Si può risolvere il problema dell’insegnamento della religione?

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Perché è un problema, e non da oggi, che riguarda tra le altre cose il reclutamento del corpo docente, la programmazione didattica e un grosso privilegio.
Un’aula di disegno del Ginnasio Flaminio, Vittorio Veneto, 1935-38. Archivio fotografico INDIRE.

 

Fun fact: l’esonero dalla frequenza dell’ora di religione esiste – senza soluzione di continuità – fin dalla prima legge di carattere nazionale in materia scolastica dell’Italia (dopo l’Unità estesa a tutto il territorio). Si tratta della Legge Casati del 1859 e il suo obiettivo era promuovere l’autonomia dell’istruzione pubblica e sancire l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica in tutte le scuole. 164 anni dopo non è cambiato molto.

L’Insegnamento della Religione Cattolica (d’ora in poi IRC, anche se è sigla moderna) per come è adesso è un’eredità, in continua evoluzione, del Concordato tra Stato e Chiesa, i noti Patti Lateranensi del 1929 (in coda alla riforma Gentile del 1923). L’IRC veniva reso obbligatorio fino alle scuole medie (come «fondamento e coronamento» dell’istruzione) e soprattutto «dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica». I Patti sopravvissero all’Assemblea Costituente del 1947 (per un accordo tra Partito Comunista e Democristiani) fino al secondo Concordato del 1984, che scontentò tutti, per la sua contraddittorietà. Nel testo, la Repubblica italiana, in teoria laica, riconosceva «il valore della cultura religiosa» e teneva conto «che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano». L’Italia avrebbe continuato ad assicurare l’IRC in tutte le scuole pubbliche non universitarie, garantendo però all’alunno la possibilità (di fatto annullata in periodo fascista), di non avvalersi dell’insegnamento, sottolineando che questo non avrebbe dovuto mai dare luogo ad «atti di discriminazione».

L’insegnamento della religione non è diventato un problema: lo è sempre stato, e peggiora di giorno in giorno. Non ci credete? Da qualche anno, addirittura, non si trovano più a sufficienza professori di Religione. A una lettura superficiale del problema, dipenderebbe dal “calo delle vocazioni” (espressione fuorviante, come se il problema fosse dei singoli o, al massimo, di Dio, e non dell’istituzione temporale Chiesa), ma il tema è legato ai metodi di assunzione dei docenti.
Mentre per le altre discipline l’assunzione avviene tramite concorso, graduatorie o al limite tramite MAD (messe a disposizione, la cosa più vicina alla candidatura spontanea che c’è) – con tutte le complessità del caso (ne parlavo qui, sul Manifesto) –, per quanto riguarda l’IRC, nonostante il nuovo stato giuridico degli insegnanti di religione del 2003 (dall’approvazione del quale è avvenuto un solo concorso, nel 2004; ne sono forse previsti due dall’ultimo Decreto Milleproroghe), sono de facto ancora le Diocesi ad assegnare, precariamente (in un rapporto di dipendenza ideologica talvolta sospetto), le cattedre.

Gli insegnanti, individuati dunque da un organo ecclesiastico – ma retribuiti dal Ministero –, devono essere di fede cattolica. Tra parentesi, come questa pratica possa coesistere con l’attuale censura preventiva (assurda) delle opinioni politiche in classe è un mistero (art. 33 della Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»). La scuola è inevitabilmente politica; al massimo non è partitica.
Che esistano delle “buone intenzioni”, da parte della Chiesa Cattolica, o nella legislazione successiva al Concordato del 1984 – rimasto uguale nella sostanza –, o che esistano buoni interpreti, non modifica di una virgola la questione. Nella pratica ogni insegnante fa un po’ come crede: c’è chi fa catechismo, chi organizza dibattiti, chi fa storia delle religioni, chi teologia, chi fa vedere film, alternativamente, sulla passione di Cristo e sulla Shoah tutto l’anno eccetera. Ma è una pratica viziata dal privilegio. Ecco: l’insegnamento della religione è uno degli ultimi privilegi ecclesiastici.

