Un binomio possibile, un divario da colmare

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Donne e STEM: a che punto siamo e che cosa possiamo fare. Cinque storie, una casa editrice e un decalogo.
Illustrazione di Fernando Cobeto.

Per parlare di donne e STEM mi sono ispirata a cinque storie di donne che lavorano con me alla Zanichelli. La Casa editrice, fondata nel 1859, ha una forte vocazione scientifica, fin dalla pubblicazione dell’edizione italiana dell’Origine delle specie di Darwin nel 1864, della Teoria speciale e generale della relatività di Einstein nel 1921, dei corsi di matematica di Federigo Enriques e Ugo Amaldi, del corso di fisica di Enrico Fermi e poi di Edoardo e Ginestra Amaldi. Così ho chiesto ad alcune colleghe laureate in una disciplina scientifica o tecnologica – STEM sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics – di rispondere a tre domande: Come ti immaginavi da bambina? Perché hai scelto di studiare matematica (o fisica, o chimica ecc.)? Che cosa fai adesso?

In queste storie ricorre la combinazione di tre elementi: caso, opportunità e una forte vocazione. Se sul primo è difficile influire, si può invece agire sugli altri due: creare opportunità e incoraggiare le ragazze a seguire la propria vocazione. Ma quante sono oggi le donne che scelgono le STEM? E quali prospettive hanno di fronte?

Curtis, Barnes, Schnek, Massarini, Gandola, Lancellotti, Odone, Percorsi di scienze naturali, 2021

La presenza femminile nel sistema universitario e nelle aree STEM

I dati che seguono provengono dal report Le carriere femminili in ambito accademico, elaborato dal MIUR nel marzo 2021. Secondo il report, «queste scelte avranno un impatto importante sul futuro lavorativo delle donne e della società: i percorsi formativi STEM forniscono infatti quelle competenze tecnico-scientifiche maggiormente richieste dal mercato del lavoro e che in futuro quindi potranno favorire maggiori possibilità di carriera e di guadagno. Il Recovery Plan viene da più parti individuato come l’occasione per affrontare con risorse dedicate le disparità di genere, anche in relazione alle discipline STEM, per promuovere una crescita inclusiva e sostenibile con migliori tassi di occupazione e favorire la ripresa economica».

L’analisi dei dati sui percorsi universitari e sulle carriere accademiche in un’ottica di genere, tuttavia, «evidenzia non solo la presenza di una segregazione orizzontale tra discipline STEM e non STEM, ma anche di una persistente segregazione verticale persino in quegli ambiti dove all’inizio della carriera accademica si registra una sostanziale parità tra uomini e donne.»

In Italia, le donne sono la metà della popolazione studentesca. Passando dalla formazione alla carriera accademica inizia il divario, che si manifesta con un andamento a forbice (grafico 1 alla pagina precedente). Nel 2019 la percentuale di donne è del 47% tra i ricercatori, il 39% tra i professori associati e il 25 % tra gli ordinari. Molte meno donne rispetto agli uomini, quindi, raggiungono le posizioni apicali.

Per quanto riguarda le aree STEM, al momento dell’immatricolazione solo il 21% delle ragazze sceglie percorsi STEM a fronte del 42% dei ragazzi. Inoltre, confrontando le carriere femminili e maschili (grafico 2) non si osserva l’andamento a forbice che caratterizza il grafico 1: in tutte le tappe della carriera accademica la percentuale di donne è sempre al di sotto del 50%.

La distribuzione per genere e area di studio, infine, mostra che gli ambiti disciplinari all’interno delle STEM non sono neutri. Nell’anno accademico 2019/2020, le iscritte all’area Natural Sciences sono il 56% del totale mentre nelle «scienze dure», Engineering and Technology, le iscritte sono solo il 27%.

Irene Enriques, matematica

Da bambina ero convinta di essere molto intelligente, e che essere intelligenti fosse molto importante. Mi piaceva soprattutto disegnare, ma mi immaginavo scrittrice. In matematica comunque ero brava.

Quando mi iscrissi in prima media, mi stupii perché la professoressa di matematica era un po’ sciatta e goffa. Lo dissi a mia madre, che si stupì del mio stupore e mi chiese come la avessi invece immaginata. La avevo immaginata elegante, atletica, un po’ una Katharine Hepburn giovane. La professoressa un po’ sciatta e goffa era bravissima. Ho studiato Matematica all’università perché ho amato le sue lezioni. Non erano istrioniche, ma erano chiare, e mi piaceva quello che imparavo.

