Sulle rotte della Via della Seta scorrono libri e idee

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Yu Hua, Mo Yan, Su Tong: che cosa ci raccontano i principali autori cinesi contemporanei tradotti in Italia? Una panoramica delle opere principali, con un occhio di riguardo al primo, Yu Hua, in Italia in questo periodo per una tournée letteraria di presentazione dell’ultimo libro.
Yu Hua in un incontro all’Università Bicocca di Milano – immagine via Twitter

Le presenze nel nostro paese dello scrittore Yu Hua, nato ad Hangzhou nel 1960 e cresciuto e vissuto per molti anni ad Haiyan, nel sud della Cina, hanno assunto una cadenza quasi decennale.

La prima volta nel 1998 venne a ritirare il premio Grinzane-Cavour per il romanzo Vivere! (pubblicato in patria nel 1992). Questo libro è ancor oggi in Cina un long seller con più di un milione di copie vendute.

Poi nel 2008, a Roma, in occasione di una serie di importanti manifestazioni al Palazzo delle Esposizioni dedicate all’arte, alla letteratura e al cinema cinesi, il nostro, di cui in quell’anno la casa editrice Feltrinelli avrebbe pubblicato il primo apprezzatissimo volume di Brothers, seguito l’anno dopo da Arricchirsi è glorioso, fu uno degli invitati di spicco.

Il settimo giorno, l’ultimo libro

Questo settembre è alla sua terza tournée italiana, che ha avuto tappe importanti a Mantova (dove ha chiuso il Festival della letteratura) e a Milano (ospite acclamato alla Bicocca dell’Istituto Confucio e della prof.ssa Alessandra Lavagnino) per promuovere la sua più recente fatica letteraria, Il settimo giorno, uscito sempre per Feltrinelli. Va purtroppo precisato, a conferma di un certo ritardo dell’editoria italiana nei confronti della variegata e ricca produzione letteraria contemporanea cinese, che il libro esce ben quattro anni dopo la data di pubblicazione in Cina, mentre, ad esempio, in Inghilterra si era provveduto a tradurlo già in fase di stampa.

Nella sua garbata e a tratti ironica conversazione con il pubblico milanese, Yu Hua ha esordito dichiarando che “la morte è un mistero verso il quale tutti mostrano una grande curiosità; di conseguenza la morte è rappresentata di frequente e in molteplici modi (ironico, crudele, melanconico, efferato, delicato, meditativo) nei miei testi, ma IO non sono morto, anzi amo fortemente la vita”.

Ha quindi accennato brevemente a come gli sia venuta l’idea della vicenda raccontata nel romanzo: un giorno si era messo a scriverne di getto l’incipit e poi ha proseguito, determinato, su quella situazione paradossale di un defunto che viene sollecitato ad affrettarsi per la cremazione e arrivato all’obitorio si ritrova con altre persone morte che attendono di fare la stessa operazione. Dunque un intreccio fra fantasia e mondo reale, con la sorpresa che la realtà spesso conferma o supera ciò che la fantasia produce.

Ad esempio, realmente in Cina quando si va in banca l’attesa è lunga; occorre prendere un numerino, ci si siede su scomode sedie di plastica, si chiacchiera con il vicino del più e del meno. Ma se sei un cliente vip, e non un semplice correntista, allora hai a disposizione una confortevole sala d’attesa, delle poltroncine, e la fila non la fai perché hai una corsia privilegiata.

Ebbene, tutto questo accade anche ai morti del suo libro: ci sono i morti comuni e i morti che hanno fatto parte dei quadri dirigenziali o erano persone importanti. Gli uni vengono cremati, gli altri hanno una tomba, dove magari vengono collocati gerarchicamente. Insomma, anche da morti oggi nella Cina comunista in piena rincorsa capitalista, le differenze di reddito e di status sociale contano, eccome.

