#nonèmaitroppotardi2020

Tempo di lettura stimato: 20 minuti
Un’esperienza di didattica attraverso la televisione per la scuola in carcere ai tempi del Covid-19: una sperimentazione per ampliare il più possibile l’offerta formativa in una situazione complessa ed emergenziale, cercando di offrire a studenti e studentesse una possibilità in più per godere del proprio diritto allo studio, anche senza o con scarsa possibilità di accesso a internet.
Non è mai troppo tardi 2020
Non è mai troppo tardi 2020

Considerazioni minime a mo’ di introduzione

 Mani affannate su schermi troppo piccoli, nomi impronunciabili, procedure sconosciute. E telecamere invadenti, che inquadrano il più delle volte vite complicate, frugando in un’intimità che si sarebbe solo potuta immaginare altrimenti: cucine in piena attività, bambini, pigiamini improbabili, soprammobili, tendine, fiori finti; oppure ragazzoni che si muovono negli spazi scarni e un po’ tristi delle comunità di accoglienza per MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati). Eppure in tutto questo, insieme all’imbarazzo e alle difficoltà, anche sorrisi, gratitudine, comunicazione, seppure digitale. Un surrogato di quella piccola comunità che può essere la scuola per adulti: un laboratorio in vitro del mondo nuovo, dove l’incontro, il confronto e la reciproca comprensione appaiono possibili e – in alcuni casi – sono realtà praticate. La didattica a distanza al CPIA Metropolitano di Bologna si può raccontare così. Uno scenario forse non troppo dissimile da quello di tutte le scuole del Paese nel periodo di emergenza e lockdown per Covid-19. La sospensione della didattica in presenza ha aperto ovunque un panorama di disorientamento e problematicità nel quale sono emerse contraddizioni e difficoltà strutturali di lungo corso della scuola. Eppure – insieme a questo e a partire dalla necessità di mantenere un filo educativo data la novità delle condizioni in cui apprendere – ha pure in qualche modo costretto molte e molti insegnanti a sperimentare nuove formule didattiche e a mettersi in gioco al fine di colmare lacune evidenti nel campo delle competenze digitali possedute: docenti e studenti insieme, per la prima volta, in qualche modo inesperti e apprendenti (quasi) in egual misura.

La nuova situazione, però, ha anche ovunque acuito le disuguaglianze e ha reso più complessa la “fruizione” della scuola proprio per quelle tipologie di studenti che, anche in presenza, erano in maggiore difficoltà. Il digital divide si è manifestato in tutta la sua drammaticità soprattutto in una scuola come la nostra, dove le traiettorie di vita sono spesso molto precarie e i mezzi posseduti per fruire della DAD limitatissimi.

La maggior parte dei nostri studenti ha dovuto lavorare avendo a disposizione un unico strumento: il telefono. Per tutti la possibilità di apprendimento è stata profondamente determinata dalle condizioni materiali, culturali e linguistiche di partenza. Per alcuni, la didattica è stata appesa al massimo di giga previsti dal proprio piano telefonico, per altri ha richiesto profondi e molteplici sforzi condotti sostanzialmente in solitudine, nonostante gli appuntamenti settimanali su Google Meet. La scuola è stata sì presente, ma non ha saputo fino in fondo mettere in campo strategie rapide e fattuali per colmare questi gap, di fatto adempiendo solo parzialmente ai suoi doveri costituzionali.

A questo si sono aggiunti enormi problemi di tutela della privacy, vuoti contrattuali e, non ultimo, l’ingresso massiccio di aziende e enti privati nelle dinamiche di funzionamento della scuola. Una situazione finora inedita, in cui, per la prima volta nella storia repubblicana, un’istituzione pubblica si è trovata a dipendere (per garantire un diritto sancito dalla Costituzione) da grandi multinazionali del Big Tech, Google in primis. Su questo ancora riteniamo che le riflessioni fatte siano poche e poco approfondite, ma non costituiscono il tema di questo articolo.

