Maturità 1.0

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Le tracce della prima prova, in particolare la tipologia A, propongono un’idea tradizionale di letteratura: è un bene?

 

A leggere le tracce, anzi, le proposte della tipologia A dell’Esame di Stato, si ha la sensazione che, dopo i due anni di solo colloquio orale, ci si sia risvegliati non nel 2022, ma nel 1922. Il senatore del Regno Giovanni Verga, rientrato a Catania, vi è scomparso a gennaio, e così il governo presieduto da Luigi Facta, l’ultimo prima dell’avvento del fascismo, ha voluto rendere onore, a giugno, a lui e a un altro “grande” morto da dieci anni: il professor Giovanni Pascoli. Aleggia un che di patriottico nelle due proposte del gabinetto Facta, pardon Draghi, che ha ingranato la retromarcia spingendosi fin sulla soglia dell’epoca coperta dall’Esame di Stato e dagli studi dell’ultimo anno della scuola, appunto la fine dell’Ottocento (le altre tipologie, invece, fortunatamente guardano al presente, a nomi meno impolverati, persino a due autrici viventi, come Liliana Segre e Vera Gheno).

Di Verga è stato proposto uno stralcio di Nedda (1874), la novella considerata all’origine della svolta verista dell’autore, in realtà un tipico (e stereotipico) racconto campestre dato in pasto ai salotti della buona borghesia milanese, che lo accolse trionfalmente (la contessa Clara Maffei lo definì «un giojello»), stupendo il suo autore, che la definì «una cosettina da nulla». Di Pascoli è stata proposta una Myrica, intitolata in prima istanza Il telegrafo, quindi La via ferrata, presente fin dalla prima edizione della raccolta (1891) nella sezione L’ultima passeggiata, scritta fra il 1885 e il 1886; è un madrigale che, in un quadro altrettanto campestre (in questo affine a Nedda), rielabora poeticamente le innovazioni del progresso: la ferrovia che si snoda tra pascoli vaccini; i pali del telegrafo che si stagliano freudianamente eretti (povero Giovannino…); il rombo di un treno-mostro di carducciana memoria; «un cielo di perla» (v. 4) dalla connotazione simbolista (la materia metaforica al posto dell’aggettivo perlaceo), forse l’unica cosa da salvare in questo paesaggio in trasformazione che avrebbe portato le terre del bel paese alla friabilità idrogeologica.

La tipologia A è quella che più delle altre rivela che cosa ci si aspetta di studiare a scuola, nelle ore di letteratura italiana – tradizionale, canonica, al limite del nazionalismo: la retorica sulla vita dei campi, infatti, ha da sempre accompagnato le lodi dell’italianità e le sue contraddizioni (si legga Giulio Bollati). Gli e le insegnanti che ancora spiegano con fedeltà alle Indicazioni nazionali del 2010 avranno tirato più d’un sospiro di sollievo; come l’avranno tirato gli e le studenti angosciate dall’eterna domanda “Chi uscirà quest’anno?”; un omaggio atteso e doveroso, in particolare, a Verga, nel centenario della morte. Peccato che il Ministero stesso abbia in più occasioni ribadito che i programmi non esistono più e che le Indicazioni nazionali non devono essere seguite alla lettera. Una nota del 2019, firmata dal direttore (direttrice) generale, ad esempio, ammonisce a considerare quelle benedette linee guida «una struttura non prescrittiva» e pertanto invita il corpo docente a includere nell’insegnamento «situazioni di studio, di ricerca e di confronto didattico, sia per i docenti sia per gli studenti, che abbiano come riferimento gli Autori meridionali e le Autrici». Sì, Verga è un «Autore meridionale» ma non certo poco studiato, e né lui né Pascoli sono «Autrici»; le loro opere, per quanto nei manuali ci si sforzi di attualizzarle inquadrandole in percorsi di Educazione civica o negli obiettivi dell’Agenda 2030, nella prova sono analizzate con i soliti criteri: lessico, sintassi, figure retoriche e, per Verga, gli improbabili tratti veristi di una novella che verista non è (e che nella traccia è citata per frammenti sconnessi).

Più che analizzare lo stile, questo macigno di cui non è facile liberarsi, sarebbe stato interessante che le domande prendessero in considerazione, per una volta, il genere dei personaggi: la povera Nedda, la cui «forma umana», degna dei film neorealisti nella sua bellezza mediterranea sprofondata nella «miseria», è esposta impietosamente da un narratore-anatomopatologo attentissimo al dettaglio (i capelli, i denti, il sorriso, gli occhi da regina, le membra sfiancate); sempre Nedda che piange per aver dato alla luce una figlia femmina «rachitica e stenta» anziché il figlio maschio dei proverbiali auguri; il «femminil lamento» (v. 8) a cui Pascoli paragona, secondo il Ministero, «i fili del telegrafo» (ma come fanno i fili del telegrafo a gemere, ululare, rombare?), secondo (giustamente) Franco Melotti, curatore dell’edizione BUR di Myricae, «il fischio del treno» – per inciso, la linea ferroviaria Lucca-Aulla ferma a Castelvecchio in Garfagnana dal 1911, con grande gioia del poeta, che vi abitava.

Questi testi letterari e le relative domande ministeriali (molto meno, ripetiamo, le altre tipologie) ci consegnano l’immagine di una didattica dell’italiano arroccata su una visione degli autori che appartiene a un’epoca lontanissima, quando la mattina si studiavano i padri, il pomeriggio i balilla e le piccole italiane marciavano e sfilavano per strada: oggi, per fortuna, si fa solo la prima cosa, ma anche questa andrebbe ripensata.

Può risultare rassicurante avere a che fare con nomi noti, ma è questa la letteratura italiana con cui gli e le studenti si sentono davvero in sintonia? Del resto, se ci si lamenta che manca sempre il tempo e che, nonostante la celebrazione del Novecento, a volte si arrivi a malapena a Montale, c’è da stupirsi che l’Esame poi proponga Verga e Pascoli? E tutte le ore che, queste sì rese obbligatorie dal Ministero, sono dedicate all’Educazione civica? E i progetti che coinvolgono scrittori e scrittrici contemporanee nelle scuole per invogliare la pratica della lettura? E gli incontri dei saloni e delle fiere che registrano presenze sempre più numerose proprio da parte degli e delle adolescenti? Non si riesce a far tesoro di questi segnali incoraggianti per cercare di, piano piano, proporre in classe e di conseguenza all’Esame un’idea più fresca di letteratura, da coltivare anche dopo il diploma (e non da rivendere al disgraziato successivo come un manuale usato)? È un progetto ambizioso, che richiederà tempo per raggiungere le sfere superiori, ma che in quelle inferiori è già in corso da anni.

Speriamo di non richiudere gli occhi dopo la fine dell’Esame e di riaprirli a ottobre con gli echi di un altro, ben più inquietante evento del 1922, quando Facta fu liquidato e presidente del Consiglio divenne Benito Mussolini. Speriamo.

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Johnny L. Bertolio

Si è diplomato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha conseguito il PhD alla University of Toronto, dove ha maturato una variegata esperienza nella didattica dell’italiano. Attualmente collabora con Loescher come autore e redattore nell’ambito umanistico.

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