Il tutto (ossia la ridda di deduzioni e controdeduzioni) originato da un malinteso, almeno a parere di chi scrive: che la valutazione della scuola non sia già una realtà effettiva e operante; che non orienti già la scelta di famiglie; che non influenzi già gli esiti e le sorti degli studenti…
Provo a spiegare la mia affermazione con un esempio pratico.
Quando si trattò di scegliere la scuola superiore di mio figlio, qualche anno fa, chiesi un po’ in giro, per sapere quale fosse la fama dei due licei artistici della città. La risposta fu unanime: occorreva orientarsi senza dubbi verso il liceo privato di un certo ordine religioso, garanzia di serietà, preparazione, controllo, decoro… Il liceo statale sarebbe stato meglio evitarlo, perché fucina di disadattati.
Intimamente laico e statalista, sarei stato comunque pronto a soprassedere sui miei principi: ne andava del futuro di mio figlio, e non mi sarei lasciato fuorviare da stereotipi ideologici. Sennonché, quello stesso anno il «Corriere della Sera» pubblicò il rapporto della Fondazione Agnelli, che valutava le scuole in base all’esito dei loro studenti nel segmento scolastico superiore (in soldoni: il successo al primo anno di università) e che relegava il prestigioso liceo privato verso il fondo della classifica.
Che idea di scuola abbiamo in testa, quando chiediamo che essa venga valutata? E come pensiamo che si debba svolgere, di conseguenza, tale valutazione? Questioni di principio e valutazioni pratiche si sommarono, e mio figlio ora frequenta felicemente il liceo statale.
Di contro, la valutazione cittadina del liceo religioso non sembra essere stata minimamente intaccata dalla stroncatura della Fondazione Agnelli.
Contenti tutti, insomma.
Com’è possibile?
Credo che ciò dipenda dalla diversa idea di scuola che hanno i concittadini di mio figlio e gli “ideologi” della Fondazione Agnelli. Una diversa idea di scuola che, in assenza di una visione complessiva e condivisa, disegna di volta in volta la scuola che serve, o che piace, in quel contesto, per quelle persone, che chiacchierano in quello specifico salotto o che fanno pressione da quel particolare blog.
Ed ecco, allora, il punto centrale della questione, che ritorna in moltissimi degli interventi presenti in questo numero della Ricerca. Che idea di scuola abbiamo in testa, quando chiediamo che essa venga valutata? E come pensiamo che si debba svolgere, di conseguenza, tale valutazione? A voler rischiare il semplicismo, si potrebbe dire che da un lato c’è la convinzione di chi pensa che la scuola debba produrre solo lavoratori competenti, flessibili e adatti al mercato globale; dall’altro, quella di chi la immagina solo educatrice di retti cittadini consapevoli di sé e rispettosi degli altri.
Da qualche parte, nel mezzo, c’è la sfumatura, la gradazione che riuscirebbe a mettere d’accordo tutti, e che consentirebbe al sistema di trovare il modo più giusto (perché condiviso) di valutare e di valutarsi.
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