Quarantena

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Diario di un isolamento asintomatico (se si esclude l’Asl)


Venerdì 26 febbraio 2021
Al ritorno a casa, la sera, mi sento un po’ spossato.
Misuro la febbre: 37,2.
Ripasso i sintomi del covid:
tosse: no;
mal di gola: no;
febbre sopra i 37,4: no;
perdita di gusto e olfatto: no;
affanno: no;
dolori muscolari: no;
stanchezza: sì.
Non so che fare. Per fortuna c’è il weekend, penso, così in due giorni posso capire se la situazione evolve in qualche direzione.
Intanto annullo i pochi sprazzi di vita sociale che ci siamo concessi negli ultimi mesi: niente pranzo con i vicini; niente incontri di mio figlio (7 anni) con gli amici.
Qualcuno mi dice che esagero, e nell’intimo mi auguro che abbia ragione.

Sabato 27 la situazione è invariata: 2 gradi sopra il 37… generale malessere… nient’altro.
Non chiamo il mio medico, ma prenoto direttamente un tampone molecolare in una struttura privata. Appuntamento, lunedì mattina.

Domenica 28 decidiamo, io e mia moglie, di non mandare il bambino a scuola fino all’esito del tampone. Ci preoccupa che possano mettere in quarantena la classe per colpa nostra. Ci spaventa la prospettiva delle mamme inferocite sotto il nostro balcone!

Nel dubbio, mi trasferisco a vivere nella stanzetta che chiamiamo “palestrina”, perché dal primo lockdown lì ci rintaniamo a fare i nostri esercizi. C’è qualche attrezzo e un paio di tappetini; c’è, soprattutto, un divano letto piazzato davanti a un televisore: abbastanza per ingolosire mio figlio, che vorrebbe tanto passare le notti a guardare i cartoni animati.

Lunedì 1 marzo: faccio il tampone. In casa serpeggia un moderato ottimismo: i segni tipici del covid non compaiono. Al loro posto, un fastidioso “dolore” cutaneo: come avessi l’epidermide infiammata.

Martedì 2 arriva l’esito: positivo!

Da questo momento cominciano le telefonate e le mail della Asl, unici sintomi tangibili della mia malattia:
“Lei è positivo, lo sa?”
“Sì!”
“Vive solo?”
“No!”
“Chi sono i conviventi?”
“C. e L.” e via di generalità…
“Mi dia la sua mail”
La detto, cercando di scandirla bene.
La signorina la ripete, ma ho la sensazione che abbia saltato qualche lettera. Glielo dico, ma lei mi assicura di aver capito.
“Le arriverà l’invito a compilare un questionario” mi avvisa, e aggiunge “posso mandare a questo indirizzo anche quello di sua moglie?”
“Certo”
Bene.
Aspetto.
Non arriva nulla.
Il giorno dopo mi richiamano:
“Come mai non ha compilato il questionario?”
“Perché non mi è arrivato”
“Mi ridice la sua mail?”
Gliela ridico.
“Ah… ecco… era sbagliata… ora le arriva!”
In effetti mi arriva, e posso compiere il mio dovere di paziente diligente (tosse? No; febbre? No; mal di gola? No…)
Passa un giorno e sul mio indirizzo di posta arriva una mail per mia moglie:
“Abbiamo notato che non ha ancora compilato il questionario…”
Che facciamo?
Ci viene il sospetto che le sue credenziali fossero nella prima mail, quella inviata all’indirizzo sbagliato.
Non sappiamo come comunicare la cosa, e quindi aspettiamo.

Nel frattempo arriva una mail che ci diffida dall’uscire di casa, tutti quanti.

Passano i giorni: io compilo il mio questionario; loro mandano a me il sollecito per mia moglie.
A un certo punto, probabilmente spazientiti, telefonano a me per parlare con lei. Gliela passo (telefono infetto? Ops!).
“Come mai non compila il questionario?”
“Perché non ho le credenziali!”
“E come mai non ha le credenziali?”
“Probabilmente erano nella prima mail, mandata a un indirizzo sbagliato…”
“Ah… allora mi dia la sua mail personale…”
La cosa si sistema, e anche lei può cominciare a fare il proprio dovere di reclusa diligente.

Intanto sento il mio medico, la quale mi consiglia di fissare il tampone di uscita verso la metà-fine della settimana successiva. Lei non può farlo, però, perché – mi spiega – ha visibilità solo sul calendario dei successivi due giorni. Mi consiglia di chiamarla lunedì o, meglio, martedì così da fissare assieme il nuovo accertamento.
Bene.

