Il malessere dei giovani USA

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
L’amministrazione americana punta sulle scuole per affrontare il crescente disagio psichico dei giovani. Dal Dossier del numero 23 de La ricerca, “Mal di scuola”.
Elaborazione di una foto di Michael Clesle © 2009 Michael Clesle.

In una Raccomandazione diffusa nel dicembre 2021, il Surgeon General degli Stati Uniti (il portavoce del Governo sulle questioni di salute pubblica del Paese) ha dichiarato l’esistenza di una «devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti americani»1. Nel documento si specifica che il lockdown dovuto alla pandemia da COVID-19 ha solo aggravato una crisi in realtà pre-esistente. Di fatto, già nel 2019 l’American Academy of Pediatrics rendeva noto che tra gli adolescenti i disturbi mentali superano le condizioni fisiche più comuni che causano «menomazione e limitazione».

Secondo il CDC (Center for Disease Control and Prevention, l’organismo federale che controlla la sanità pubblica), prima della pandemia un bambino su cinque di età compresa tra i 3 e i 17 anni ha sofferto di un disturbo mentale, emotivo, dello sviluppo o comportamentale2. Nel decennio 2009-2019 la quota degli studenti di scuola superiore che ha manifestato la persistenza di sentimenti di tristezza o disperazione è aumentata del 40%.

Il tasso allarmante 
di suicidi

Nel decennio precedente alla pandemia anche i comportamenti suicidari tra gli studenti delle scuole superiori sono aumentati3: nel 2019 circa 1 studente su 6 ha riferito di aver pianificato il suicidio nell’ultimo anno, un dato in crescita del 44% rispetto al 2009. Le studentesse hanno maggiori probabilità di togliersi la vita rispetto ai maschi; così come gli studenti neri rispetto a quelli bianchi o ispanici.
Oltre al genere, appare importante anche la dimensione dell’orientamento sessuale: solo il 6% degli studenti eterosessuali4 hanno dichiarato di aver tentato il suicidio nell’ultimo anno, ma questo dato sale al 16% fra quelli che hanno affermato di non essere sicuri della propria identità sessuale, al 23% fra coloro che si sono identificati come lesbiche, gay o bisessuali, e addirittura al 30% fra quelli che hanno avuto partner dello stesso sesso. Nel 2020 si stima siano verificate circa 6.600 morti per suicidio fra i ragazzi di età compresa fra i 10 e 24 anni5.
Dopo il picco pandemico le visite di urgenza nei dipartimenti di salute mentale sono ulteriormente aumentate, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le persone appartenenti a comunità etniche minoritarie, e si è abbassata l’età dei ragazzi ricoverati in reparti psichiatrici. Enti autorevoli come l’American Academy of Pediatrics, l’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, il Children’s Hospital Association e l’Accademia americana dei medici di famiglia (American Academy of Family Physicians) hanno dichiarato la salute mentale un’emergenza nazionale.
Questi dati allarmanti hanno contribuito a sensibilizzare il Paese sul tema del malessere psicologico dei più giovani, scatenando un dibattito che coinvolge diversi soggetti: genitori, insegnanti, studenti, mass-media e politici. L’idea che nel Paese sia in atto una vera e propria emergenza legata alla salute mentale si è ormai consolidata.

Il ruolo delle scuole 
e il modello di cura 
collaborativa

Secondo l’APA (American Psychological Association), le azioni da intraprendere dovrebbero essere l’ampliamento del numero di professionisti della salute mentale (si stima che vi siano 14 psichiatri specializzati nell’età evolutiva ogni 100.000 adolescenti, un numero piuttosto basso rispetto ad altri Paesi); il potenziamento della telemedicina; un maggiore sostegno ai medici di famiglia e ai fornitori di cure primarie, ossia di coloro che devono gestire i problemi più comuni (ansia generalizzata, depressione, insonnia, disturbi comportamentali).
Soprattutto, però, si auspica una maggiore integrazione fra i professionisti della salute mentale e il personale scolastico, secondo il cosiddetto Collaborative Care Model, un protocollo di intervento operativo sviluppato negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta per favorire un dialogo continuo e reciproco fra psicologi e medici (e il personale scolastico, in questo caso).
Secondo il National Center for Education Statistics (NCES)6, nell’anno accademico 2021-22 solo la metà delle scuole pubbliche ha dichiarato di essere attrezzata per affrontare i bisogni di salute mentale degli studenti; i fattori più frequentemente identificati dalle scuole stesse come limiti al loro operato sono, oltre all’inadeguatezza dei finanziamenti, sia il numero insufficiente di professionisti della salute mentale all’interno degli istituti, sia un accesso inadeguato a quelli esterni alla scuola ma accreditati (da cui conseguono, per esempio, tempi di attesa troppo lunghi per una visita).