Esiste l’esonero, come è noto. O almeno, esiste la facoltà di avvalersi o non avvalersi dell’IRC, dalla Revisione del 1984 che, appunto, non prevede più in senso stretto l’esonero. Nella prassi – condizionata dall’abitudine, dall’assenza di un’alternativa valida, o di una comunicazione imprecisa – è ancora l’IRC molto spesso a essere garantita di default, mentre l’esonero è una scelta. Chi sceglie di non avvalersi dell’IRC ha tre opzioni, oggi (dipendenti dalla volontà dell’Istituto): frequentare la cosiddetta ora di “Alternativa”, un contenitore per le attività didattiche e formative a progetto; fare studio assistito o attività di ricerca individuale; oppure uscire da scuola (possibile spesso solo alla prima ora e all’ultima). Nei primi due casi, l’insegnate o viene individuato all’interno dell’Istituto (tra le disponibilità e le ore di recupero rimaste scoperte) oppure viene assunto, per periodi brevi – vista la “volatilità” della cattedra – dal Ministero, attraverso le Graduatorie Provinciali (GPS), d’Istituto (GI) o attraverso le MAD.

In molte scuole, una buona percentuale di alunni e alunne non si avvale dell’IRC. I dati relativi all’anno 2020-21, elaborati da #datiBeneComune e UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), dicono che su 7.214.045 studenti frequentanti le scuole statali, 1.014.841 non si sono avvalsi dell’IRC (il 14,07%). In alcune regioni (Toscana, Emilia Romagna) si sfiora il 30%, in altre (il Sud) l’1%. Scelte che dipendono, sicuramente, da un aumento della pluralità religiosa, dal contesto sociale eccetera. Bisognerebbe però capire quanti scelgono l’IRC in modo attivo; in questo momento, molti semplicemente non decidono di non frequentarla, considerando anche che il voto non fa media.
Mi chiedo, poi, come si possa ancora sostenere che sia un’ora di storia delle religioni se chi insegna è dichiaratamente di fede cattolica (un’aporia di metodo, se vogliamo; perché le altre religioni vengono sempre viste per differenza dalla cattolica) e soprattutto se gli alunni che ricevono l’insegnamento percepiscono l’ora di religione come cattolica, nella maggior parte dei casi. La percezione della realtà rientra nella realtà. Del resto, dando la possibilità dell’Alternativa, lo stesso Ministero riconosce l’ideologia cattolica a fondamento dell’insegnamento della Religione.

Tornando alla penuria di insegnanti di religione, vi racconto un’esperienza personale. Quest’anno sono stato assunto a ottobre, tramite Graduatorie di Istituto, in una secondaria di primo grado di Milano. La cattedra è ufficialmente di A022 (Italiano, Storia e Geografia), ma ho scoperto presto che avrei insegnato Alternativa nelle quindici classi che erano rimaste scoperte. Ufficialmente. In realtà, da ottobre a metà febbraio ho fatto il supplente di Religione, perché la docente “titolare” è stata assente per un lungo periodo e la Diocesi di riferimento non rispondeva agli appelli, vi assicuro insistenti e accorati, della dirigente. Non potevo insegnare davvero Religione, e così ho immaginato una serie di proiezioni cinematografiche, diverse per ogni classe, che potessero far circolare temi (e quindi domande) per me fondamentali, fin da quest’età: in alcune seconde e terze ho fatto vedere Inside di Bo Burnham su Netflix, sorta di spettacolo di stand up senza pubblico che racconta l’ansia come pochi, e soprattutto l’ansia generata durante la pandemia. Burnham riesce anche a parlare di social, e allora in alcuni casi abbiamo parlato di come funzioni ogni singolo social (Facebook, ormai in disuso, Instagram e TikTok) e di come i reel e i tiktok sfruttino uno scompenso, diciamo, biochimico. Tantissimi mi raccontavano come non riuscissero a dormire, quando entrano nel “flusso” di contenuti, e un po’ siamo riusciti a capire che dipende dalla differenza, qualitativa, tra contenuti ricevuti e contenuti prodotti.
Abbiamo visto Matilda, non il film del 1996 di Danny DeVito (pur bellissimo) ma l’adattamento musical diretto da Dennis Kelly e Tim Minchin del 2010. Questa rilettura è davvero emozionante, con canzoni già note agli alunni e alle alunne grazie alla complicità di TikTok, e un desiderio di ribellione davvero pervasivo. Abbiamo visto Ready Player One di Steven Spielberg, che fa un’intersezione dell’immaginario dei millennial e della generazione Z, tematizzando violenza di sistema ed economica. Abbiamo parlato e parlato, anche di argomenti molto delicati, fino alla politica migratoria dell’Italia e dell’Europa attraverso Bello FiGo Gu.