Tra le medie e l’iscrizione a Matematica, la strada non è stata diritta. Ho fatto il liceo classico (mia madre: «se ti piace la matematica, ti piacerà ancor di più il greco»; il greco mi è piaciuto, ma di meno). Finito il liceo, mi sono iscritta a Giurisprudenza. Seguivo le orme di mio padre: un errore, ero angosciata, pativo il confronto. Una sera leggevo un libro di Queneau, citava una congettura sui numeri primi e sono rimasta sveglia a lungo a pensarci. Allora ho deciso di cambiare facoltà e di iscrivermi a Matematica. È stato anche un modo per uscire dal confronto diretto a testa alta. Nella mia famiglia in particolare: il mio bisnonno Federigo era un matematico famoso, tanto famoso da escludere una competizione, ma insomma sono restata a giocare la partita nel campo della famiglia paterna. Si vede che per me era importante. Infatti faccio il lavoro che ha fatto mio padre prima di me: sono la direttrice generale della Zanichelli.

Mi sono serviti i miei studi? Mi è servito, molto, fare gli esami (e la tesi) di informatica, perché mi ha tolto la paura, che avevo, dei computer. Mi è servito cimentarmi in studi che mettono a contatto con il proprio limite e con la fatica di spingere il limite un poco più un là, e poi accettarlo.

 

Isabella Nenci, ingegnera

Da bambina ero sicura che avrei potuto diventare tutto: un’archeologa, una giornalista, una progettista di protesi, una chirurga. È andata avanti così fino alla fine del liceo quando, ancora indecisa tra il mondo classico e la scienza, ho portato all’esame di maturità greco e fisica. Devo alla mia prof di filosofia se alla fine ho scelto una facoltà scientifica. Fu lei, subito dopo l’esame, a dirmi: Nenci, non ci pensare neanche a Lettere classiche! Tu devi assolutamente fare qualcosa di scientifico.

Che poi questo qualcosa sia diventato Ingegneria biomedica è dovuto anche ad altre due ragioni contingenti: voleva farla la mia migliore amica, il cui padre aveva uno studio di Ingegneria, mentre il mio di padre insegnava a Medicina – un buon motivo, per la me di allora, per non sceglierla, anche se avrei voluto. Sono uscita di casa dicendo vado a iscrivermi a Medicina e sono tornata matricola di Ingegneria.

È andata a finire che la mia migliore amica, dopo un mese di sofferenza, si è trasferita a Medicina e io invece sono rimasta, proprio perché era molto difficile e perché lasciare a mezzo le cose non mi piace.

Ho insegnato fisica in un istituto professionale durante tutto il terzo anno di università (allora con gli esami del solo biennio si poteva entrare in graduatoria) e ho lavorato, ebbene sì, nello studio di ingegneria del padre della mia amica per un paio d’anni prima della laurea, ma ho capito presto che né l’una né l’altra erano la via giusta per me.

Il mio istinto e un po’ di fortuna mi hanno portato verso un lavoro che mette insieme le mie anime: da quasi trent’anni lavoro come editor in una redazione di libri per la scuola e l’università, e sono felice.

 

Giulia Laffi, matematica

Da bambina ho cambiato idea molte volte, ma per un po’ mi sono immaginata archeologa. Il mio giardino confinava con un sito etrusco e passavo ore a scavare, affascinata dall’idea di trovare resti di oggetti appartenuti a una civiltà tanto lontana nel tempo.

Alle medie ho incontrato una professoressa che ha orientato l’ago della mia bussola: avrei fatto il liceo scientifico e mi sarei iscritta a Matematica. La chiarezza delle sue lezioni faceva sì che imparare fosse facile e la sua passione lo rendeva intrigante. La matematica mi riusciva bene e ho deciso che volevo insegnarla.

All’università la matematica ha smesso di essere facile e c’è stato bisogno di una riconquista reciproca. Passare attraverso la fatica di capire rendeva quello che imparavo una vittoria. A quel punto la matematica era seducente proprio perché era difficile. E la bellezza dell’astrazione e del ragionamento puro ripagavano le ore passate sugli appunti. Alla fine non sono diventata un’insegnante, nonostante ci sia andata molto vicino. Ed è stato a causa della mia curiosità.

Amante dei libri da sempre, quando ho letto che Zanichelli cercava un redattore scientifico per alcuni mesi mi sono detta che avrei potuto dare una sbirciatina. In fondo era solo una piccola deviazione rispetto al percorso verso l’insegnamento. Ho scoperto che quello, che metteva insieme rigore e creatività, era il lavoro perfetto per me; prima non lo sapevo, perché non avevo idea che esistesse.

