Pregiudizi sulla professione docente: una lunga storia

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Stereotipi e luoghi comuni svalutativi sul ruolo professionale dei docenti di scuola vengono da lontano, non sono comuni solo in Italia, e la loro diffusione è spesso tutt’altro che innocente.
Fotogramma dal film “Maddalena zero in condotta”, regia di Vittorio De Sica, 1940.

Intervenendo il 24 settembre del 1902 a Firenze al primo congresso della Federazione nazionale degli Insegnanti di scuola media, della cui fondazione era l’ispiratore forse principale, Gaetano Salvemini tracciò il quadro della seguente narrazione:

Ma voi, si sentono dire gl’insegnanti, voi lavorate poco, e quindi non potete chiedere stipendi eguali a quelli degli altri funzionari che hanno tutta la giornata legata all’ufficio. Compiute le vostre ore di lezione, al massimo tre al giorno […] siete liberi cittadini. Poi avete le vacanze di natale, di carnevale, di pasqua, poi le vacanze estive. Quale impiegato dello Stato ha tante comodità?

Decostruendo pezzo per pezzo questa visione che evidentemente percepiva già allora così diffusa nel sentire comune, lo storico pugliese dovette passare una buona parte del proprio intervento a fornire al proprio uditorio controargomenti, per esempio che «anche nei giorni di carnevale, di pasqua, di natale e nelle vacanze estive si mangia e si paga la pigione di casa», che «il Governo tiene gli insegnanti ai suoi ordini per tutta la vita, li sbalza di qua e di là per le esigenze del servizio, impedisce che si procurino un’occupazione stabile fuori dalla scuola», e soprattutto che «il lavoro del maestro non si può […] misurare ad ore»:

Non avete mai pensato all’esaurimento, che produce un’ora di scuola davanti ad una scolaresca, da cui il maestro non può farsi amare e rispettare se non schiacciando sotto il peso della propria costante superiorità intellettuale e morale le birichinate non sempre innocenti, che la età farebbe sorgere ad ogni minuto? Per il professore non esiste solo il lavoro della scuola: egli ha i compiti da rivedere a casa, ha le lezioni da preparare giorno per giorno; oltre alla preparazione immediata, deve curare la preparazione lontana, deve seguire i progressi della scienza, comprar libri e riviste, allargare il suo sapere per distribuirlo poi in moneta spicciola agli scolari1.

In gioco, del resto, non c’era solo la dignità del corpo docente di fronte a critiche dotate di scarso fondamento. L’attività rivendicativa della Federazione che intendeva rappresentarli sul piano delle rivendicazioni professionali, infatti, era immaginabile per Salvemini soltanto trasformando una battaglia per interessi particolari nell’articolazione specifica di un generale ripensamento del ruolo socio-culturale dei servizi educativi, per dare inizio al quale occorreva sensibilizzare sulle condizioni dell’istruzione pubblica tutta la società:

Quando mai ci siamo rivolti a[ll’opinione pubblica] per spiegarle il problema della scuola media? Quando mai ci siamo sforzati di rendere solidali con noi i padri di famiglia, facendo comprendere ad essi quanta differenza corra, per l’avvenire intellettuale, morale e sociale de loro figliuoli, fra un maestro attivo, geniale, coscienzioso, che sappia comunicare ai giovani l’amore alla verità e al lavoro, e un maestro indebitato, affamato, sfibrato, inetto, uccisore nell’anima degli alunni di ogni slancio e di ogni idealità? […] Non appena la opinione pubblica da noi illuminata ci sarà divenuta favorevole, allora i deputati e i ministri troveranno bene il tempo per occuparsi di noi […]2.

E proprio quella narrativa che faceva degli insegnanti degli svogliati parassiti, concludeva il relatore, era l’ostacolo principale a rendere nell’immaginario diffuso la scuola un luogo di esperienze più importanti della mera conquista del “pezzo di carta”, e a fare dei problemi professionali dei docenti uno degli elementi salienti di una riforma scolastica effettivamente compresa e accolta dalla società nel suo complesso.