Tuttavia lascio al lettore tutto il piacere di trascorrere con la varia umanità dei personaggi di questa straordinaria vicenda i sette giorni sospesi tra mondo dei vivi e mondo dei morti e propongo, invece, un essenziale inquadramento dell’autore nell’ambito della produzione letteraria contemporanea cinese.

Yu Hua e la letteratura cinese contemporanea 

Nella seconda metà degli anni ’80 del XX secolo esordisce la triade Mo Yan, Yu Hua, Su Tong, attualmente considerati tre “classici” della letteratura mondiale contemporanea. Essi hanno apportato un contributo determinante al rinnovamento del linguaggio della narrativa cinese e alla sua diffusione fra i lettori di tutto il mondo. La qualità artistica delle loro opere ha trovato un significativo riconoscimento nel premio Nobel assegnato nel 2012 a Mo Yan.

Ognuno dei tre è stato in grado di sperimentare con sorprendente ampiezza temi e stili i più vari, ognuno di loro è stato capace di riscoprire la ricchezza espressiva del cinese dopo anni di predominio della cosiddetta “lingua di pietra”, politicizzata, rigida, inespressiva, che era stata influenzata dalle traduzioni delle opere di Marx e di Lenin dal russo al mandarino, largamente in auge dagli anni Cinquanta agli anni Settanta e che aveva, in nome del realismo socialista, cancellato ogni sfumatura e interiorità delle cose, abolito lo scandaglio della coscienza individuale, impoverito la ricchezza espressiva della millenaria tradizione cinese.

Sarebbe però forzato cercare di inserire i primi testi dei tre autori citati risalenti a questo periodo all’interno di specifiche “correnti” e “scuole” individuate dalla critica, come quelle “della ricerca delle radici”, o “della terra nativa”, o “del neorealismo”, o “dei teppisti”, vista la libertà d’espressione che gelosamente essi rivendicano.

Mo Yan, Yu Hua e Su Tong costituiscono infatti il fulcro degli autori che a partire dagli anni ’80 hanno impresso una svolta fondamentale alla storia della letteratura cinese. Si può dire che sostanzialmente, dal 1949 al 1980, sotto il dominio del PCC, non ci sia stata una produzione letteraria originale, mentre all’estero questa subiva profonde trasformazioni. L’individuo che voleva mantenere la propria autonomia intellettuale poteva solo parlare con sé stesso e alimentare la propria vigile coscienza in una pressoché totale solitudine. Successivamente, dall’epoca della leadership di Deng Xiaoping, le coscienze individuali e collettive hanno iniziato a liberarsi dai lacci della politica e dell’ideologia; si è così progressivamente avviata una sorta di “rinascimento letterario” che ha permesso di colmare almeno un secolo di distanza con l’Occidente.

All’inizio la scrittura dava voce alle sofferenze patite durante la Rivoluzione culturale; la scena si è successivamente divisa in due correnti dominanti: la letteratura delle radici, nella prima metà degli anni ’80, e la cosiddetta letteratura d’avanguardia, nella seconda. La narrativa cinese in questo modo ha trovato nuova linfa, al punto che i suoi principali scrittori ancor oggi provengono da quell’humus culturale.

Una produzione ricca e varia 

Il nostro autore aveva conosciuto una certa notorietà presso il pubblico italiano a metà degli anni ’90, quando Einaudi pubblicò alcuni suoi racconti nella collana Stile libero, riconducibili a una certo filone quasi “splatter” per la forte dose di violenza dei contenuti (Torture, 1997). Si tenga presente anche in questo caso la sfasatura temporale con cui gran parte di queste opere (compreso il romanzo Xu Sanguan mai xue ji, Cronache di un venditore di sangue, o i racconti Le cose del mondo sono fumo) venivano pubblicate in Italia: i testi di Yu Hua risalivano alla seconda metà degli anni ’80 o agli inizi degli anni ’90.