Il lockdown nel lockdown: la scuola in carcere

C’è stata tuttavia una categoria di studenti e studentesse del CPIA che più di altre ha sofferto in questa situazione emergenziale: i detenuti e le detenute della Casa Circondariale “Rocco d’Amato” di Bologna (“Dozza”), dove il CPIA Metropolitano è responsabile della scuola secondaria di primo grado e dei corsi di alfabetizzazione.

Come in molte altre carceri italiane, anche la Dozza è stato scenario di una violenta rivolta agli inizi di marzo, dovuta in prima istanza alla sospensione delle visite settimanali da parte dei familiari. Anche se non con gli esiti drammatici che le rivolte hanno avuto in altre case circondariali (Modena su tutte), gli effetti delle misure successive ai fatti, uniti al distanziamento sociale e alla limitazione dei contatti con l’esterno (con la sospensione di ogni attività didattica o ricreativa) ha riportato indietro di decenni la situazione nelle carceri italiane, Bologna compresa.

Il web, che è stato – pur con i limiti sopra esposti – salvagente virtuale per poter continuare la didattica e soprattutto mantenere un contatto umano tra studenti e insegnanti, non ha potuto qui, per ovvie ragioni, svolgere questa funzione, e quindi i detenuti e le detenute non hanno potuto avere accesso alla didattica online pensata e realizzata per gli altri studenti del CPIA.

Ciò ha comportato un’ulteriore differenziazione sostanziale tra il fare scuola fuori e dentro il carcere. Tra tutte, la più importante: se fuori, tramite la connessione internet, è stata possibile una relazione – anche solo virtuale, artefatta, distante –, dentro non c’è stato modo di comunicare, se non tramite la posta cartacea, con i suoi tempi e i suoi costi (anche pochi centesimi per alcuni detenuti fanno la differenza).

Si è tentata, allora, una strada alternativa: proporre dei percorsi didattici attraverso un mezzo per certi versi “antico” e con un importante passato di strumento educativo: la televisione. Oltre i muri, il segnale del digitale terrestre poteva passare. E noi con lui.

#nonèmaitroppotardi2020: il progetto e la sua realizzazione

Il titolo è stato quasi immediato, in omaggio a quella grande e innovativa esperienza di alfabetizzazione attraverso la tv che fu il programma RAI “Non è mai troppo tardi” condotto da Alberto Manzi.
Il maestro Manzi è una figura cara a chiunque lavori nel campo dell’educazione degli adulti. La sua commozione di fronte alle mani impacciate del vecchio contadino che lotta con il gesto dello scrivere, ma che orgogliosamente vuole portarlo a compimento, è stata molte volte anche la nostra commozione: di fronte ai ragazzi analfabeti che conquistano la scrittura e la lettura in un codice così lontano da quello della propria lingua madre; di fronte a donne istruite e laureate con fatica, e che devono rimettersi in gioco in una lingua diversa; di fronte, anche oggi, a lavoratori italiani senza titolo di studio che tornano a scuola per pura necessità burocratica, presto trasformata in gioia e soddisfazione (“finalmente mi piace la storia”, “non capivo niente di matematica e ora so fare le equazioni”).

L’occasione per il progetto è stata offerta dalla disponibilità del canale Lepida TV, («un servizio di comunicazione per la Community Network degli Enti pubblici dell’Emilia-Romagna, […] fortemente focalizzato sul territorio») che ha offerto al CPIA uno slot di 30 minuti al giorno nel proprio palinsesto del mattino, per 5 settimane nei mesi di aprile e maggio, per un totale di 25 lezioni, 5 alla settimana, ognuna dedicata a una materia di studio (Studi sociali; Italiano-testi; italiano-L2; Scienze e Inglese).

