La prof #4

Tempo di lettura stimato: 3 minuti
Ultimi giorni in classe. Pensieri che sfarfallano fuori dalle finestre. Quarto appuntamento con il diario di una professoressa della secondaria di primo grado.

 

C’è aria di estate. Aria di facce rosse e accaldate, di zaini lasciati cadere in corsa, al bordo del campetto.
C’è aria di partite a pallone la sera fino a tardi, facendo rimbalzare le grida tra i palazzi del quartiere.
C’è aria di scuola che ormai è finita, «si sta come a giugno gli insegnanti in classe». In quella terra di nessuno dove non puoi ancora mollare la presa, ma tutti ormai sono già volati via dai banchi.
C’è aria di tirare le fila di tutto l’anno, decisioni da prendere, pagelle da compilare, scrutini, collegi docenti, ragionamenti e controragionamenti «per il bene dei ragazzi».
C’è aria di ciabatte che schioccano sulla sabbia.
Qualcuno già parte prima del tempo, un po’ felice e un po’ triste di perdere questi ultimi giorni strani, questo tempo leggero con i compagni. Stare in aula è come tenersi addosso un maglione a collo alto: soffoca. In tutte le classi c’è qualcuno che ha tenuto il conto preciso dei giorni che mancano al fatidico “ultimo”. Si parla di progetti, di viaggi, e nei discorsi si insinua una minuta malinconia – che forse sento soprattutto io – sintomo del saluto che verrà. I ragazzi sanno che, bocciature a parte, a settembre torneranno e ricomincerà il loro percorso insieme. Questa consapevolezza li tranquillizza perché sanno che la loro quotidianità è sospesa solo temporaneamente. Ma io?
Io li ho accompagnati per un piccolo pezzo di scuola. Li ho conosciuti per qualche ora, quasi ogni giorno. So distinguere le loro voci anche se sono rivolta alla lavagna. Conosco le loro calligrafie e il modo in cui si avvinghiano alle righe del foglio per non cadere. Prevedo le loro battute, so chi alzerà la mano solo per andare in bagno. Vedo quando sono stanchi o sconvolti o euforici, cerco di capire le loro ragioni. Ma l’intero percorso che abbiamo fatto quest’anno finirà qui.
Quasi sicuramente dovrò cambiare scuola, indirizzata da un algoritmo del Ministero che mi assegnerà chissà dove. E dovrò ricominciare dal principio, i cartellini con i nomi sopra al banco, nuove aule da ricordare all’interno della piantina della scuola, nuove situazioni da comprendere. Dovrò reimparare molte cose, e pure ai ragazzi toccherà la stessa sorte: un nuovo insegnante da scannerizzare, da mettere alla prova, da spingere al limite, da prendere in giro nei bigliettini lanciati quando è girato.
Ma questo accadrà dopo. Intanto all’orizzonte c’è l’estate. Ci sono zanzare da schiacciare sul muro, ventilatori accesi e gite in piscina. E mi fermo a guardarli, i miei ragazzi, mentre non mi vedono. Li osservo crescere un millimetro al giorno. E volergli bene è l’unico modo che conosco per fare il mio lavoro.

Condividi:

Chiara Pasin

Insegnante di lettere alla scuola secondaria di primo grado, ex libraia, diplomata alla Scuola Narrazioni Arturo Bandini. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in raccolte di autori esordienti. Ascolta, osserva, sta in silenzio. E poi, scrive.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it