Cronache di un venditore di sangue (dato alle stampe nel 1996), in particolare, narra le vicende di Xu Sanguan, costretto a ricorrere alla rovinosa pratica di vendere il proprio sangue per vivere. Questo romanzo, in cui lo scrittore di Hangzhou affina le sue tecniche narrative e fa ampio uso dei dialoghi con brillanti effetti umoristici, fu oggetto di commenti molto favorevoli da parte della critica, che ne ha tuttavia dato definizioni antitetiche: mentre quella occidentale l’ha descritto come un romanzo innovativo per l’ardito intarsio dei piani temporali, la critica cinese l’ha commentato molto positivamente ma inserendolo ancora nel solco del romanzo tradizionale.

Yu Hua, tuttavia, abbandona assai presto la scrittura paradossale e provocatoria della sua prima fase avanguardista, e con il romanzo Zai xiyu zhong huhua (L’eco della pioggia, Donzelli, 1991), cambia decisamente stile come confermerà con Huozhe (Vivere!) nel 1992.

Il primo testo è un romanzo di formazione, dove l’Io narrante intreccia ricordi dell’infanzia e della giovinezza con i drammi e le miserie, i vizi e le virtù della gente contadina della sua terra, all’epoca di Mao.

Il narratore, il giovane Sun Guanglin, vive un’esistenza appartata e segnata dall’esclusione; eppure, nel racconto, a volte la malinconia lascia il posto con una fiammata a rappresentazioni grottesche e scherzose, con un efficace effetto straniante. Per esempio, riprendendo il tema della morte così caro all’autore, emblematica è la scena del capitolo intitolato Scomparsa. Il vecchio nonno, che ha l’espressione di un bufalo prima di morire, lancia un grido disperato e annuncia: l’anima mia è volata via! Eppure tenacemente attaccato alla vita dopo una ventina di giorni in cui alterna stati di incoscienza a momenti di arguta lucidità, morirà per sfinimento, portando all’esasperazione il figlio che aveva assistito a questo oscillante attraversamento della soglia dell’esistenza da parte del capofamiglia.

Riletto a distanza di tempo, il romanzo dimostra di essere un vero e proprio e imprescindibile “cartone preparatorio” di molti episodi presenti nelle trame dei più noti testi di Yu Hua.

Il secondo romanzo, da cui è stato tratto il bel film diretto nel 1994 da Zhang Yimou, narra le vicende di Fu Gui dalla guerra sino-giapponese fino alla fine della Rivoluzione culturale maoista. A chi gli ha chiesto quali siano i rapporti tra il film e il romanzo e soprattutto perché il primo sia ancora censurato in Cina e il secondo no, Yu Hua ha risposto ironizzando sullo strumento della censura e sui criteri dei censori, aggiungendo di essere all’oscuro dei motivi che ancora spingono le autorità a rifiutare la circolazione di un’opera di così alta qualità visiva. Lo stesso Yu Hua riporta un passo del libro come esempio della svolta che agli inizi degli anni ’90 impresse al suo stile, più realista ma anche meno freddo e più partecipe agli eventi narrati: dovendo descrivere la strada percorsa dal figlio di Fu Gui per andare a scuola, Yu Hua ricorda che impiegò alcuni giorni prima di trovare l’espressione che meglio rendesse l’idea. Alla fine optò per: “la strada, sotto i raggi della luna, sembrava cosparsa di sale”, perché il sale, messo su una ferita, acutizza il dolore e per il protagonista del romanzo quella strada rappresenta la sua ferita: era la strada percorsa ogni giorno dal suo unico figlio, ucciso tragicamente, per andare e tornare da scuola.

Xiongdi (Fratelli), è uscito dopo dieci anni di silenzio di Yu Hua. In questo periodo l’autore si dedicò principalmente alla lettura e a comporre sanwen, un genere letterario consistente in una forma di testo breve dal contenuto variegato.

