Ombre e luci del modello tedesco

Tempo di lettura stimato: 7 minuti
Una via italiana al sistema di apprendistato tedesco dovrebbe superare l’obiettivo immediato dell’occupazione di breve durata, puntare all’educazione integrale della persona e non canalizzare gli studenti precocemente e lungo traiettorie di genere. L’articolo di apertura del Dossier del numero 19 de La ricerca, «Fondata sul lavoro».
Apprendisti al lavoro nella sala macchine di una scuola professionale, 1924.

Sembra impossibile affrontare il tema dell’istruzione professionale senza citare il caso tedesco, e noi non faremo eccezione in questo Dossier. Da decenni, infatti, questo sistema è ammirato e studiato in tutto il mondo. Anche in Italia: nel 2014 un protocollo di intesa tra Italia e Germania ha attivato una task force bilaterale per lo studio e la diffusione del modello duale (della quale, per la verità, si sono poi perse le tracce) e il piano della “Buona scuola”, nel capitolo dedicato al lavoro, si richiama espressamente al modello tedesco di apprendistato.

Non è il caso qui di insistere sui suoi pregi: riduzione della dispersione scolastica; alto tasso di occupazione giovanile e disponibilità di mano d’opera altamente qualificata, essenziale per mantenere il primato nell’industria manifatturiera. Più interessante ci è parso affrontare questioni solitamente meno indagate: quali sono i difetti del sistema tedesco? Per quali motivi, pur suscitando tanta ammirazione, non ha mai trovato veri imitatori?

La canalizzazione precoce

Il sistema formativo tedesco è strutturato in modo rigido e conferisce agli insegnanti un forte potere decisionale sul percorso scolastico degli alunni, il cui destino è stabilito a un’età molto precoce, 10-11 anni. Quando termina i quattro anni delle elementari, un bambino non può scegliere autonomamente a quale corso di studio iscriversi. È la scuola a deciderlo in base al profitto conseguito: per iscriversi al Gymnasium (l’equivalente del Liceo italiano) deve aver avuto nelle materie fondamentali voti superiori al nostro 8. In caso contrario, la scuola raccomanda l’iscrizione a una scuola professionale o l’inserimento nel sistema di apprendistato duale (scuola-lavoro). Solo in alcuni Länder tedeschi queste “raccomandazioni” della scuola possono essere contestate, ma per entrare nel Gymnasium lo studente dovrà superare un esame di ammissione. E i percorsi così stabiliti rimangono rigidi; se è facile passare dal Gymnasium a un corso professionalizzante, non lo è affatto il contrario.

Motivi di inapplicabilità in Italia

Vi sono molti motivi che rendono impensabile l’introduzione in Italia di un simile sistema.
Il più immediato è che si conferirebbe alle maestre un potere decisionale tale da richiedere un radicale e complessivo ripensamento della loro professionalità e del loro ruolo sociale.

Il più profondo è che tale sistema potrebbe essere giudicato incompatibile con la nostra Costituzione, perché, se pure non negando alcun articolo specifico, sembra opporsi al personalismo che ispira la nostra Carta e fa dello Stato uno strumento finalizzato al pieno sviluppo della personalità dei singoli cittadini.

Il più politico è che esso smonterebbe la riforma che nel 1962 ha portato a unificare il percorso scolastico di tutti i cittadini sino al quattordicesimo anno di età, cioè la “scuola unica”, universalmente salutata sia come una riforma di civiltà pedagogica, perché è impensabile che a quell’età un ragazzo abbia espresso tutto il suo potenziale cognitivo, sia come l’introduzione nella scuola di un elemento di democrazia, in polemica con la prassi fascista, che nel sistema messo a punto da Gentile obbligava le famiglie (non le scuole) a scegliere fra indirizzi alternativi quando i loro figli avevano 9-10 anni. Si denuncerebbe la negazione del diritto allo studio (un tratto essenziale dello sviluppo personale costituzionalmente garantito) e il ritorno a una scuola classista, discriminatoria e quindi di stampo fascista.

Se questi pericoli in Germania vengono riconosciuti ma non considerati decisivi è perché il sistema tedesco riperpetua una tradizione che continua inalterata dalla seconda metà dell’Ottocento, attraversando le mutevoli vicende politiche del Paese senza riforme sostanziali. Per questo, la discriminazione sociale che esso produce non è immediatamente posta in connessione a una specifica ideologia politica; si tende a considerarla come uno svantaggio inevitabile e ben compensato dagli effetti benefici generati dal sistema.