A volte, gli alunni e le alunne mi chiedevano di non fare nulla, di avere uno spazio di libertà: alcuni studiavano, alcuni chiacchieravano, altri leggevano o usavano l’IPad. Poche volte sono dovuto intervenire perché la situazione era precipitata.
Mi sono reso conto, così, che forse manca, nella programmazione didattica, non solo un’ora di Audiovisivo, di storia del Cinema e della Serialità, ma è completamente assente una riflessione comune sui social, e soprattutto del tempo da dedicare all’autogestione, allo studio autonomo o a una semplice (e sacrosanta) pausa.

Poi tutto è finito. In quel “limbo”, senza grossi obblighi, stavamo bene, ma sapevamo non sarebbe durato. Sembra che l’esperienza personale rappresenti una digressione, ma non lo è. Se l’insegnamento della Religione a scuola oggi non è più pacifico, perché da un punto di vista didattico manca chiarezza, anche per ciò che riguarda le ore di Alternativa (in tante scuole purtroppo non garantite); e perché da un punto di vista amministrativo non è ammissibile (non più) che nella scuola pubblica una cattedra venga assegnata da un organo non ministeriale (con la conseguenza naturale dell’assenza di organico), per di più se la retribuzione lo è. Senza dimenticare cosa comporti l’esistenza stessa dell’IRC per il Ministero, obbligato, di fatto, ad assumere altrettanti professori di Alternativa. L’IRC, affidato a insegnanti designati dalle Diocesi, costa allo Stato il doppio di quanto dovrebbe.

Se l’insegnamento della Religione a scuola, dicevo, non è più cosa pacifica, allora prima di tutto bisogna cominciare a immaginare il dopo. Considerando possibile anche la semplice abolizione dell’ora di Religione, perché non dedicare quel tempo a insegnare, davvero, le religioni? Individuando delle cattedre di filosofia alle scuole secondarie di primo grado e reintegrandole o implementandole alle secondarie di secondo grado? Perché non pensare, per esempio, a una cattedra di Audiovisivo (dove convogliare Storia del Cinema, linguaggio dei social media e via discorrendo?), o più semplicemente perché non dedicare quel tempo all’esercizio della libertà?
Combattiamo il privilegio, difendiamo una scuola pubblica e politica, in senso profondo, conflittuale.

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Demetrio Marra

è laureato in Filologia moderna all’Università di Pavia e ha frequentato il Master “Il lavoro editoriale” della Scuola del Libro. È vicedirettore di «Birdmen Magazine», rivista di Cinema, Serie e Teatro. È direttore editoriale di «lay0ut magazine», rivista di Letteratura, Traduzione e Cultura Visuale. Scrive per la sezione “Lingua Italiana” di Treccani e per Triennale Magazine. Attualmente vive a Milano e insegna alla secondaria di primo grado.

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