Il progetto è stato elaborato da un team di cinque insegnanti – tutte provenienti dal CPIA di Bologna, fatta eccezione per l’insegnante di inglese, proveniente dal CPIA di Imola – in una serie di riunioni di progettazione in web meeting.

La scelta dei temi da affrontare non è stata semplice: alla fine, il filo conduttore individuato è stato quello, sicuramente ampio e complesso, dei diritti fondamentali. Ci è sembrato che potesse essere utile, in un momento come quello che stavamo attraversando (situazione della sanità pubblica, sospensione delle attività scolastiche, fragilità lavorative…) stimolare una riflessione su questi temi, fornendo, contestualmente, strumenti lessicali essenziali per “leggere” la realtà in modo più efficace.

I diritti individuati sono stati quattro: salute, istruzione, lavoro, parità di genere, quelli che, appunto, ci sono sembrati più legati alla situazione che molti stavano vivendo. Sempre per le stesse ragioni, abbiamo deciso di dedicare la prima lezione alla Costituzione italiana come “carta dei sogni”, realizzati, certo solo in parte, e sempre grazie alla lotta ed all’impegno di molti e molte.

Il nostro obiettivo dichiarato è stato quello di rendere, nelle nostre lezioni, la dimensione sincronica ma soprattutto diacronica dell’avanzamento dei diritti, in particolare per quanto riguarda l’Italia. Seguendo il filo fornito dalla nostra Costituzione e da altre carte dei diritti, ci siamo mosse inserendo frequenti momenti comparativi con altri paesi, soprattutto dei continenti extraeuropei da cui provengono molti dei nostri studenti e studentesse, ma nello stesso tempo abbiamo cercato di fornire un quadro dell’evoluzione che i diritti trattati avevano seguito qui nel nostro paese.

Abbiamo sempre cercato di segnalare la discrasia che può esserci tra una carta e la situazione reale vissuta dai cittadini, sottolineando come ogni mutamento positivo che abbia riavvicinato questi due poli fosse frutto di lotta e di impegno politico, nel senso più etimologico e nobile del termine. Non a caso, uno dei testi che abbiamo scelto per la nostra prima settimana di lezione è stato il “Discorso sulla Costituzione” di Piero Calamandrei.

La scelta di questi temi ha sicuramente anche tenuto conto del lavoro fatto all’interno del carcere della Dozza da Ignazio de Francesco, con una serie di progetti da lui ideati e svolti in collaborazione con il CPIA, a cominciare dalla prima edizione di Diritti, Doveri e Solidarietà: un’esperienza di dialogo tra costituzioni e culture al carcere della Dozza di Bologna, che ci sono sembrati un precedente ideale cui agganciare il nostro lavoro.

Le lezioni sono andate quindi in onda tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle ore 9:30 alle ore 10:00 dal 27 aprile al 29 maggio 20201. Le lezioni trasmesse potevano essere fruite ovunque, non solo in regione, tramite i podcast scaricabili online dal sito di Lepida TV (www.lepida.tv) e sul canale YouTube dell’emittente. Inoltre i video sono stati caricati in un’apposita sezione del sito del CPIA Metropolitano.

Il tentativo è stato quello di rendere il ciclo in qualche modo “formattizzato” e uniforme nella sua struttura: innanzitutto è stata creata una sigla, che fornisse da subito le informazioni essenziali al telespettatore e fungesse da richiamo immediatamente riconoscibile.
Ogni lezione di ogni materia è stata strutturata secondo una comune scaletta flessibile in cui, dopo una breve presentazione del corso in generale e dei contenuti della propria materia in particolare, si sintetizzavano gli argomenti affrontati nella lezione precedente e si introducevano quelli della lezione corrente, per garantire continuità tra le lezioni (anche in questo caso con elementi grafici comuni e alcune formule condivise da tutti gli insegnanti).