Fattori di debolezza crescente

Oltre a questi motivi, strettamente connessi alla storia italiana, altri ve ne sono di natura più generale, sui quali si soffermano gli articoli del Dossier. Il primo articolo indaga i fattori culturali, sociali ed economici che potrebbero ostacolare il successo del modello tedesco in altri Paesi. In Germania i costi degli apprendistati per le aziende sono giustificati da una parte con una cultura aziendale di Mitbestimmung (cogestione) per cui i lavoratori partecipano attivamente alle decisioni aziendali e tendono a sviluppare un rapporto di fedeltà nel tempo con il datore di lavoro che li ha formati: dall’altra le aziende si allineano con le aspettative sociali diffuse, presenti nelle economie di mercato coordinate, secondo cui è giusto che le aziende si accollino alcuni oneri economici per il bene della collettività. Questo non avviene nelle economie liberali, in cui il mercato del lavoro è strutturalmente volatile e le aziende non investono nel formare lavoratori con cui, generalmente, non avranno rapporti a lungo termine.

Il secondo articolo si concentra sulle conseguenze della canalizzazione precoce sull’apprendimento e sulle opportunità di vita degli studenti. Se alcuni sostengono che separare i ragazzi in percorsi educativi differenti in base al loro rendimento consente di formare classi omogenee, favorendo l’apprendimento di obbiettivi formativi alla portata di tutti, è altrettanto vero che il rendimento scolastico è spesso influenzato dal contesto socio-economico e culturale di provenienza. Numerose ricerche, di cui l’articolo dà conto, mostrano che quanto più precocemente gli studenti sono orientati, tanto più le loro prestazioni dipendono dal retroterra familiare. Una canalizzazione troppo anticipata sembra dunque rafforzare le disuguaglianze di partenza.

Infine, il terzo articolo mette in luce un altro limite del modello formativo tedesco: contribuisce alla segmentazione di genere del mercato del lavoro. Alla base vi è lo scarso investimento riservato alle scuole professionali, tradizionalmente frequentate da studentesse e specializzate nel formare competenze spendibili nel settore dei servizi sociali e alla persona. Al contrario degli apprendistati in azienda, frequentati per lo più da studenti maschi e che preparano a carriere tradizionalmente maschili nelle industrie e nel settore manifatturiero, la formazione degli istituti professionali è poco regolamentata, poiché delegata ai singoli Stati (e non gestita a livello federale), non è pagata, garantisce poche probabilità di trovare un lavoro stabile e prepara a professioni meno retribuite. E questo nonostante la crescente espansione del settore dei servizi originato dal passaggio a una economia post-fordista.

L’orizzonte del life learning

A questo proposito ci si può chiedere se un sistema ideato all’epoca della prima rivoluzione industriale e finalizzato a promuovere una mano d’opera ultra specializzata nel settore manifatturiero sia in grado di reggere alle sfide connesse alla rivoluzione in atto nei modi di produzione e di creazione della ricchezza.

Se ad esempio consideriamo il Paese che si pone al polo opposto alla Germania nella classificazione mondiale dei sistemi educativi in base all’età fissata per la canalizzazione formativa, troviamo gli Stati Uniti, in cui la scelta può in molti casi essere posticipata sino al secondo anno di università, e in cui lo studente usufruisce sino ad allora di una formazione di tipo generale. E se il sistema tedesco è ammirevole per l’eccellente manodopera specializzata che produce, quello americano lo è per la capacità innovativa.

Recenti ricerche hanno constatato che oggi i giovani tedeschi formati con il sistema duale hanno ancora buone possibilità di essere immediatamente assunti, ma si trovano sempre più in difficoltà nel corso della vita lavorativa, in cui vedono diminuire sia l’occupabilità sia il reddito. Ciò accade perché il valore delle competenze specialistiche da loro acquisite diminuisce molto più rapidamente del passato per la rapidità dei cambiamenti tecnologici. Oggi non è affatto infrequente che una professionalità conquistata con un duro tirocinio si riveli improvvisamente insufficiente o addirittura superata dall’automazione e dall’innovazione tecnologica, specialmente nelle economie in rapida crescita.

Passando in rassegna la pubblicistica pedagogica più recente, si rimane colpiti dalla frequenza con cui si ripropone il valore dell’istruzione generale, che, se pure non produce immediata occupazione, fornisce un’attitudine alla versatilità essenziale per apprendere diverse professioni più tardi nella vita. Del resto, è una considerazione condivisa anche da numerose famiglie tedesche, dato che negli ultimi anni si registra una crescente tendenza degli studenti a posticipare la scelta di passare dalla scuola a tempo pieno al sistema duale scuola-lavoro, una decisione che oggi viene presa in media a 18 anni.

La conclusione è che la pedagogia del prossimo futuro dovrà concentrarsi sul lifelong learning, ma questa è, come si dice, un’altra storia.


Leggi tutti gli articoli del Dossier:

Il sistema tedesco funziona, ma è inesportabile

Il caso tedesco e l’effetto Matteo

I problemi di genere dell’educazione professionale tedesca

Condividi:

Francesca Nicola

Dottoressa in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it