Queste parole, come detto, hanno centoventi anni, eppure per molti versi sembrano simili a quelle che si è soliti ascoltare a più riprese anche oggi quando si parla di insegnanti, al bar – il che sarebbe forse il problema minore – come nel dibattito pubblicistico sui giornali e su ascoltati profili social. Negli ultimi due anni, poi, i riferimenti si sono arricchiti e rinnovati, soprattutto con l’accusa agli insegnanti di sfruttare l’emergenza pandemica in cui ancora viviamo allo scopo di accomodarsi con agio sulla didattica a distanza, al punto da far passare l’enorme sforzo di gran parte dei docenti italiani per dare nei limiti del possibile continuità all’esperienza didattica delle loro classi per un capriccio dettato da inveterata pigrizia. Ma nel corso dei decenni molto si è ricamato su spunti così radicati nell’immaginario da essere già in voga, come si è visto, a inizio Novecento e forse anche prima, per esempio tematizzando l’accusa di scarso impegno professionale con l’allarme per una presunta “meridionalizzazione” del corpo docente nelle regioni centro-settentrionali, con quella che negli anni Ottanta-Novanta divenne un’arma retorica ampiamente sfruttata dal nascente leghismo.

Fotogramma dalla serie televisiva americana Whack-O. Foto Gettyimages

La svalutazione del lavoro docente, insomma, è uno stigma per la categoria professionale assai più duraturo anche se (o forse proprio perché) assai meno fondato su dati ed esperienze reali delle valutazioni critiche espresse negli anni immediatamente successivi alla riforma della scuola media del 1962 alle «vestali della classe media» ancora intrise del culto gentiliano per la selezione e per la tutela del valore “borghese” del rendimento rispetto a quello dell’inclusione3. Nella loro torsione recente che vede tra le protagoniste principali anche una loro collega come Paola Mastrocola4, anzi, le critiche agli insegnanti hanno finito per far combaciare sempre più apertamente lo sforzo di evitare impegno e difficoltà con la promozione dell’ideale della «scuola progressista» facile e priva di ostacoli la cui diffusione culturale si imputa in primo luogo a don Milani, quasi dimenticando che la lettera con cui la scolaresca di Barbiana ne enunciò alcuni principi fondamentali era indirizzata, con intenti decisamente critici, proprio a una professoressa5.

Né si può dire che un atteggiamento del genere sia proprio esclusivamente della cultura diffusa italiana. Una delle ultime declinazioni del discorso di svalutazione professionale degli insegnanti, ovvero l’idea per cui – a dispetto di pratiche selettive e di verifica ben note a chi davvero conosca il mestiere – essi siano refrattari a qualsiasi forma di valutazione che renderebbe il loro lavoro più impegnativo, trova corrispondenza anche negli Stati Uniti del No Child Left Behind Act del 2001 e dell’imposizione a tutti i livelli dello standardized testing per la “misurazione” del rendimento e della qualità. Da questo punto di vista, peraltro, non è senza significato che l’agenzia di lobbying per la politica scolastica per anni tra le più influenti del Nordamerica, quella fondata nel 2010 dalla famosa e discussa professionista dell’amministrazione educativa Michelle Rhee, si chiamasse StudentsFirst. L’idea di fondo era in effetti il tentativo di rimarcare una profonda e irrisolvibile divaricazione di interessi tra docenti da una parte e studenti e famiglie dall’altro, in cui la volontà dei primi doveva essere soffocata attraverso l’imposizione di procedure di controllo sempre più occhiute, e finanche attraverso lo smantellamento di fatto delle proprie articolazioni di rappresentanza professionale, per evitare che essi potessero imporre una scuola di facile gestione e di scarso impegno a loro uso e consumo6.