Così, da 17 anni mi occupo di libri scolastici: all’inizio solo di matematica e poi anche di fisica. Non sono tra i banchi a insegnare, ma sento di non aver tradito la mia vocazione. E l’idea che tante ragazze e ragazzi studino sui «miei» libri mi fa sentire una grande responsabilità e un grande entusiasmo per quello che faccio

L’influenza della scuola

Analizzando i dati su tutte le matricole universitarie, si osserva che il 55% proviene da un percorso formativo tecnico-scientifico. Tuttavia, la distribuzione per tipologia di diploma mostra che il 53% delle immatricolate ha un «diploma no STEM» mentre il 72% degli immatricolati ha un «diploma STEM». Il divario di genere, quindi, potrebbe essere intercettato fin dalla scuola superiore o addirittura prima.

Inoltre, nell’anno 2020/2021 il 62% delle immatricolate ai corsi STEM ha conseguito un diploma tecnico-scientifico, mentre tra gli immatricolati la percentuale sale all’84%. Sembra quindi che i ragazzi tendano più delle ragazze a confermare la scelta di un percorso formativo tecnico-scientifico nel passaggio dalla scuola all’università.

Marika De Acetis, biotecnologa

 

Forse è stata la curiosità per la natura che mi hanno tramandato mia nonna materna e mia madre, o i documentari di Quark, fatto sta che a dieci anni ho chiesto che mi regalassero un microscopio «serio»: da grande volevo studiare le cellule.

Poi è arrivato un fatto inatteso: mio padre, appassionato di elettronica, comprò un Apple IIc e insieme iniziammo a studiare il Basic. Il Basic era divertente, quanto l’enigmistica. If…then…else: alle medie ero convinta che sarei diventata una programmatrice. Verso i 15-16 anni ho iniziato a leggere Le scienze, lo avevo visto nell’edicola e mi aveva incuriosito; non capivo tutto, ma avevo compreso una cosa molto interessante: non solo si potevano studiare le cellule, si potevano anche ingegnerizzare!

Ho passato l’ultimo anno delle superiori cambiando idea ogni giorno tra biologia, informatica e ingegneria elettronica. Alla fine mi sono laureata in Biotecnologie, forse perché coniugava il mio desiderio di esplorare con quello di costruire.

Ho passato in laboratorio circa nove anni, bellissimi, in cui ho imparato tante cose importanti, tra cui lavorare in gruppo e l’importanza di mettersi sempre in discussione.

Poi sono stata attratta da una nuova avventura, quella della divulgazione e dell’editoria, che mi permetteva di contribuire a trasferire la mia passione ad altre persone. Ora mi occupo di libri universitari principalmente di area biologica e, ovviamente, ne sono molto felice.

 

Martina Mugnai, chimica

 

Da piccola identificavo la mia età adulta soprattutto con l’avere dei figli; ma mi vedevo anche al lavoro, sebbene non avessi in mente una professione precisa.

Già allora mi domandavo come fosse possibile conciliare tutto. Oggi sono una mamma lavoratrice e ancora me lo chiedo, con la coscienza però che l’ambito professionale e personale si completano a vicenda: entrambi hanno contribuito a formare una «me adulta» che da piccola non immaginavo.

L’amore per la chimica è nato in modo molto concreto. Mio nonno era cantiniere e mio padre argentiere, sono così cresciuta in mezzo alle trasformazioni della materia: fermentazioni e fusioni erano processi che adoravo osservare. Studiando scienze alle superiori ho scoperto che la spiegazione di questi fenomeni ne aumentava ancora di più il fascino.

All’università, più che pensare agli sbocchi professionali, decisi di assecondare il mio interesse e a chi mi chiedeva come mai avessi scelto una disciplina così «maschile» rispondevo che la curiosità non ha sesso.

Una volta laureata, intrapresi il dottorato in Chimica e, appena terminato, sostenni un colloquio in Zanichelli per una posizione di redattrice. Fu una selezione diversa da come me la sarei aspettata: vissi le prove con piacere e non con timore. In quell’occasione realizzai che l’aspetto didattico della scienza mi entusiasmava anche più della ricerca.

Adesso mi sento fortunata perché lavoro a testi di chimica per le scuole superiori ed è un po’ come tornare alle origini della mia passione per questa disciplina.