Seguivano poi, alternandosi, fasi di spiegazioni e riepilogo, con diversi momenti più interattivi in cui le insegnanti focalizzavano l’attenzione sulle parole e i concetti chiave, stimolando riflessioni con domande aperte o vere e proprie piccole esercitazioni, seguite subito da feedback per un’autoverifica e autovalutazione dell’apprendimento. Se da una parte le lezioni seguivano un filo unico e interdisciplinare, con un tema-guida diverso in ogni settimana, dall’altra ogni lezione poteva essere fruita anche in maniera autoconclusiva.

Emerge qui una questione problematica del fare didattica a distanza tramite la televisione: il mezzo di comunicazione utilizzato è unidirezionale e ha l’enorme limite di non poter prevedere nessun confronto e interazione tra docenti e studenti. Consapevoli di ciò, ci è sembrato essenziale riservare, al termine di ogni lezione, uno spazio dedicato a degli inviti espliciti alla riflessione o a delle vere e proprie consegne che potessero poi essere eseguite e mandate per posta o per mail agli indirizzi del programma, per sostenere e promuovere lo scambio comunicativo e stabilire un contatto reciproco, seppur in differita. Insieme, abbiamo fornito anche suggerimenti e proposte di bibliografia, sitografia e filmografia per supportare l’autoapprendimento di chi volesse approfondire i temi trattati (diverse Case Circondariali hanno, infatti, la possibilità di richiedere materiali alle biblioteche).

A titolo esemplificativo, qui di seguito riportiamo una delle programmazioni settimanali con gli argomenti divisi per discipline:

Settimana 2

Tema guida: Diritto alla salute

Lunedì 4 maggio: studi sociali.
Il diritto alla salute nella Costituzione; l’OMS e i Determinanti di salute; la salute negli USA e in Europa; intervista ad Angelo Stefanini, fondatore del Centro Salute Internazionale e Interculturale di UNIBO.

Martedì 5 maggio: italiano-testi.
Follia, fantasia, immaginazione, invenzione; Gianni Rodari e la grammatica della fantasia; che cos’è la fantastica e che cos’è lo straniamento; l’arte di inventare storie: il sasso nello stagno, il binomio fantastico.

Mercoledì 6 maggio: matematica/scienze.
Il premio Nobel; la penicillina; la tessera sanitaria e il Fascicolo Sanitario Elettronico.

Giovedì 7 maggio: italiano L2-lingua.
Lessico: le parole del corpo umano, dei dolori e dei rimedi. Grammatica/funzioni comunicative: verbi per dare indicazioni e consigli (costruzione impersonale bisogna + infinito e imperativo informale); locuzioni e preposizioni di luogo. Testi: estratti da Gianni Rodari; video lezione di yoga.

Venerdì 8 maggio: lingua inglese.
Vocabulary: disease; right to health and well being; Agenda 2030 – World Health Organization.
Grammar: preposition in di stato in luogo; verbo to have: forme e usi.
Testi: estratti da Emily Dickinson: “I’m afraid to own a body” e Amanda Mc Gregor: “Life Is A Moment”.

Trovare le parole: focus sull’Italiano L2

Per quanto riguarda gli aspetti didattici connessi alla lingua e all’insegnamento dell’italiano L2, il fatto di non poter conoscere le persone che avrebbero fruito delle lezioni ha sicuramente reso il lavoro più complesso, per due ragioni principali.

La prima: in generale, nella relazione di insegnamento/apprendimento, sono sempre importanti l’interazione, la comunicazione e lo scambio tra le persone che partecipano, ma nella didattica delle lingue in classi interculturali sono assolutamente fondamentali. Progettare lezioni unidirezionali che favorissero le possibilità di relazione ed espressione e sviluppassero competenze di interazione ha richiesto molto sforzo. Inoltre attività mirate all’interazione e produzione orale e scritta non avrebbero permesso un momento di supervisione e confronto con l’insegnante. Pertanto ci si è concentrate sulla comprensione scritta e orale, utilizzando testi scritti, audio e video supportati da attività per la comprensione globale e analitica, e proponendo attività su aspetti lessicali e morfosintattici, con immediate possibilità di autocorrezione e autoverifica.