Chi prova a seguire da vicino il dibattito pedagogico e politico-scolastico statunitense sa che, pur tra molte difficoltà, questo atteggiamento dominante fino a sei-sette anni fa è ora messo autorevolmente in discussione, dapprima attraverso le riprese teoriche della “pedagogia critica” da parte di Henry Giroux e di Diane Ravitch7, poi con una risposta politica che dall’ondata di scioperi degli insegnanti del 2018-19 ha portato il presidente Biden ad affidare la segreteria di Stato all’Istruzione a un esponente di spicco della rappresentanza politica dell’universo docente come Miguel Angel Cardona8. L’Italia, tradizionalmente, vive lo sviluppo del dibattito a scoppio ritardato, e allora risultano ancora di piena attualità proposte di gestione della scuola pubblica in cui all’uniformità amministrativa si sostituisca la somministrazione di dispositivi omologati di verifica come i test INVALSI, usati con finalità e obiettivi ce vanno ben al di là dei limiti di uso e di validità indicati dai gruppi di lavoro che li promuovono, e la promozione di un simile modello di scuola «diversamente pubblica» trova esplicita giustificazione nella promozione degli interessi di studenti e famiglie esplicitamente contrapposti a quelli di professioniste e professionisti dell’educazione scolastica9.

In conclusione, se messa in prospettiva, la diffusione e la persistenza di un discorso stereotipato sull’agevolezza della professione docente rivela di accompagnarsi spesso a tentativi di isolamento del personale insegnante nell’ambito del dibattito sulla scuola, e alla creazione di contrapposizioni di interessi e obiettivi più che altro artificiali, a volte per indebolire la sostanza delle rivendicazioni professionali delle professioniste e dei professionisti della scuola, in qualche caso per ridurre il più possibile il loro ruolo di interlocutore collettivo per il rinnovamento normativo e gestionale scaricando sulle loro spalle il peso di riforme di dubbia efficacia. Quando si sente dipanare questo tipo di narrazione, quindi, è bene imparare a decostruirla per riconoscerne gli scopi effettivi, i quali di solito rendono un simile atteggiamento tutt’altro che innocente.


NOTE

  1. G. Salvemini, Le condizioni economiche degl’insegnanti, ora in Id., Opere, V, Scritti sulla scuola, a cura di L. Borghi e B. Finocchiaro, Feltrinelli, Milano 1966, p. 13.
  2. Ibid., p. 15.
  3. Cfr. M. Barbagli, M. Dei, Le vestali della classe media. Ricerca sociologica sugli insegnanti, il Mulino, Bologna 1969.
  4. Mi limito qui a ricordare il suo più recente intervento in proposito, scritto con L. Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021.
  5. Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1967. Per un suo studio, cfr. almeno V. Roghi, La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Laterza, Roma-Bari 2017.
  6. Per un approfondimento sul caso nordamericano, mi permetto di rinviare alla mia recente e sintetica guida di presentazione in proposito, Scuola e politica negli Stati Uniti (1980-2020), Morcelliana Scholé, Brescia 2022.
  7. Faccio riferimento, in particolare, a H. Giroux, Educazione e crisi dei valori pubblici. Le sfide per insegnanti, studenti ed educazione pubblica, ed. it. a cura di F. De Giorgi, La Scuola, Brescia 2014, e a D. Ravitch, Slaying Goliath. The Passionate Resistance to Privatization and the Fight to Save America’s Public School, New York, Knopf, 2020.
  8. Per ulteriori riferimenti su questi passaggi, rinvio in particolare ai miei recenti interventi L’amministrazione Trump e le politiche scolastiche negli Stati Uniti, «Scholé», 2(2019), 1, 194-198, e L’istruzione, secondo Biden, «il Mulino», 21 gennaio 2021 (disponibile online all’indirizzo https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:5510).
  9. Un atteggiamento del genere, appena più controllato nel linguaggio ma in realtà caratterizzato da una selezione di riferimenti teorici e di policy che non lascia dubbi sugli orientamenti, trova espressione ad esempio nel recente M. Campione, E. Contu (a cura di), Liberare la scuola. Vent’anni di scuole autonome, il Mulino, Bologna 2020.

