Quando un museo trasforma un furto in un punto di forza

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Rielaborare un furto d’arte in modo creativo è anche un modo per mantenere alta l’attenzione su opere rubate trent’anni fa e mai ritrovate, le cui ricerche sono ancora in corso.
Sophie Calle
L’artista Sophie Calle all’opera davanti a una delle cornici delle opere rubate.

Sembra strano trovare una voce dedicata al furto di opere d’arte nel sito di un museo. Però può succedere, soprattutto se il museo sta cercando fondi per restaurare le opere recuperate (com’è successo con il Westfries Museum di Hoorn, in Olanda) o se le opere non sono ancora state ritrovate. È questo il caso dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, che ancora sta cercando di rintracciare opere rubate 30 anni fa.

Nelle prime ore della notte del 18 marzo 1990, due uomini vestiti da agenti di polizia riuscirono a farsi aprire dalla guardia di turno e a introdursi nel museo, con la scusa di aver ricevuto notizie di disordini. Scusa plausibile, in quanto era la notte di San Patrizio e la gente stava festeggiando per strada. Una volta dentro, le guardie vennero legate e i loro occhi e bocca sigillati con del nastro adesivo. I ladri fuggirono alle 2.45 di notte e le guardie rimasero legate fino all’arrivo della polizia alle 8.15. In 81 minuti i rapinatori fuggirono con 13 opere, fra cui dipinti, disegni e incisioni di Rembrandt, Vermeer, Manet e Degas, per un valore stimato dai 300 ai 500 milioni di dollari. Da allora non sono più state recuperate.

La taglia offerta dall’Isabella Stewart Gardner Museum per il recupero delle opere rubate.

Il furto è come un macigno per l’immagine di un museo. Anche per questo la notizia tende ben presto a scomparire dalla sua pagina ufficiale, come se fosse una vergogna da nascondere e da dimenticare. Anche se il museo aveva tutte le carte in regola e i sistemi di allarme attivi, com’è il caso della rapina subita dal Museo di Castelvecchio a Verona il 19 novembre 2015. Per un museo è importante saper comunicare anche le notizie negative. È quindi interessante vedere come l’Isabella Stewart Gardner Museum, ancora alla ricerca delle opere perdute, abbia saputo integrare il furto nella sua storia e abbia trasformato il danno subito in un punto di forza del museo.

Antoine-Denis Chaudet, Pierre-Philippe Thomire, Eagle Finial: Insignia Of The First Regiment Of Grenadiers Of Foot Of Napoleon’s Imperial Guard, bronzo dorato, 1813-1814, rubato nel 1990

La sezione Theft nel sito dell’Isabella Stewart Gardner Museum si apre con l’offerta di una taglia di 10 milioni di dollari (inizialmente erano 5), per avere informazioni utili al recupero, in buone condizioni, delle opere rubate. Il museo, l’FBI e l’US Attorney’s office stanno ancora cercando elementi utili per rintracciare le 13 opere rubate.
Una ricompensa a parte, di 100.000 dollari, è prevista per un singolo oggetto, il Napoleonic Finial, la parte decorativa, a forma di aquila, dell’asta di una bandiera di seta napoleonica. Come riporta l’annuncio del museo, chi avesse informazioni utili può mettersi in contatto direttamente con il Gardner Museum: “Confidentiality and anonymity is guaranteed”.

Il museo ha deciso di raccontare il furto sia nel suo sito (The Theft) sia realizzando itinerari appositi sulle tracce dei ladri. Il danno subito dal museo è stato trasformato nell’opportunità di far conoscere la storia dei dipinti, metterli in relazione con altre opere, pubblicare foto e documenti storici, proporre visite reali e virtuali (Thirteen Works: Explore the Gardner’s Stolen Art) e testimonianze audio.

L’audioguida proposta nel museo con l’itinerario del furto.
L’audioguida proposta nel museo con l’itinerario del furto.

Possiamo così ripercorrere la cronaca di quella notte con Anthony Amore, responsabile della sicurezza del museo, in una sorta di monologo teatrale, con luoghi, personaggi e sottofondo sonoro, compreso il rumore dei vetri infranti delle cornici. Nella visita reale del museo, la registrazione, disponibile online anche sotto forma di trascrizione in pdf, costituisce un itinerario a sé, con audioguida noleggiabile al costo di 5 dollari.

