The Old Oak

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Lunga vita a Ken Loach. In un cinema sempre più omologato sul pensiero mainstream, il regista inglese rappresenta una delle poche voci dissonanti. Le sue opere di denuncia sociale contro le ingiustizie del mondo contemporaneo e le distorsioni economiche del sistema capitalistico hanno il coraggio di portare in primo piano le storie degli ultimi, delle classi sociali che non trovano rappresentazione sul grande schermo e neppure nel panorama della politica.

 

The Old Oak affronta il tema della dolorosa odissea dei profughi, costretti a lasciare la propria terra per fuggire da guerre e persecuzioni. La storia è ambientata in un piccolo paese del nord dell’Inghilterra, che dopo la chiusura delle miniere vive da alcuni decenni un progressivo declino. L’arrivo di alcune famiglie di rifugiati siriani, scappati dal conflitto che insanguina il loro Paese, è visto dagli abitanti come una minaccia, quasi fossero responsabili di un ulteriore peggioramento delle già precarie condizioni di vita. L’unico punto di ritrovo del paese è il vecchio pub The Old Oak gestito da TJ Ballantyne, che rischia di perdere i suoi pochi clienti quando si interessa ai problemi dei nuovi arrivati e comincia ad aiutare i volontari nella distribuzione di indumenti e viveri. TJ si trova quasi involontariamente a dover mediare tra gli spaesati rifugiati siriani e gli abitanti locali, sospettosi e poco disponibili all’accoglienza. Sarà dall’amicizia tra TJ e la giovane siriana Yana che scaturirà un escamotage in grado di avvicinare le due comunità nel segno di una solidarietà, ispirata anche alle vecchie lotte dei minatori.

 

 

Il paesaggio grigio e la luce livida sottolineano l’algido e cupo orizzonte esistenziale che unisce i ricordi del dramma della guerra alla rabbia per la decadenza economica seguita alla chiusura delle miniere. Un terreno comune di sofferenza che aprirà la strada a una comprensione reciproca e a un inatteso spirito di collaborazione. Come saggiamente dice TJ, solo quando le classi sociali in difficoltà capiranno che la causa dei loro problemi non sono gli immigrati e i profughi, solo quando smetteranno di cercare la soluzione dei loro problemi guardando verso il basso, ma rivolgeranno lo sguardo in alto, a chi gestisce il potere economico creando diseguaglianze e ingiustizie sociali, allora potranno cambiare le cose. Una lezione che sembra gli elettori europei, e non solo, non abbiano ancora compreso, continuando a premiare partiti estremisti e xenofobi. Quando i ceti sociali più bassi finalmente capiranno che gli immigrati sono i loro naturali alleati, quando capiranno che il nemico è un capitalismo selvaggio che concentra sempre più ricchezza in poche mani, facendo scivolare verso il basso anche i ceti medi, allora forse potranno acquisire la consapevolezza che per cambiare il mondo bisogna sostenere le forze che propongono politiche di redistribuzione della ricchezza, pari opportunità sostanziali e non solo formali per tutti i cittadini. Questa è la lezione del film e di tutto il cinema di Ken Loach: il cambiamento dipende solo dalle nostre scelte. Il cinema è inevitabilmente politico, ogni punto di vista sulla società è politico. Paradossalmente, il cinema di puro intrattenimento è il più politico in assoluto, poiché diffonde la pericolosa ideologia del riposo del pensiero critico, dell’evasione dalla realtà, rinforzandone così il suo statuto e i principi su cui si fonda. Se le grandi produzioni dell’industria hollywoodiana creano da sempre un immaginario collettivo coerente con il sistema economico e sociale dominante è bene che ci siano anche le opere di Ken Loach a risvegliare le coscienze e a indicare un’altra visione del mondo.


The Old Oak

Un film di: Ken Loach
Con: Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade, Col Tait, Jordan Louis, Andy Dawson, Debbie Honeywood, Reuben Bainbridge
Produzione: Francia, 2023
Durata: 113 min.

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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