Da alcuni giorni sui social network viene condiviso, commentato e dibattuto il contenuto di un video presentato come un esperimento sociologico, un modo di raccogliere (e mostrare) dati sul fenomeno del “catcalling“, cioè dell’abitudine propriamente maschile di salutare, chiamare, indirizzare complimenti alle donne che camminano per strada in un volgare, goffo, molesto tentativo di approccio, o anche solo per mostrare un temporaneo interesse privo di reali intenzioni.
Il video riprende una donna che passeggia per alcuni quartieri di New York: una ragazza struccata e vestita semplicemente (maglietta e pantalone nero), indubbiamente bella, come possono esserlo alcune attrici o qualcuna delle nostre amiche. La passeggiata è durata dieci ore, il filmato dura qualche minuto. Le voci maschili che la chiamano e cercano la sua attenzione sono costanti e, secondo chi ha girato il tutto, ammontano a più di cento tentativi di approccio. Più di cento piccole molestie.
O forse no.
A qualcuno la parola molestia usata nel dibattito che è seguito alla pubblicazione del video ha dato fastidio. Il “bella” sussurrato o lanciato addosso alla passante è considerato da molti un vero e proprio complimento, qualcosa che gli uomini fanno per compiacere, apprezzare e, volendo, anche per attirare l’attenzione su di sé in veste di cicisbeo ammirato. Un atto di vassallaggio quasi cavalleresco. Un omaggio.
Forse per questo motivo, anche molte donne si sono schierate in difesa dell’apprezzamento fugace: è difficile rinunciare a quel momentaneo e frivolo orgoglio, alla conferma che potremmo non piacerci, ma siamo belle per qualcuno di cui neanche ci importa.
È dalla nascita che il mondo ci mette alla prova su quel fronte. Non è mai abbastanza. Ma ecco che uno sconosciuto, senza aspettarsi niente in cambio, alza la paletta e ci assegna un voto alto, ci approva, ci dice che sì, siamo passabili e buona giornata. È così difficile avere a che fare col mondo: come possiamo rinunciare a ogni minimo segno di approvazione?
C’è poi chi non vede nessun paternalismo maschilista nel gesto: è un approccio carino, ti dicono, una cosa bella che un uomo si sente di comunicarti. Al suo posto, incontrando un ragazzo carino o che ti attrae, magari avresti fatto lo stesso. Perciò se ti piace sorridigli altrimenti mandalo al diavolo e prosegui. Cos’è successo in fondo, di così grave?
È successo, succede.
Succede che non viviamo in un mondo in cui quel gesto è astratto. Non a caso sono sempre gli uomini che lo fanno alle donne, mai viceversa. E se anche noi prendessimo quest’abitudine, l’atto non sarebbe propriamente reciproco.
Se io cammino per strada, sono sola e uno sconosciuto mi saluta, mi chiama, mi cammina accanto, il mio primissimo istinto è quello di esserne lievemente inquietata. Non sarebbe lo stesso per lui. Non abbiamo avuto le stesse paure, fin da quando ci raccontavano le favole. Sarebbe bello uscire la sera tardi, andare dappertutto temendo al massimo di essere derubati e uccisi. Da sempre invece, da quando abbiamo avuto cognizione di essere bambine, abbiamo temuto di incontrare qualcuno che non ci avrebbe derubato o ucciso ma fatto qualche altra cosa di violento e senza rimedio. Questa semplice constatazione fa tutta la differenza del mondo.
Hey Baby! Smile! What’s up girl? Damn! Nice! Sweetie! God bless you mami! Hello! Huh!
Ovviamente non voglio dire che dietro ogni “ciao bella” si nasconda una potenziale violenza sessuale. Non è affatto così. Ma mi chiedo quanto sia importante per un uomo comunicare a una donna che passa che è bella, per arrivare a farlo senza mai chiedersi se sia il caso o no, se in quel momento non sta correndo il rischio di farle vivere un momento d’ansia. Con quale diritto quell’uomo si intromette nel cammino di una sconosciuta solo per farle un complimento?
E poi: chi ha dato a quell’uomo il diritto di alzare una paletta con un voto? Anni di Miss Italia sullo schermo hanno semplicemente rispecchiato una società maschilista oppure l’hanno approvata e incoraggiata?
La paletta col voto c’è sempre, rassegnati, mi ha detto qualcuno. Quando il voto è positivo, insomma, non ci sarebbe niente da lamentarsi. Eppure io ci penso e mi sembra che un motivo per lamentarsi ci sarebbe eccome.
Uscire di casa, camminare, andare da qualche parte sono cose che dipendono da me. Quello che uno sconosciuto si sente in diritto di urlarmi dietro invece no. Che io lo voglia o no, lo farà lo stesso. Sperare che non mi insulti non è abbastanza. Prima ancora che io possa decidere se voglio avere a che fare con lui, l’avrà già deciso per me. Questo è molesto.
Affrettare il passo perché qualcuno ti chiama e hai paura che ti segua, è molesto.
Cambiare strada perché davanti a quel bar c’è un gruppo di uomini, è molesto e lo abbiamo fatto tutte. Anch’io.
E se l’ho fatto io, se è capitato che qualcuno per strada abbia cercato la mia attenzione fischiando, chiamandomi, facendomi dei complimenti, allora consideratela una prova a favore del fatto che la bellezza non c’entra per niente.
Lo fanno con tutte perché si sentono in diritto di farlo. Hanno questa libertà: io non l’avrei neanche comportandomi allo stesso modo con loro.
C’è qualcosa che mi tocca profondamente di questo argomento, ma non sapevo bene cosa fosse prima di vedere quel video. Ci sarebbe da dire sulla scientificità del metodo e sul modo di interpretare i dati raccolti, ma queste cose non contano per quello che mi ha permesso di capire.
Tutti quei richiami, saluti, complimenti, approcci carini, uno dopo l’altro, in successione, mi hanno fatto venire l’ansia. È l’accumulo. Tutto quello che i passanti dicevano alla ragazza si è trasformato per me in un continuo “ti vedo, ti vedo, ti vedo”. Ovunque lei è andata è stata vista.
Così ho capito cos’è che mi fa davvero rabbia, di questo vacuo, piccolo, potere tutto maschile. Che ci vedano ovunque andiamo. Che non ci sia uno spazio in cui è possibile dimenticare di essere una donna e soltanto camminare libera e tranquilla. Come farebbe un uomo.