Il giorno dopo, però, mi richiamano dalla Asl, per fissare il tampone di uscita.
“Che efficienza!” penso.
“Quando ha avuto i primi sintomi?”
“Venerdì 26”
Conta a fior di labbra:
“Facciamo il tampone lunedì!”
“Così presto?”
“Dieci giorni dai primi sintomi: è la regola!”
“Bene!” esclamo, pregustando una clausura brevissima!
Lo racconto a mia moglie, che mi chiede perplessa: “Ma non è troppo presto? Sarai ancora positivo!”
“Figurati!” dico, indurendo i bicipiti.
Quando si allontana, faccio gli scongiuri.
Lei, diligente, chiama il suo medico che le prescrive il tampone per martedì 9, un giorno dopo il mio. Se va bene a entrambi, siamo liberi a metà della settimana prossima.

Lunedì 8 marzo
Rifaccio il tampone e risulto nuovamente positivo!
Accidenti…
E adesso?

Mi chiama una gentilissima signorina dalla Asl, che dall’accento sembra essere salentina: simpatia immediata.
Sembra sinceramente dispiaciuta quando mi dice che dovrò rimanere in quarantena fino al 19 di marzo.
Dice di aver visto il mio questionario quotidiano, che in effetti, così, senza sintomi…
“Altri 10 giorni?” Chiedo con voce incrinata.
“Beh… sì… già…” mi risponde, con una nota di rammarico.
“E dopo?”
“Dopo chiudiamo la pratica!”
“In che senso?”
“Che può uscire!”
“Senza tampone?”
“Senza tampone!”
“Ma non ha senso!”
“È la regola!”

Ci penso, mi figuro altri 10 giorni nella stanzetta di 12 mq.
“E se facessi prima un altro tampone?”
“È un’idea!” mi dice… “senta il suo medico e se lo faccia prescrivere entro domenica prossima, magari le va bene! Anzi, guardi, io mi segno qui che lei lo fa e così la richiamo domenica!”
Ci salutiamo con la promessa di risentirci presto.
Sembra quasi un appuntamento.

Nel frattempo, arriva il tampone di mia moglie: lei è negativa!
Beh, sembra che qualcosa vada per il verso giusto.
Chiamiamo la pediatra, per chiedere se convenga fare il tampone al piccolo. Lei però ci gela: “Se la Asl non vi libera come nucleo familiare, siete comunque obbligati a stare assieme in quarantena!”
E ci racconta di un papà che, dotato di mansarda, si era temporaneamente separato dalla famiglia.
Noi non abbiamo una mansarda, ma i nostri vicini sì.

Chiamo il numero verde.
Attendo 20 minuti, mi risponde Jonathan… Jonathan non parla… cade la linea…
Richiamo.
Attendo altri 20 minuti.
Risponde Alessandra…
Alessandra dice che non possiamo uscire, perché siamo nucleo familiare.
Provo a spiegare, a ragionare, a piatire…
Niente! Ottengo solo di poter essere richiamato dalla Asl.
Che in effetti mi richiama.
Parlo con un ragazzo, che mi spiega che c’è una legge da rispettare, che io non posso attentare alla salute pubblica, che devo stare in casa fino al 19 marzo…
All’inizio provo a discutere, a spiegargli la situazione, ma lui non ascolta, mi parla addosso, si parla addosso… mi dice che uscirò di casa solo il 19 dopo un tampone negativo. Gli spiego che quello che ha detto sembrerebbe non essere vero; che da questo momento in poi posso non fare più tamponi e uscire comunque al 21° giorno…
Mi risponde che non posso uscire prima della scadenza della quarantena!
Gli dico che non ho chiesto questo, ma che vorrei provare a liberare la mia famiglia sana, con la quale non ho contatti da 15 giorni.
Mi risponde che c’è una legge e che io non posso attentare alla salute pubblica…
Basito, mi rendo conto di avere a che fare con un muro di gomma. Di cui ignoro il nome, tra l’altro.
Glielo chiedo.
“Assolutamente!” mi risponde, intendendo “no” (è un errore, ma non mi sembra utile farglielo notare).
“Ora la devo salutare”
E chiude.