Il ruolo degli editori scolastici

Secondo il report, «i dati evidenziano la permanenza di stereotipi culturali che inducono donne e uomini a scegliere percorsi tradizionali rispetto al genere». Per ridurre il divario, quindi, bisogna agire sugli stereotipi. È provato che la componente ambientale, ovvero l’influenza di genitori, educatori, amici e media, gioca un ruolo determinante nel modellare gli stereotipi, che si formano nell’infanzia e si consolidano durante l’adolescenza. I libri scolastici, di conseguenza, possono contribuire a superare una visione stereotipata del mondo e a promuovere la parità di genere.

Già nel 1999 l’Associazione Italiana Editori ha aderito a un progetto europeo che ha dato vita al Codice di autoregolamentazione POLITE (Pari Opportunità nei LIbri di TEsto), che da allora rispettiamo. Alla fine del 2020, Zanichelli ha deciso di fare un passo in più e ha avviato l’Obiettivo 10 in parità, un percorso di studio e formazione per diventare più consapevoli della presenza degli stereotipi e imparare a disinnescarli. Questo percorso ha portato alla stesura di un decalogo che abbiamo condiviso sul nostro sito (www.zanichelli.it/chi-siamo/obiettivo-dieci-in-parita) mettendolo a disposizione di chiunque scriva, traduca o lavori con parole e immagini:

  1. Evitiamo gli stereotipi
  2. Rappresentiamo in modo paritario i generi
  3. Evidenziamo il contributo di tutti i generi al sapere
  4. Usiamo un linguaggio inclusivo
  5. Risolviamo i problemi specifici di ogni disciplina
  6. Condividiamo queste linee guida con autori, autrici e con chi lavora con noi
  7. Prevediamo una fase di controllo redazionale dedicata alla parità di genere
  8. Ci aggiorniamo con continuità
  9. Analizziamo periodicamente i nostri libri
  10. Oltre la parità di genere: rispecchiamo nei libri la varietà del mondo.

Le donne STEM ci sono, basta saperle vedere

Restituire nei libri una visione del mondo in cui non esistono lavori, sport, talenti ed emozioni «da maschi» o «da femmine»; valorizzare i contributi di uomini e donne alla conoscenza in tutte le discipline, evitare di indicare le categorie professionali solo al maschile: questi sono i primi passi per combattere un modello culturale in cui alle donne sono riservate le attività di cura e agli uomini i ruoli di responsabilità.

Rappresentare in modo paritario i generi: ragazzi e ragazze svolgono le faccende domestiche. Dooley, Evans, Classmates – Green Edition, 2020.

Il secondo passo è incoraggiare le ragazze a scegliere percorsi tecnico-scientifici: alla scuola secondaria di primo grado, la matematica e le scienze devono diventare materie più stimolanti e coinvolgenti per studenti e studentesse; alle superiori, è importante motivare le ragazze interessate a una carriera nelle STEM, prospettando loro un futuro professionale non più esclusivamente maschile.

Per sostituire il vecchio stereotipo dello scienziato con i capelli alla Einstein abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: da Samantha Cristoforetti a Fabiola Gianotti, da Alessandra Buonanno a Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, da Elena Cattaneo a Ilaria Capua. Le donne STEM sono ancora poche, ma ci sono: basta volerle vedere.

Curtis, Barnes, Schnek, Massarini, Gandola, Lancellotti, Odone, Percorsi di scienze naturali, 2021

 

 

Elena Bacchilega, biologa

Da piccola mi piacevano i libri, i Lego e gli animali. Mi arrampicavo sugli alberi, disegnavo cavalli e leggevo i romanzi di Jack London, convinta che da grande sarei andata a vivere in Africa. Finito il liceo classico mi sono iscritta a Veterinaria. Poi però ho capito che mi interessavano di più la genetica e la biochimica, e dopo molti dubbi e una discreta perdita di tempo sono passata a Scienze Biologiche.Dopo la laurea non avevo voglia di chiudermi in laboratorio; ho saputo che la Zanichelli cercava un aiuto in redazione e mi sono candidata. Fare libri mi ha permesso di unire le mie passioni: la scienza, la scrittura, la voglia di smontare e rimontare le cose per farle funzionare meglio, il piacere di lavorare con gli altri. È come aver messo insieme i pezzi di un puzzle. Mi piace anche avere un approccio scientifico ai problemi: analizzare i dati, formulare un’ipotesi di lavoro, verificare se funziona o se bisogna cambiare qualcosa. E, soprattutto, raccontare storie.


Approfondire

Maria Teresa Morana, Simonetta Sagramora, Focus «Le carriere femminili in ambito accademico», Elaborazioni su banche dati MIUR, DGSIS – Ufficio VI Gestione patrimonio informativo e statistica.

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Elena Bacchilega

è direttrice editoriale della Casa editrice Zanichelli.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

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