Il romanzo è stato pubblicato in due volumi in Cina rispettivamente nel 2005 e nel 2006, mentre la traduzione della valente sinologa Silvia Pozzi, che da quel momento ha contribuito a tutte le successive traduzioni dei suoi testi, e la pubblicazione italiana, per Feltrinelli, sono rispettivamente del 2008 e del 2009 (Brothers e Arricchirsi è glorioso).

L’opera, che anche in Italia ha registrato un grandissimo successo, narra la storia dei due fratellastri Song Gang e Li Guangtou, ingenuo e sensibile il primo, rozzo e astuto il secondo, cresciuti e rimasti orfani durante la Rivoluzione culturale e trovatisi poi ad affrontare la Cina dell’apertura economica con esiti opposti: al trionfo di Li Guangtou, che inizia la sua fortuna economica rivendendo abiti di stile occidentale, si contrappone la tragica fine di Song Gang, che perde la “ciotola di ferro” e finisce in un vortice di espedienti per vivere, tutti alla fine nocivi e fallimentari. Oltre a offrire un vivace e a volte esilarante spaccato dei tumultuosi cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi quarant’anni (l’autore stesso ha avuto modo di rivelare che uno dei motivi che l’avevano mosso a scrivere il libro era quello di rappresentare il repentino passaggio dal medioevo alla modernità che il popolo cinese ha vissuto concentrato in pochi decenni rispetto ai quattrocento anni dell’Europa), il romanzo presenta una particolare mescolanza di stili e toni, prevalentemente tragico nella prima parte e comico nella seconda; esso è stato definito dall’autore stesso come “shenme yuyan dou you de xiaoshuo” (romanzo in cui sono presenti tutti i linguaggi): dal lessico estremamente politicizzato della Rivoluzione culturale ai neologismi che riflettono mode e cambiamenti della Cina di oggi.

Prolungamento dei romanzi appena accennati è La Cina in dieci parole, Feltrinelli 2012. Attraverso il filtro della memoria e della sua esperienza del quotidiano, Yu Hua ci guida su quell’ottovolante da capogiro che è stata ed è la Cina dai tempi della Rivoluzione Culturale ai tempi di Xi Jinping. Citando una frase dell’amico romanziere Su Tong, “sotto la mia penna sono tutti uguali”, potremmo apprezzare il giudizio senza ipocrisie, ma carico di pietas che il nostro autore esprime sul suo popolo.

Yu Hua riprende questo stesso approccio ironico-riflessivo tratteggiando le fantasmatiche figure in bilico fra la vita e la morte che popolano il suo ultimo romanzo. La morte, come in ‘A livella di Totò, ci rende tutti eguali e ci sollecita a guardare con compassione i nostri simili.

Per dare forza al suo punto di vista, lo scrittore, durante l’incontro, ha citato il Roland Barthes addolorato per la scomparsa della madre: “la morte non è un’immagine, è una persona che scompare”.

Leggere a scuola autori cinesi? 

Nelle inesorabili strettoie degli attuali programmi scolastici, che contemplano tutt’al più un fuggevole collegamento fra la letteratura moderna e contemporanea europea e americana con quella italiana, suggerisco sommessamente ai colleghi di destinare anche un briciolo di tempo all’imponente e spesso sorprendente produzione letteraria cinese di oggi, per aprire orizzonti nuovi ai propri studenti – cui sicuramente, come alla gran parte dell’opinione pubblica, sfugge la complessità e la profondità di questa cultura, il lato migliore, forse, di questa superpotenza destinata a influenzarci in ogni campo. I ragazzi hanno un appuntamento con il mondo: proprio loro non lo dovrebbero mancare.

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Gennaro Rega

È stato docente di Lettere nei Licei. Ora è impegnato in alcune istituzioni culturali del territorio milanese, tra le quali le biblioteche di Pioltello e di Cernusco S/N e l’ACTEL di Segrate.

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