Mercoledì 10 marzo
Forse la mia telefonata con la Asl ha avuto qualche effetto, perché ci richiamano da non so quale altro centro operativo, che ci interroga sulla composizione del nucleo familiare.
“Ah, ma c’è anche un bambino?” chiedono a mia moglie.
Certo che c’è, dice, visto che ci avete già chiesto nome cognome età scuola classe…
“Ma nessuno ha mai compilato il questionario del bambino”
“Non ce lo avete mai mandato!”
“Ah… e il bambino come sta?”
“Bene”
“Ha fatto il tampone?”
“No”
“Perché?”
“Perché ci avete detto che al 15° giorno senza sintomi sarebbe comunque libero”
“No, se il papà è ancora in quarantena”
“Infatti… ma siccome io ho fatto il tampone e sono risultata negativa…”
“Quando l’ha fatto?”
“L’altro ieri”
“Ahi…. Non vale, signora!”
“Come non vale?”
“No, non vale: la regola è che il malato fa il tampone 10 giorni dopo i primi sintomi. Il convivente, dopo 10 giorni dal tampone del malato. L’altro ieri per lei erano passati solo 9 giorni. Deve rifare il tampone!”

Passa un giorno.
Mia moglie esce per fare il tampone a nostro figlio.
Nel pomeriggio arriva la telefonata:
“Fatto il tampone al bambino?”
“Sì”
“Quindi cosa volete fare? Segnaliamo che suo marito si è isolato in altra casa?”
Noi, che ci siamo interrogati a lungo sulla tattica da seguire, abbiamo preso una decisione. E mia moglie dice:
“Guardi, secondo noi sarebbe meglio a questo punto che mio marito rifacesse il tampone”
“Sì, in effetti vedo qui un appunto della collega… dice che vi richiamerà il 14”
“Infatti, però noi non possiamo prenotare il tampone, perché nessuna struttura privata ammette persone in quarantena.”
“Deve rivolgersi al suo medico”
“Lo abbiamo fatto, ma non ci richiama. Lei non può fare niente?”
“No, non direttamente. Però posso provare a segnalare la cosa alla centrale operativa. Le faccio sapere”
“Grazie… grazie… lei è veramente gentilissimo!”

“Pronto?”
“Si, pronto!”
“La signora C.?”
“Sì”
“Ho chiamato la centrale operativa: suo marito non deve fare il tampone!”
“Perché?”
“Perché anche se risulta negativo deve comunque aspettare il 21° giorno”
“Come? Perché? Non capisco!”
“È così, signora! È la regola!”
“Ma non è vero! Conosco un sacco di gente uscita prima del 21° giorno con un tampone negativo!”
“Non so cosa dirle! Questo mi hanno detto di dirle! La saluto!”

“Pronto?”
“Signor Sandro?”
“Sì?”
“Sono la sua dottoressa!”
“Ah… buongiorno dottoressa!”
“Ho sentito il suo messaggio in segreteria… Dunque lei vuole fare il tampone?”
“Certo! Però… senta… dalla Asl ci hanno detto che anche se risulto negativo non posso uscire di casa…”
“E perché?”
“Non so… pensavo potesse spiegarmelo lei…”

Parliamo un po’. Nel suo tono mi sembra di cogliere un’ombra di scetticismo… come se non gliela contassi giusta.
“Ma lei da quanto non ha sintomi?”
“Dal 28 febbraio”
“Ah… caspita!… e quando dovrebbe finire la sua quarantena?”
“Il 19 marzo”
“Ah… caspita…!”
Ci pensa un po’, poi mi dice: “Certo, è vero che più di due tamponi non si potrebbero fare!”
“Ma io ne ho fatto uno solo a carico del Servizio sanitario nazionale! il primo l’ho fatto privatamente: 75 euro mi è costato!” e mi risuona un tono taccagno che non mi sospettavo.
Prende un po’ di tempo, la dottoressa.
“Se glielo prenoto per domenica?”
“Certo! Benissimo!”
“Però poi basta!”
“In che senso?”
“Se è positivo non ne facciamo più!”
“Promesso!”

Ho un vago senso di inquietudine, quando chiudo la telefonata. Come se avessi combinato una marachella.
Poi mi viene da ridere.

Alla fine arrivano le buone notizie: il tampone di mio figlio risulta negativo.
Il mio tampone di domenica 14 risulta negativo.
Mi chiama la Asl lunedì 15: “abbiamo visto l’esito del suo tampone! A questo punto le mandiamo una mail per chiudere la sua pratica e lei potrà uscire!”
È una signorina ferma e gentile, quella che mi parla. Un po’ sbrigativa, forse, ma precisa.
Mi ripete la mia mail. Vorrei chiederle lo spelling, ma è sbrigativa, appunto, e lascio perdere. Mi ribadisce la raccomandazione di aspettare la comunicazione, prima di uscire.
Io ne approfitto, per chiedere se nella comunicazione sarà presente anche la mia famiglia.
“Sono positivi?”
Rimango un po’ interdetto: “Mi scusi” chiedo “ne abbiamo già parlato più volte… hanno compilato il questionario… hanno fatto il tampone…”
“E sono risultati positivi?”
“No, negativi!”
“Allora non ce ne occupiamo noi! Deve chiamare l’ufficio igiene!”

