Si trattò, a quel tempo, di un pot-pourri di buone intenzioni, ipotesi velleitarie, slogan pasticciati in chiave modernista: connettività e digitalizzazione, come panacea di tutti i mali della scuola; abolizione del valore legale del titolo di studio, come conferma dell’inconsapevolezza che chi elaborò allora quel programma aveva delle conseguenze che un simile provvedimento produrrebbe in termini di uguaglianza, inclusione, pari opportunità per tutti i cittadini: elementi, questi, cui coloro che lavorano sulla scuola nel Movimento 5 Stelle sembrano ora sinceramente interessati. Altri tempi, parrebbe. Il vento è cambiato. E, per una volta, in un direzione favorevole.
È accaduto che parlamentari e senatori si sono messi a studiare il nostro sistema di istruzione. E hanno acquisito in molti casi una visione politica della scuola come istituzione della Repubblica e non agenzia di servizi. Questo ha prodotto risultati benefici: l’individuazione di punti di vista importanti da cui guardare al nostro sistema di istruzione; la vigilanza su alcuni temi fondamentali; la produzione di proposte significative per il mondo della scuola; soprattutto, la concretizzazione di un’indubitabile volontà di condivisione e di pratica democratica per quanto concerne i problemi che investono il sistema. Il leader epura, allontana, stigmatizza, esterna (sempre meno, per fortuna); alcuni di loro ascoltano, condividono, persino imparano (quando età ed esperienza sono tali da suggerirlo, se si ha intelligenza e umiltà), si consigliano. Organizzano caparbiamente occasioni di incontro e di scambio.
È il caso degli Stati Generali della Scuola; che, nonostante richiamino (ahimé) nel titolo la kermesse mediatica del 2001 organizzata a Roma da Letizia Moratti, e le varie promesse irrealizzate in salsa Profumo-Carrozza-Giannini per dire “volontà di ascolto”, cui difficilmente è seguita una autentica pratica dell’ascolto, si presentano e sono tutt’altro.
Il leader epura, allontana, stigmatizza, esterna. Ma alcuni di loro ascoltano, condividono, persino imparano, si consigliano. Innanzitutto, per una questione di scansione temporale. Non si tratta di un evento unico e isolato, ma di una programmazione costante e periodica di 2 giorni di incontro tra docenti e referenti politici per costruire insieme il programma politico del movimento. Dallo scorso febbraio sono stati convocati una volta a Torino, una a Verona. Sono reduce dall’ultimo incontro, a Latina. Che ha visto – senza passerelle di politici, amministratori, “soliti noti” dei tanti convegni che vengono organizzati e che hanno spesso l’unico scopo di provare a conquistare un po’ di visibilità – immediatamente mettersi a lavoro i 12 tavoli tematici, tra cui quelli su formazione e reclutamento, edilizia scolastica e sicurezza, personale Ata, scuole paritarie, inclusione e integrazione, didattica, valutazione. Nessun leaderismo (particolarmente curioso in un Movimento che fa – o ha fatto, fino a pochissimi giorni fa – del Leader Maximo la propria bandiera), nessuna prevaricazione. Docenti, dirigenti, personale Ata, genitori si sono iscritti al tavolo coordinato da docenti, che hanno condotto con discrezione e competenza i lavori.
I risultati emersi dai tavoli di studio e di confronto – il più delle volte documenti interessanti e seri – sono stati illustrati lunedì 24 novembre alla Camera dei Deputati presso la Sala Tatarella (Palazzo dei gruppi). A seguire, sempre presso la Sala Tatarella, il convegno “La Buona Scuola di Renzi: analisi e proposte alternative”, organizzato in collaborazione con l’Associazione Unicorno l’Altrascuola. Al convegno sono intervenuti deputati e senatori M5S delle Commissioni Cultura e Lavoro e rappresentanti di Unicobas Scuola, CUB, Gilda, FGU e Anief.
