Ragazzo con cappello aderente
Oggi mi hanno messa a lavorare in cartoleria. La cartoleria è un posto in cui non ci sono libri: ci sono, invece, penne, matite, portamine, righelli, quaderni a quadretti, quaderni a quadri grandi, a righe di terza o a righe normali, cartoncini, carta da fotocopie, carta da lucido, carta millimetrata, fogli protocollo, copertine plastificate, portalistini, temperini in plastica con serbatoio oppure di legno, gomme normali, gomme pane, gomme-matita, gomme per penne cancellabili frixion, gomme a forma di arachide o di noce, penne a sfera, penne a gel, penne roller, penne con cappuccio touch, penne stilografiche, ricariche per penne di tutti i generi, compassi, mine per i compassi, matite colorate, matite colorate acquerellabili, matite ergonomiche e per mancini, washi-tape (che sarebbero scotch di carta colorati), agende telefoniche, quadernetti a righe o a quadri o bianchi o puntinati, album per gli schizzi, album per gli acquerelli, adesivi, etichette, carta da lettere, buste colorate in confezioni da cinque, tazze, candele con su scritte citazioni d’autore, candele profumate, matite multicolor, matite per scrivere sul vetro, pennarelli indelebili, pennarelli sottili sfusi, evidenziatori, evidenziatori tinta pastello, evidenziatori cancellabili, colla stick, colla liquida, colla in tubetto, colla blu, pochette in lino personalizzabili di due misure, pennelli per la calligrafia orientale, kit da disegno per manga, kit di pennini per la calligrafia occidentale, cartuccere per colori a matita, carta velina, cartoncino colorato, carta da regalo, timbri, fermacampioni, graffette, puntine, spago, goniometri, squadrette da trenta e sessanta gradi, squadrette da quarantacinque gradi, scalimetri, puzzle, bigliettini d’auguri, astucci, portadocumenti, mollette, molle, pinzatrici, elastici, portapenne in legno o in cuoio, raccoglitori ad anelli e taglierini.
Entra un ragazzo con un cappello grigio in testa, annusa – c’è un odore familiare, qui dentro, di astuccio e legno di matita – vede gli scaffali pieni e si avvicina. Tocca. Prende in mano le cose, le prova. Fa scattare la molla della penna, sfoglia i quaderni, soppesa gli articoli. Poi mi lancia un’occhiata, un lieve accenno di colpevolezza nello sguardo.
Mi saluta educatamente, esce a mani vuote.
3 marzo 2017, ore 17.12
Jimmy
La sera, in libreria, si manifesta in un momento preciso.
Succede quando le stanze si svuotano, quando si smorzano il chiacchiericcio costante e i passi sul legno del corridoio. Il silenzio si espande e prende la forma degli spazi liberi.
Quello è il momento in cui mi rendo conto che la giornata sta finendo, che manca poco e tornerò a casa.
È bello: fuori fa già buio e se guardo la strada vedo me, riflessa sul vetro. Sono stanca in tutto il corpo: dai piedi ammaccati per il continuo avanti e indietro, alla base della schiena indolenzita, fino alle braccia affaticate. Risistemo le pile di libri, mi piace vederle dritte e geometriche: le sposto spingendo con pollice e indice.
Si apre la porta ed entra un uomo. Sorrido: lo riconosco.
Sessant’anni, giubbotto nero, mani in tasca e cappello calato sugli occhi. Saluta piano, per educazione, ma senza convinzione. Ha una voce debole, come fiaccata dopo aver troppo urlato. Si aggira per i tavoli delle novità, sembra interessato. E poi sale le scale.
I miei colleghi lo chiamano Jimmy, ma non è il suo vero nome. Si presenta ogni sera, sempre qualche minuto dopo le sette, con costanza. Fa sempre così: un giretto al piano terra e poi fila su di sopra, dove sa che incontrerà Arturo, il mio collega responsabile del reparto turismo e montagna. Da quel momento in poi Jimmy parla. Con la sua voce incrinata, dice cose, tante, tutte in fila. Parla ad Arturo come se non avesse aspettato altro per tutto il giorno. Non riesco a capire di cosa discutano – probabilmente nulla di importante – ma il vociare stasera si sente fin da qui, mentre passo le dita sulle copertine dei libri e mi sfido a ripeterne a memoria i titoli. Arturo è paziente, ascolta, lo sento ridacchiare ogni tanto. Me lo immagino incalzare la conversazione con le sue freddure, arricchire il tutto con il suo lessico ricercato che conosco e che mi incanta.
Jimmy imperterrito parla, ma poi vede che è ora di andarsene.
Ridiscende le scale e soddisfatto – è la parola giusta – saluta.
Lo guardo allontanarsi fino a quando la porta si chiude, e mi ritrovo a fissare me stessa nello specchio del vetro.
22 marzo 2017, ore 19.06