Mia moglie chiama l’Ufficio igiene. 17 minuti di attesa, la comunicazione, la trasmissione dei dati, il suo indirizzo mail (“ma non l’avevano già?”), a metà del quale la linea cade!

Altri 20 minuti di attesa, e finalmente la comunicazione si completa: “Ora mandiamo la segnalazione alla centrale operativa, per avvisare che la vostra quarantena finisce con quella di suo marito!”

Bene.

5 minuti e mi squilla il telefono.
“Buongiorno” voce maschile; accento del sud.
“Buongiorno!”
“Qui è la centrale operativa della Asl… lei è il signor Sandro Invidia?”
“Sì”
“Bene… abbiamo visto l’esito negativo del suo tampone… ora, lei non deve uscire di casa fino a che non le arriva la nostra mail!”
Ormai sono anche un po’ divertito, lo confesso. Attribuisco la ridondanza alla disorganizzazione e non chiedo come mai questa seconda telefonata. Ne approfitto, però, per domandare:
“Mi scusi… possiamo verificare che la mail che avete sia corretta?”
“Glielo avrei chiesto io!” mi fa la voce dall’altra parte.
“Ecco… perché la prima volta era stata registrata sbagliata…”
Scandisce la prima parte del mio indirizzo, e completa: “chiocciola… loscher… punto… it”
“Ecco… appunto… no… non loscher ma lo-e-scher…” chiarisco, staccando bene la “e”
“loscher… certo! Come la libreria!”
“…è che spesso le persone sbagliano…”
“è come la libreria, no?!”
“Casa editrice!”
“Casa editrice… libreria…” (col tono di chiedere “non è lo stesso?”) “La conosco, le ripeto! Qualche libro lo leggo pure io, che crede?”
“Spero non dei miei” cerco di scherzare.
“Epperché?”
“Mah… sono libri di scuola… magari li ha letti in passato…”
“A, beh… forse… comunque, lei non si muova di casa finché non le arriva la nostra comunicazione. Tempo 24-48 ore e le dovrebbe arrivare!”
“48 ore?”
“Sì… 24-48… il 17 la richiamo per sapere se l’ha ricevuta!”

Sono in ansia…
Inutilmente.
La liberazione arriva con un giorno di anticipo: il 16 marzo alle 16 lo squillo della posta elettronica mi annuncia il “certificato di fine isolamento da Sars-CoV-2”.

Sospiro.
Sipario.

P.S. In realtà non finisce qui. La liberatoria arriva per me, non per mia moglie, né per mio figlio. Sulle prime non ci diamo pensiero: ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che la loro quarantena è legata alla mia! Pensiamo all’applicazione di un sano principio di economia: avvisato uno, avvisati tutti!
Così fino al giorno successivo, quando arriva a mia moglie il sollecito alla compilazione del questionario, per sé e per nostro figlio. A me non arriva più. Ce l’hanno proprio con lei!
Come sempre, non sappiamo che pesci pigliare. Telefonare ancora al numero verde? Farsi qualche altra mezz’ora di attesa al telefono nella speranza di trovare la persona giusta? Ormai siamo a mercoledì 17. La scadenza naturale della quarantena, quella dei 21 giorni, è di lì a due giorni. Nostro figlio è in Dad… abbozziamo, e decidiamo di aspettare ancora: “evidentemente c’è un problema di comunicazione tra Asl e Ufficio igiene” ipotizziamo.
Mia moglie però attua la sua personale ribellione al sistema: non compila il questionario!
E le arriva il sollecito. Anzi, tre!
Giovedì 18.
Venerdì 19.
Sabato 20.
“Eh no!” dice alla fine “qui si sono dimenticati di noi! Siamo oltre il termine massimo!”
Decide quindi di comporre il numero verde.
25 minuti di attesa, passati in balcone a giocare a sudoku.
Dopo quasi mezz’ora, la sento parlare. È conciliante, comprensiva, tollerante, pacata. La sento sciorinare date e dati, e codici fiscali, e indirizzi… poi la vedo trattenere un sorriso e salutare:
“Grazie, grazie! Gentilissima! Davvero!”
Chiude la telefonata e mi guarda, sempre sorridendo. La interrogo con gli occhi.
“Dice che ci dev’essere un problema nel sistema… Dice che segnala la cosa… dice che ci contatteranno presto, ma di avere pazienza… dice che oggi sono particolarmente obliterati…”

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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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