Un amen di esame

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I brani tratti da Quasimodo e Moravia sono veramente rappresentativi della loro produzione e della letteratura italiana del Novecento?

 

Chi al Ministero sceglie le tracce dell’Esame di Stato deve essere affezionato alle triadi che, soprattutto in poesia, hanno dominato la storiografia letteraria sul Novecento (e non solo): Ungaretti-Montale-Quasimodo, quest’ultimo poi scalzato da Saba. Tre-quattro autori senz’altro meritevoli (con ben due Premi Nobel), ridotti spesso a etichette di comodo che riassumono solo una parte della loro produzione, quando non la equivocano del tutto: simbolismo, ermetismo, poesia pura, poesia-prosa, satira ecc.

La poesia di Quasimodo scelta per la tipologia A di quest’anno, però, va in tutt’altra direzione. La raccolta da cui è tratta, La terra impareggiabile (1958), appartiene alla produzione tarda dell’autore, che ha ormai abbandonato i versi ermetici con le loro immagini sfuggenti (l’unica sua «fase» che si sfiori in classe, se la si sfiora), non la nostalgia della Sicilia (la «terra impareggiabile» del titolo e della lirica eponima), per abbracciare una sorta di poesia «civile» in linea con i tempi nuovi del realismo, del Neorealismo, della Bufera e altro montaliana. Nell’ultima sezione della Terra impareggiabile, intitolata Domande e risposte, compare in terzultima posizione una poesiola di dubbia liricità, comoda solo per facili collegamenti sulla presenza del satellite lunare nella letteratura e nella scienza occidentali (il solito percorso multidisciplinare che da Saffo porta a Galileo, a Leopardi, a geografia generale, agli Sputnik e agli Apollo con le loro guerre fredde stellari, e via dicendo): Alla nuova luna. La sua collocazione quasi in appendice ricorda quella frantumaglia di scherzi, traduzioni, volgarizzamenti, frammenti che Giacomo Leopardi amava inserire al termine delle sue raccolte (dei Versi come dell’edizione definitiva dei Canti), anche per dare un ruolo alla sua produzione minore e accontentare gli editori desiderosi di una foliazione più ampia. Uno di questi testi d’appendice, «Odi, Melisso», un idillio vecchia maniera, racconta il sogno astronomico fatto dal pastore Alceta e che lo atterrisce: la Luna improvvisamente cade su un prato vicino al suo tugurio e si spegne, annerendo l’erbetta intorno. Ebbene, chi oserebbe considerare «Odi, Melisso» come esemplare della produzione lirica di Leopardi? Sono altre le lune, altri i pastori che ce lo fanno apprezzare.

Dei versi di Alla nuova luna, sostanzialmente liberi (a parte le due impercettibili strofe, sfidiamo a rintracciare gli endecasillabi e i settenari vista l’accentazione ritmica non regolare), le domande ministeriali invitano a indagare la «struttura metrica», lo «sviluppo narrativo», l’«andamento quasi liturgico» dovuto all’«Amen» finale. Ora, più che una preghiera cattolica, Alla nuova luna è fin dal titolo una denuncia sarcastica della volontà umana di sostituirsi all’opera del Creatore, aggiungendo ai «luminari» della Genesi quelli dell’Agenzia spaziale sovietica, peraltro secondo una visione orgogliosamente geocentrica, visto che Luna, Sole e satelliti artificiali «giravano» intorno alla Terra. Quell’«Amen» non scandisce nessuna liturgia, anzi sigilla con una parola biblica un ragionamento scettico e dissacrante sulla presuntuosa «intelligenza laica» dei tecnici, degli scienziati, degli astronauti eredi disobbedienti di Adamo. Come dire: «Pazienza».

Dopo che lo scorso anno Pascoli e Verga avevano rassicurato su una maggiore adesione alla programmazione tradizionale, nel 2023 il Ministero lancia in orbita Quasimodo e si spera che, negli elaborati dei e delle maturande, non faccia la fine dell’errante Sputnik 1, autodistruttosi nell’atmosfera dopo il vagar suo breve.

Per quanto riguarda la prosa, la traccia è nei ranghi della tradizione: un breve estratto dagli Indifferenti (1929), l’esordio di Alberto Moravia che i fascisti non sopportavano considerandolo un «libro pornografico» (parola dell’autore), spesso trascurato a scuola a favore delle opere della compagna Elsa Morante, decisamente meno indifferente. Un estratto difficile da commentare senza conoscere la complessa vicenda dei protagonisti e le forti tensioni emotive che attraversano le loro relazioni. Le domande invitano a riflettere soprattutto sulle paure della madre vedova, signora Mariagrazia Ardengo, che teme la vendita della casa (confermando la passione immobiliare degli italiani) e il lastrico (nemmeno lei può sperare nel reddito di cittadinanza). I e le candidate dovrebbero poi sproloquiare sulla rappresentazione del «mondo borghese», non si capisce se per auspicare la dittatura del proletariato o per celebrare la famiglia tradizionale e la sottomissione, al suo interno, delle donne come brave mogli, brave madri, brave massaie.

Ecco, se questi due fiacchi estratti sono rappresentativi della letteratura italiana del Novecento, ridateci i «grandi» dell’Ottocento! Oppure, cari funzionari ministeriali, abbiate finalmente il coraggio di scegliere il brano di un’autrice per almeno una delle tracce della Tipologia A! Più volte si è detto (ingenuamente?) che le autrici scrivono meno bene degli autori o che non sono sufficientemente coperte dai programmi scolastici. Invece questo Quasimodo e questo Moravia… Basta aprire a caso una pagina di Natalia Ginzburg o Elsa Morante, di Alba de Céspedes o Anna Maria Ortese, per smentire questi assunti. E vedere che cos’è davvero la letteratura. Quasimodo non avrebbe certo vinto il Nobel per Alla nuova luna, ma «Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi» (e i lanci del Roscosmos non sembrano rientrarvi); Moravia non avrà affidato alle ansie fondiarie della signora Ardengo la quintessenza della propria poetica.

Spunti più interessanti vengono invece, come al solito, dalle tracce della Tipologia B, quella divenuta ormai maggioritaria (chissà perché!) nella scelta degli e delle studenti: L’idea di nazione (1961) di Federico Chabod, un classico del pensiero storiografico sempre citato nei capitoli dei manuali di storia dedicati ai moti dell’Ottocento (anche se nella vita Chabod fu un convinto sostenitore dell’autonomia o statuto speciale della sua Val d’Aosta, quando, dopo la Seconda guerra mondiale, si ipotizzò addirittura la sua annessione alla Francia, poi limitata alle sole Briga e Tenda); la storia fatta e diretta dai pochi «grandi» dal vangelo secondo Oriana Fallaci, l’unica autrice citata, un brano fortunatamente precedente alla linea eurabica della sua riflessione e documento autentico degli anni Settanta; un omaggio pop a Piero Angela, che avrebbe citato volentieri Quasimodo in una delle puntate di SuperQuark. «Amen».

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Johnny L. Bertolio

Si è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha conseguito il PhD alla University of Toronto, dove ha maturato una variegata esperienza nella didattica dell’italiano. Attualmente collabora con Loescher come autore e redattore nell’ambito umanistico.

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