“Il Movimento 5 Stelle – spiegano i parlamentari M5S della Commissione Cultura di Camera e Senato – si attiva per collaborare concretamente con gli attori della scuola in una consultazione che sia davvero aperta a tutti e trasparente. I risultati degli Stati generali della Scuola a Latina confluiranno in un Piano Scuola a cui lavoriamo da tempo, con l’obiettivo di dare risposte concrete alle esigenze di docenti, studenti e famiglie”. Ciò che sta accadendo è espressione di una capacità rara di condividere con elettori e cittadini e di individuare interlocutori anche non contigui al Movimento stesso. Non si tratta – per una volta – delle consuete affermazioni prive di fondamento: si sia o non si sia d’accordo con principi, dichiarazioni, atteggiamenti del Movimento 5 Stelle in altri campi e settori, è certo – per quanto riguarda la scuola – che quello che è accaduto e che continua ad accadere è l’espressione di una capacità rara di condividere con elettori e cittadini, di individuare interlocutori anche non contigui (come nel mio caso) al Movimento stesso, riconoscendo dignità, competenza in chi le ha acquisite nel corso degli anni; e soprattutto accordando all’autonomia di giudizio un valore significativo.
La prova di questo modo di vedere e parlare alla/della scuola sta anche nell’attività parlamentare degli esponenti del M5S, sia in Commissione che in Aula. Silvia Chimienti, ad esempio, Commissione Lavoro alla Camera, una delle organizzatrici degli Stati Generali, sta portando avanti da quando è in Parlamento un prezioso lavoro per il riconoscimento dei diritti di docenti e Ata, che si è concretizzato in una proposta di legge per affrontare in maniera definitiva il problema del precariato. Viene in mente automaticamente “La Buona Scuola” di Matteo Renzi, il cui primo capitolo è dedicato al problema del precariato, con una previsione di assunzione di 148mila docenti dalle Graduatorie ad Esaurimento. Previsione che ormai, grazie al pronunciamento della Corte di Giustizia dello scorso 26 novembre, non è altro che un atto dovuto, pena una sanzione da parte dell’Europa ben superiore al miliardo che il Governo ha stanziato per le assunzioni. Il progetto di assunzione del Governo, come è noto, ha scatenato polemiche soprattutto in merito ai docenti di II e III fascia, esclusi dall’entrata in ruolo, nonostante si tratti in molti casi di insegnanti che hanno sulle spalle anni di lavoro, ricca esperienza, preparazione notevole. Quello proposto da Chimienti è un piano quinquennale di assunzione dei cosiddetti “precari storici” e successivamente di tutti i docenti già abilitati dallo Stato, ma ignorati da Renzi. Per realizzarlo viene proposta un’accelerazione del turnover (in pensione a 60 anni), la diminuzione del numero di alunni per classe (20), ponendo fine al vergognoso fenomeno del sovraffollamento delle aule scolastiche, il ripristino del tempo pieno alla primaria. Smaltiti i docenti ancora precari, la proposta prevede dal 2020 un sistema di formazione e reclutamento docenti completamente nuovo e che non ricrei più il caos attuale: un concorso nazionale aperto a tutti i laureati (e stabilito sulla base dei posti effettivamente disponibili e necessari) darà accesso ad un anno di tirocinio retribuito, seguito dall’immediata assunzione in ruolo (entro 3 anni), pena una multa per lo Stato e un risarcimento per il docente.
Per chi abbia a scuola le sorti della scuola pubblica e alcuni principi costituzionali che stanno lentamente scomparendo, scalzati dalla cosiddetta Costituzione “di fatto”, è davvero un peccato considerare come il lavoro oscuro ma utilissimo di molti parlamentari venga completamente nascosto dalle esternazioni di Grillo e dall’incuria di un’“informazione” al momento tenacemente impegnata nel racconto delle “magnifiche sorti e progressive” verso le quali l’attuale Governo sta orientando il Paese.