Un fiume di certificazioni

Nella maggior parte delle scuole è lo psicologo scolastico il responsabile del coordinamento fra le varie figure che si occupano del benessere mentale degli studenti: psicologi, psichiatri, consulenti scolastici, assistenti sociali, infermieri, insegnanti e presidi. Il loro contributo nel complesso si concretizza in un programma integrato di salute mentale che generalmente ogni scuola sarebbe tenuta a stilare. Ma gli psicologi scolastici sono anche chiamati a fornire consulenza individuale agli studenti con disagi mentali o comportamentali e a certificare gli studenti con disabilità dello sviluppo e dell’apprendimento, che potrebbero aver bisogno di un piano educativo speciale (PEI).

Negli ultimi anni la pianificazione a lungo termine del programma di salute mentale è diventata sempre più difficile, poiché gli psicologi scolastici hanno dovuto occuparsi soprattutto di gestire il fiume di certificazioni necessarie agli studenti per ricevere il supporto di cui hanno bisogno, come stabilito dalla legge sull’istruzione dei disabili del 1975. Si tratta di una serie di test per determinare se un bambino ha un disturbo dell’apprendimento o una condizione di salute fisica o mentale che richiede un piano educativo speciale.

Questa situazione è aggravata dallo scarso numero di psicologici scolastici disponibili nel Paese. La maggior parte degli Stati non soddisfa gli standard nazionali che stabiliscono il numero di studenti che devono essere seguiti da professionisti, inclusi psicologi scolastici, consulenti e assistenti sociali. Secondo l’America’s School Mental Health Report Card, pubblicata a febbraio da una coalizione di organizzazioni che lavorano nel campo della salute mentale, solo l’Idaho e il Distretto di Columbia soddisfano il rapporto raccomandato di uno psicologo scolastico ogni 500 studenti. In fondo alla lista si trovano le scuole della Georgia, con solo uno psicologo ogni 6.390 studenti. Analogamente, quasi in nessuno Stato vi è un assistente sociale ogni 250 studenti, come invece dovrebbe essere.

Nuovi finanziamenti

Per affrontare questa difficile situazione, l’amministrazione Biden-Harris si è posta l’obiettivo di raddoppiare il numero di professionisti della salute mentale nelle scuole, e nell’ottobre 2022 il Dipartimento dell’Istruzione, attraverso il Bipartisan Safer Communities Act (BSCA), ha stanziato 280 milioni di dollari a questo scopo. Ma è solo l’inizio, perché il programma quinquennale prevede l’erogazione di ben un miliardo di dollari, soldi che serviranno ad assumere professionisti della salute mentale accreditati nelle scuole e a rafforzare la collaborazione fra istituti scolastici e università, in modo da formare al più presto altro personale qualificato. Sono fondi che si sommano a quelli federali per gli aiuti contro la pandemia già stanziati nel 2021 e destinati all’istruzione e alla sanità, secondo il programma Elementary and Secondary School Emergency Relief Fund (ESSER): ben 190 miliardi di dollari.