Palace Second Floor: Dutch Room.

Hello, I’m Anthony Amore, the Museum’s Chief of Security, and Chief Investigator. You’re about to hear the story of a horrific robbery that deprived the Gardner Museum and you, the public, of some of the greatest masterpieces in America.

Così inizia la testimonianza del capo della sicurezza del museo. Il furto di beni culturali, quindi non solo come perdita per il museo, ma per tutti i visitatori.

Turn to face the wall with the two large empty frames. The thieves entered this room from the doorway just opposite the frame on the right.

Il museo era dotato di sensori di movimento e gli spostamenti dei rapinatori vennero registrati.

La registrazione dei sensori di movimento la notte del furto.
La registrazione dei sensori di movimento la notte del furto.

Anthony Amore ci conduce così lungo il tragitto percorso per rubare le opere. La prima tappa è stata la Duch Room. Come sottolinea Amore, era sicuramente Rembrandt l’obiettivo dei ladri.
Le principali opere rubate provengono proprio dalla sala olandese: tre opere di Rembrandt, fra cui l’unico paesaggio marino conosciuto del pittore, Cristo nella tempesta sul mare di Galilea (Christ in the Storm on the Sea of Galilee); un Paesaggio con obelisco di Govaert Flinck (dipinto che era stato per anni attribuito a Rembrandt), il Concerto di Vermeer e un antico bronzo cinese, molto meno prezioso di analoghi oggetti esposti nel museo.

Vermeer concerto
Johannes Vermeer, Il concerto, olio su tela, 1663-1666, rubato nel 1990.

Amore descrive gli oggetti rubati, il modo in cui sono stati asportati, le incongruenze e l’errore dei ladri che non cancellarono dalla memoria della stampante la traccia dei loro spostamenti.

I ladri si separano, seguiamo i passi di uno dei due.

Palace Second Floor: Short Gallery. He moves into the next gallery, this one with the red walls. It’s full of incredibly valuable and rare masterpieces. He takes… nothing.

Manet
Édouard Manet, Chez Tortoni, olio su tela, 1875 ca., rubato nel 1990.

Il ladro ha un altro obiettivo: la Short Gallery e 5 disegni di Degas. Il giorno dopo il furto, i conservatori si accorgeranno che dalla sala mancava anche un altro oggetto, l’aquila di bronzo. I ladri scendono insieme al piano inferiore e caricano la macchina con le opere rubate. Dalla Blue Room avevano asportato Chez Tortoni di Manet, un ritratto d’uomo con cilindro, ma i sensori di movimento, benché perfettamente funzionanti, non hanno registrato gli spostamenti nella sala. L’itinerario si conclude con un appello:

Please contact us at Theft@GardnerMuseum.org if you have any concrete information. Any facts. And not theories. Believe me, we’ve heard all the theories a thousand times.

La rapina è stata interpretata anche da un’artista contemporanea, Sophie Calle, una delle prime Artist-in-Residence del museo. Nell’autunno 1990, davanti agli spazi lasciati vuoti dalle opere, Calle chiese a curatori, conservatori e custodi cosa si ricordassero degli oggetti. Le testimonianze raccolte sono state incorniciate e messe a confronto con immagini fotografiche, in modo da ricreare un ritratto delle opere perdute e stimolare una riflessione sull’assenza, sulla memoria e sul potere emozionale dell’arte. Questa prima serie di lavori si intitolava Last Seen…

Sean Dungan cornici vuote
Le cornici vuote appese alle pareti del museo, come memoria delle opere rubate e segno di speranza per il loro ritorno (Photo by Sean Dungan).

Nel 2013 l’artista tornò al museo. Nel corso del tempo, quattro cornici lasciate a terra dai ladri erano state restaurate e appese, vuote, alle pareti della Dutch Room. Calle, questa volta, intervistò il pubblico e il personale del museo senza mai citare il furto delle opere. Voleva capire se le persone sentivano un’assenza e se si facevamo domande di fronte alle cornici vuote. La sua nuova serie di lavori si intitolò What Do You See? e le due serie furono esposte per la prima volta nel museo.

L’Isabella Stewart Gardner Museum è riuscito a rielaborare il furto in modo creativo, ma non ha mai sospeso la ricerca degli oggetti rubati. Perché le opere sono assenti, ma non sono state dimenticate.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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