare valore all’impatto della letteratura sulla vita delle persone, è possibile rimanere indifferenti e continuare a praticare un insegnamento basato sulla trasmissione di conoscenze storiche e retoriche, su interrogazioni e compiti in classe? Si può rimanere indifferenti al potere trasformativo delle pratiche letterarie, continuando ad assegnare esercizi di parafrasi, di analisi e comprensione le cui soluzioni sono già note al docente e disponibili sui numerosi siti di e per studenti? E qualora accettassimo di cambiare, adeguandoci a vivere in classe esperienze significative grazie alle pratiche letterarie, come fare per risultare davvero efficaci e inclusivi, senza cadere nella trappola delle semplificazioni e dell’ingenuità?
Non sono domande retoriche, e nonostante la mia personale preferenza per una vita e per un lavoro interamente fondati sull’esercizio della lettura, della scrittura e della condivisione, credo che ci siano ragionevoli motivi per resistere al cambiamento e per eludere il problema, facendo finta che sia possibile insegnare esclusivamente con il cervello e con il linguaggio, senza mettere in gioco il proprio corpo, le proprie abitudini, i propri comportamenti e, in estrema sintesi, il proprio stile di vita. Tuttavia, così come ritengo che sia possibile passare dieci anni di vita a studiare le scienze a scuola senza sviluppare un atteggiamento scientifico nei confronti del mondo, sono convinto che la scuola tradizionale abbia qualche difficoltà a incidere in modo significativo sulla quantità e qualità della lettura e della scrittura letteraria, sulla capacità di distinguere verità e finzione e di resistere alle sirene dello storytelling politico e commerciale.
Che sia il momento di cambiare stile?
NOTE
1. F. Brioschi, La mappa dell’impero. Problemi di teoria della letteratura, Net, Milano 2006, p. 160.
2. T. Todorov, La letteratura in pericolo, trad. it. di E. Lana, Garzanti, Milano 2008 (ed. or. 2007).
3. J. Poletti Riz, Scrittori si diventa. Metodi e percorsi operativi per un laboratorio di scrittura di classe, Erickson, Trento 2017.
4. N. Atwell, A. Atwell Merkel, La zona di lettura. Come aiutare i ragazzi e le ragazze a diventare lettori abili, appassionati, abituali, critici, trad. di A. Nesti, Loescher, Torino 2022.
5. M. Schrijvers, T. Janssen, O. Fialho, G. Rijlaarsdam, Arrivare a comprendere la natura umana: una rassegna della letteratura sugli studi sperimentali in classe, in Il futuro della lettura ad alta voce, a cura di F. Batini, FrancoAngeli, Milano 2022, pp. 120-168 (da «Review of Educational Research», 89, 1, 2019, pp. 3-45).
6. Per un approfondimento si rinvia a S. Giusti, N. Tonelli, Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento, Loescher, Torino 2021.