La seconda ragione: non si conoscevano il livello linguistico di partenza, le culture di origine, le madrilingue, l’età, le conoscenze pregresse, le vite, i desideri degli studenti e studentesse che avrebbero seguito le lezioni a distanza. In fase di programmazione, dunque, ci siamo affidate all’immaginazione: dal punto di vista linguistico si è immaginato un gruppo classe multilingue, plurilivello e probabilmente ad abilità differenziate, e si è deciso di orientare le lezioni verso un ipotetico livello A2/B1. Sono stati però inseriti, in tutte le lezioni di ogni disciplina, alcuni momenti di riepilogo sul lessico delle parole e concetti chiave e, in qualche caso, su alcune funzioni comunicative, prevedendo anche espansioni verso livelli linguistici più deboli negli approfondimenti di italiano L2 del giovedì.

Le lezioni di italiano L2 iniziavano presentando il lessico di base utile per il tema interdisciplinare della settimana, con ampio uso di immagini. Le parole venivano introdotte singolarmente con alcune lettere mancanti per guidare il completamento e potersi soffermare sulla letto-scrittura delle sillabe e sui suoni difficili. In questo modo si provava a raggiungere più facilmente anche studenti e studentesse con bassa scolarizzazione.

Seguendo lo schema dell’unità didattica, ma riadattato a classi ad abilità differenziate, si proponevano contenuti gradualmente più complessi (da A1 a B1). Nello specifico, dopo la presentazione del lessico, si presentavano testi scritti o audio-video, con attività via via più complesse per la comprensione globale e analitica. Infine si suggerivano brevi attività di analisi, riflessione, riutilizzo e autoverifica.
Purtroppo il tempo a disposizione per ogni puntata era molto limitato (30 minuti), e ciò ha reso le lezioni dense e compresse.

La lezione settimanale di italiano L2 ripercorreva alcuni temi trattati nelle altre lezioni (in particolare di Studi Sociali e Italiano-testi), riproponendo estratti degli stessi testi, ma soffermandosi e ampliando aspetti lessicali e morfosintattici per supportare una maggiore comprensione e acquisizione linguistica. L’idea alla base di questo processo era di tornare sugli argomenti più volte, ma con proposte diverse, in un approccio a spirale. Ogni lezione approfondiva alcuni aspetti già presentati in altre lezioni, ma doveva anche poter essere seguita isolatamente, senza preconoscenze, per consentire di orientarsi anche a chi ne aveva seguite solo alcune o nessuna.

Per cercare di rendere gli studenti e le studentesse partecipi e consapevoli del proprio percorso d’apprendimento, pur in assenza di interazione, e per stimolare anche riflessioni metalinguistiche e confronti con le proprie lingue madri, ogni lezione aveva piccoli spazi appositamente dedicati alla ricapitolazione degli argomenti trattati: “cosa abbiamo studiato nella lezione precedente”, “cosa studieremo nella prossima lezione”, “cosa abbiamo imparato finora”, “pensa a com’è nella tua lingua madre”. Qui di seguito un esempio della progressione delle lezioni di italiano L2:

Terza settimana: Diritto allo studio

Introduzione al lessico relativo a: 1. diritto allo studio (art. 34 della Costituzione Italiana e rimandi alla lezione di Studi Sociali del lunedì); 2. Scuola (le persone, gli oggetti, i verbi).

Testi semplificati da “Lettera a una professoressa” e video su Don Milani e il Maestro Manzi.

Attività di comprensione, analisi, riflessione e riutilizzo per la morfosintassi e le funzioni comunicative: verbi modali (in collegamento con la lezione di lingua inglese del venerdì) per esprimere possibilità, desiderio, obbligo (Don Milani e la scuola come possibilità, desiderio, obbligo; Manzi e il timbro: «fa quel che può, quel che non può non fa»).