Segnaliamo la call for paper  della Rivista di Storia dell’Educazione 1/2023 del Centro Italiano per la Ricerca Storico Educativa CIRSE:

A sessant’anni dalla riforma della scuola media: un nuovo bilancio storiografico

A cura di: Andrea Mariuzzo (andrea.mariuzzo@unimore.it); Vanessa Roghi (vanessa.roghi@gmail.com)

Il 31 dicembre del 1962 trovava approvazione la legge n. 1859 che istituiva, a partire dall’anno scolastico 1963-64, la scuola media unificata, rendendo obbligatoria, gratuita e uguale per tutte le cittadine e tutti i cittadini l’istruzione secondaria di primo grado, con una sostanziale applicazione dell’art. 34 della Costituzione repubblicana. Aveva così luogo, dopo anni di discussioni e di tentativi non riusciti, la più importante riforma scolastica dell’Italia democratica, destinata a caratterizzate coi suoi effetti, con le sue realizzazioni e con le sue mancanze lo sviluppo del sistema educativo nei decenni successivi.

Nel 2013, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua istituzione, l’allora «Nuovo bollettino CIRSE» aveva dedicato alla scuola media la sezione monografica del primo fascicolo di quell’anno, offrendo un primo quadro di uno scenario in pieno sviluppo degli studi istituzionali, storico-scolastici, storico-pedagogici e storico-culturali sul tema. La proposta attuale intende porsi in continuità con quella raccolta, e tenere conto, nel contempo, di quanto il panorama di approcci e metodologie disponibili si è arricchito, offrendo una nuova selezione di studi e proposte di riflessione incentrati sul tema della scuola media unificata italiana, aperta alle suggestioni internazionali e interdisciplinari che soprattutto in questi ultimi anni hanno contribuito all’avanzamento della storia dell’educazione.

Senza pretesa di esaustività, un elenco di temi e spunti che si immaginano trattati dagli studi del numero monografico può includere:

Le principali figure politiche, tecniche ed educative che si sono confrontate con la maggiore riforma scolastica dell’Italia repubblicana;
La comparazione internazionale con altri percorsi di riforma europei e globali;
Temi curricolari e disciplinari, dal dibattito sul Latino all’innovazione didattica;
L’impatto della riforma nel lungo periodo e nel più ampio panorama dei livelli d’istruzione.
Dalle Vestali della classe media a Lettera a una professoressa: i diversi approcci critici alla riforma.
Le “nuove fonti” per lo studio della scuola (dalle inchieste televisive alla storia orale ai diari degli insegnanti coinvolti)
L’impatto sul corpo insegnante, sulla sua identità professionale e sulla funzione docente Il mito della riforma: come oggi viene raccontata, ricordata, denigrata.

CALENDARIO
Entro il 27 maggio 2022 inviare abstract esteso (800 parole) della propria proposta, illustrandone contenuti, quadro teorico di riferimento, metodologie e documentazione considerata, la sua collocazione nella letteratura sul tema, 3-5 keywords. La proposta dovrà essere accompagnata da una breve presentazione biografica di autrici e autori (circa 75 parole).
La selezione da parte dei curatori e della redazione della rivista avrà luogo entro il 10 giugno 2022.
Entro il 31 dicembre 2022 autrici e autori dovranno far pervenire ai curatori il manoscritto completo, di non oltre 8.000 parole (45.000 caratteri circa), comprensive di bibliografia e note, redatto secondo i criteri redazionali adottati dalla rivista
in allegato la versione in italiano Call for papers RSE 12023 ita
in allegato la versione in inglese Call for papers RSE 12023 eng

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Andrea Mariuzzo

è professore associato di Storia della pedagogia all’Università di Modena e Reggio Emilia. Si occupa principalmente di storia dell’istruzione superiore, storia delle politiche e delle riforme scolastiche, e di storia dell’identità docente tra Otto e Novecento. Il suo ultimo libro è “Scuola e politica negli Stati Uniti (1980-2020)”(Morcelliana Scholé, 2022).

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