Nuove leggi

Oltre allo stanziamento di quest’enorme quantità di fondi, nuove leggi statali tentano di migliorare la salute mentale degli studenti e prevenire i suicidi tra adolescenti. Dall’inizio della pandemia, 38 Stati hanno emanato quasi 100 leggi ad hoc, con un impressionante aumento dell’attività legislativa rispetto agli anni precedenti. E l’obiettivo centrale di questi provvedimenti risiede quasi sempre nell’incrementare la professionalità di tutte le figure che operano nel mondo della scuola. Almeno sedici Stati, dall’Alaska al Massachusetts al Distretto di Columbia, oggi chiedono di seguire corsi di formazione su come riconoscere il disagio mentale negli studenti, e come intervenire una volta individuato – corsi rivolti non solo agli insegnanti di scuola primaria e secondaria, ma anche a tutto il personale scolastico, compresi i bidelli, gli autisti di scuolabus, gli agenti di sicurezza e gli addetti alla mensa. California, Connecticut, Illinois, Kentucky, Rhode Island, Utah e Washington hanno emanato provvedimenti che raccomandano agli studenti delle scuole superiori di seguire corsi di formazione sulla salute mentale in modo da aiutare i loro amici, i familiari e i compagni di classe.

Altre leggi di recente emanazione puntano a inserire le discussioni sulla salute mentale nella routine scolastica quotidiana: le scuole di New York, ad esempio, hanno stabilito che ogni mattina, per cinque minuti, gli insegnanti debbano confrontarsi con gli studenti sul loro stato d’animo. E in Illinois dal gennaio 2022 gli studenti di età compresa tra 6 e 17 anni hanno cinque giorni all’anno di assenza giustificata per tutelare la propria salute mentale.

La crescente domanda di professionalizzazione è testimoniata dal crescente numero (+17,5% nell’ultimo anno) di scuole primarie e secondarie che si iscrivono a uno dei programmi di formazione sulla salute mentale più conosciuti, il Mental Health First Aid (Pronto soccorso sulla salute mentale)7, un corso di circa 32 ore sviluppato in Australia e adottato negli Stati Uniti a partire dal 2008. Dal 2002 circa un milione di insegnanti e genitori e più di 125.000 studenti lo hanno completato.

Prevenzione o medicalizzazione?

Nonostante nell’opinione pubblica e in ambito politico la crisi della salute mentale dei giovani sia ormai considerata un dato di fatto oggettivo, non mancano alcuni pareri critici, soprattutto nei confronti dell’approccio con cui si cerca di mitigarla. Queste posizioni non negano l’aumento del disagio giovanile, ma argomentano che sentimenti di ansia e tristezza possono essere reazioni del tutto normali in circostanze difficili, come il recente lockdown, e non dovrebbero essere considerati tout court come sintomi di una cattiva salute mentale.
Denunciano inoltre un’eccessiva medicalizzazione della salute mentale, ossia il suo essere inquadrata esclusivamente o principalmente come un problema sanitario. La medicalizzazione si soffermerebbe sull’individuo come corpo biologico, trascurando completamente le condizioni sistemiche e i fattori infrastrutturali che concorrono al benessere o al malessere psichico degli individui, come riconoscono la psicologia e la psichiatria. Alcuni sottolineano come i più rilevanti fattori predittivi della salute mentale sono gli indici di sicurezza economica: fattori di stress cronico come la povertà, la violenza e la discriminazione intensificano la possibilità che un individuo sviluppi disturbi, dalla depressione alla schizofrenia.
Medicalizzare la salute mentale, concludono, non è quindi una buona strategia se l’obiettivo è affrontare la causa sottostante all’aumento del malessere psichico giovanile; tuttavia funziona davvero bene se si cerca una soluzione rapida e a effetto, se si vuole segnalare che si sta facendo qualcosa per affrontare il problema.


NOTE

  1. Consultabile all’indirizzo https://www.hhs.gov/sites/default/files/surgeon-general-youth-mental-health-advisory.pdf.
  2. Dati reperibili all’indirizzo https://www.cdc.gov/healthyyouth/data/yrbs/pdf/YRBSDataSummaryTrendsReport2019-508.pdf.
  3. Ibidem.
  4. Ibidem.
  5. Dati riportati nel documento consultabile all’indirizzo https://www.cdc.gov/nchs/data/vsrr/VSRR016.pdf?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter_axiosvitals&stream=top.
  6. Il dato si può reperire all’indirizzo https://nces.ed.gov/whatsnew/press_releases/05_31_2022_2.asp.
  7. https://www.mentalhealthfirstaid.org/.
Condividi:

Francesca Nicola

Dottoressa in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it