Scrittura collettiva. Da “Lettera a una professoressa” al “cadavere squisito”: esempi di giochi di scrittura per rinforzare lessico e grammatica (rimandi alla lezione di Italiano-testi del martedì).

La scelta dei contenuti e delle modalità di presentazione è partita da un’idea fondamentale dell’approccio comunicativo: perché ci sia apprendimento deve esserci motivazione. La motivazione può essere determinata dalla vicinanza dei temi proposti agli interessi di chi partecipa, e ai suoi bisogni. Le costrizioni espressive e comunicative, che ci sono inevitabilmente quando si abita in un mondo nuovo, possono trasformarsi in risorse: nascono nuovi concetti e il bisogno di nuove parole.

L’obiettivo di tutte le lezioni è stato anche stimolare la curiosità – di cui interesse e piacere sono componenti fondamentali – perché la motivazione non esiste senza lo stimolo dato dalla scoperta del nuovo. Anche l’approccio didattico utilizzato, quindi, è stato induttivo. La condizione di reclusione e di ulteriore isolamento durante la pandemia richiedeva probabilmente nuove parole, che pian piano diventavano conosciute e utili per definirsi in una rinnovata identità.

Le lezioni delle altre discipline sono state il punto di partenza per introdurre tali termini, che potessero essere in un secondo momento utili a dare nomi al proprio mondo e al proprio pensiero: comprendere e apprendere nuove parole per trovare le proprie. Per poter esprimere bisogni, desideri, paure, potersi raccontare e poter comprendere racconti altrui di storie magari simili alla propria. Dare le parole per aprire piccole finestre: per guardar fuori, ma anche per guardarci dentro in questo momento sospeso. È stato difficile e non siamo sicure di esserci sempre riuscite. A questa incertezza di fondo ha contribuito la mancanza pressoché totale di feedback soprattutto dai principali destinatari del progetto, ovvero gli studenti e le studentesse reclusi.

Un bilancio, seppur provvisorio

#Nonèmaitroppotardi2020 è stata una sperimentazione nata da un’urgenza: ampliare il più possibile l’offerta formativa, in una situazione complessa ed emergenziale, cercando di offrire a studenti e studentesse – fossero essi reclusi o no – una possibilità in più per godere del proprio diritto allo studio, anche senza o con scarsa possibilità di accesso a internet. Come tutto ciò che nasce in emergenza, anche il nostro progetto ha avuto punti di forza e debolezze, queste soprattutto già in parte segnalate più sopra.

Per quanto riguarda i punti di forza, lavorare al ciclo di lezioni, per le docenti coinvolte, è stata un’occasione formativa per progettare e attuare una modalità didattica nuova con un mezzo mai utilizzato precedentemente, misurandosi anche con strumenti e tecniche nuove. La scelta di strutturare la settimana per temi-guida e le giornate per focus sulle discipline ci ha consentito di lavorare con un alto grado di collaborazione, indagando uno stesso tema da angolazioni diverse e per obiettivi specifici, in una prospettiva realmente interdisciplinare. In un contesto come quello della scuola attuale – dove spesso è difficile lavorare in team, trovare spazi di confronto sulla didattica al di fuori dei momenti istituzionalmente dedicati e praticare attivamente l’interdisciplinarietà – proprio l’emergenza, paradossalmente, ha di fatto creato l’occasione concreta per un simile confronto, che nel normale tempo scuola, spesso serrato e vissuto in sostanziale solitudine, probabilmente sarebbe stato più difficile avere.

Il progetto ha anche attivato una serie di contatti virtuosi con altri CPIA sul territorio nazionale, che si trovavano ad affrontare le medesime criticità: condividendo con noi le spinte di partenza dovute all’anomala situazione di chiusura, in diversi sono stati ben felici di poter utilizzare le trasmissioni di #nonèmaitroppotardi2020 come materiale di studio per i propri studenti o, come nel caso de CPIA di Foggia, grazie all’appoggio di una TV del territorio, di provare con le stesse modalità a raggiungere i propri studenti reclusi e privati di ogni accesso alla scuola. Le lezioni, così come sono state concepite, restano anche a crisi finita uno strumento a disposizione di tutti e in tutta Italia grazie ai podcast presenti sia sul sito di Lepida TV, che su quello del CPIA Metropolitano di Bologna.

La prima e più importante criticità, invece, è stata legata alla natura del mezzo televisivo, ancora irrimediabilmente unidirezionale, nonostante i tentativi che nella sua storia si sono susseguiti per tentare di renderlo sempre più interattivo. La situazione complessa dovuta al Covid-19, la natura dell’istituzione carceraria, ancor più in questi ultimi mesi, hanno impedito qualunque feedback sull’esperienza e, di conseguenza, qualunque tipo di rimodulazione dell’impostazione delle lezioni, sia per quanto riguarda la struttura che per quanto riguarda i contenuti.

Interlocuzione, interazione: sono queste le due pratiche che ci sono mancate di più durante #Nonèmaitroppotardi2020. In questo senso l’esperienza è stata la conferma – se mai ce ne fosse stato bisogno – che fare scuola è fare relazione, e che quest’ultima è una dimensione irrinunciabile del nostro lavoro. La relazione è necessaria perché è difficile progettare delle attività didattiche per uno studente “astratto” che resta sconosciuto, invisibile, inascoltato e perché sappiamo quanto sia importante progettare non solo per gli studenti, ma con gli studenti: conoscere chi con noi condivide lo spazio della classe, lezione dopo lezione, ri-conoscerne i bisogni educativi, stabilire un legame costruttivo e positivo che tenga in considerazione tutta la persona. Ci è mancata proprio la relazione personale: non poter interagire con le persone, non sapere chi si ha davanti, utilizzare solo la modalità monologica e frontale senza ricevere mai feedback è stato difficile e a tratti molto frustrante.

Proprio per surrogare a questa mancanza, ognuna di noi ha cercato di coinvolgere i propri studenti e le proprie studentesse nelle ore di didattica sincrona, sperimentando anche con loro le lezioni progettate. E proprio le risposte che sono arrivate da questi studenti e studentesse del CPIA che hanno potuto fruire delle lezioni tramite la tv e internet ci hanno dato una boccata d’aria, rassicurandoci sull’utilità delle nostre fatiche e restituendoci quella dimensione umana dell’insegnare e dell’apprendere che è stata, per forza di cose, l’aspetto che più ci è mancato in questo percorso.

Resta ancora l’incognita di quante persone abbiano realmente seguito le lezioni, compresi gli studenti e le studentesse della Casa Circondariale, da cui non abbiamo di fatto ancora ricevuto notizie. Per risolvere questa incognita, stiamo discutendo della possibilità di fare una rilevazione tramite questionario da somministrare ai detenuti e alle detenute che, se e quando verrà effettuata, potrà darci un’idea più precisa di quanto il programma sia stato realmente fruito dai suoi principali destinatari e di quanto i nostri sforzi siano stati realmente utili a persone a cui – di fatto – l’emergenza COVID ha sottratto spazi di normalità e di apprendimento, ancor più che a tutti gli altri fuori.


Note

1. Il programma ha poi avuto un seguito, curato da altri insegnanti e in collaborazione con l’ente FP Fomal. Questa “nuova serie” ha apportato sostanziali modifiche al progetto iniziale sia nelle modalità che nei contenuti, conservandone tuttavia il nome e la sigla iniziali.

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Carla Marulo

lavora al Cpia Metropolitano di Bologna.

Francesca Esposito

lavora al Cpia Metropolitano di Bologna.

Martina Zadra

lavora al Cpia Metropolitano di Bologna.

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