Lettere dal fronte: la penna stilografica

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Una piccola protagonista della Grande Guerra: piccola, per dimensioni e per importanza rispetto ai grandi eventi di quegli anni, ma destinata a rivoluzionare il modo di scrivere di intere generazioni.

Nell’ambito delle iniziative e delle mostre che hanno ricordato la Prima guerra mondiale, potrebbe essere interessante richiamare l’attenzione su una piccola protagonista di quel periodo: piccola, per dimensioni e per importanza rispetto ai grandi eventi di quegli anni, ma destinata a rivoluzionare il modo di scrivere di intere generazioni.Stiamo parlando della penna stilografica, incontrastata dominatrice fino all’esplosione del mercato delle penne biro (dal nome di László József Bíró, il giornalista ungherese che l’aveva progettata fin dagli anni Trenta). Eppure la stilografica conserva ancora un fascino particolare e può contare su una fittissima schiera di ammiratori, riviste e siti specializzati.

Nel campo della scrittura a mano, la penna stilografica rappresentò una rivoluzionaria invenzione americana. Nella sua ricerca di un mezzo di scrittura che stesse al passo con il flusso dei pensieri, l’uomo ha sempre cercato strumenti che gli permettessero di scrivere più velocemente. Lo stesso Leonardo da Vinci ci ha lasciato disegni di una penna a serbatoio.

Dopo anni di tentativi volti alla creazione di una penna che non costringesse a intingere continuamente il pennino nel calamaio, fu un assicuratore americano, Lewis Edson Waterman, a brevettare, nel 1884, la sua creazione: la prima penna a serbatoio veramente funzionale, con un congegno per il controllo del flusso dell’inchiostro. Pare che l’idea gli fosse venuta per cercare di far firmare più velocemente i contratti ai suoi clienti.

Da quel momento continuarono a succedersi invenzioni e brevetti, volti soprattutto a migliorare il sistema di caricamento della penna e a sperimentare nuovi materiali. Anche nelle pubblicità, la stilografica venne subito associata a un’idea di autonomia, libertà e accesso alla scrittura: era una penna con cui si poteva scrivere ovunque, senza bisogno di portare con sé il calamaio. Tutti potevano scrivere, gli uomini agganciavano la penna alla catena dell’orologio per mezzo di un anellino fissato sul cappuccio (in seguito la fisseranno al taschino della giacca per mezzo del fermaglio), mentre le signore la allacciavano a nastri e passamanerie.

  • xUna pubblicità della penna Waterman del 1883
  • xLászló Bíró
  • xPubblicità d’epoca
  • xPubblicità d’epoca
  • xPubblicità della Waterman del 1928
  • xPubblicità d’epoca dell’uso in trincea
  • xPubblicità d’epoca dell’uso in trincea delle ONOTO
  • xPubblicità d’epoca dell’uso in trincea
  • xL’Aurora di Torino
  • xLa penna Topolino

Ma sarebbe stata proprio la Prima guerra mondiale a decretare il successo della stilografica e a dare uno straordinario impulso alla sua diffusione in Europa. I soldati americani scrivevano dal fronte alle loro famiglie con le penne stilografiche (fountain pen), donate dalle aziende per motivi patriottici e pubblicitari. Le pubblicità si adeguarono, mostrando soldati intenti a scrivere ai loro cari con le penne stilografiche.

A seguito del dilagare delle penne americane, dopo il conflitto sorsero aziende produttrici nei diversi paesi d’Europa. In Italia, nel 1919 fu fondata a Torino la Fabbrica Italiana di Penna a Serbatoio “Aurora”, mentre a Bologna, nel 1925, nacque la OMAS (Officina Meccanica Armando Simoni), che realizzò, prima degli anni Trenta, il suo grande successo, la “Penna del dottore” dotata di un piccolo termometro clinico nascosto nel corpo della penna.

Le penne sono presenti nei momenti cruciali della storia: era una penna Aurora quella con cui vennero firmati i Patti Lateranensi nel 1929. Poi nel 1936, forse primo caso in Europa, l’Aurora comprò una licenza dalla Walt Disney e realizzò la penna “Topolino”, pensata per gli studenti. Il personaggio era già noto in Italia perché la casa editrice Nerbini di Firenze pubblicava il giornaletto omonimo, poi ceduto alla Mondadori, dal 1932.

Nel secondo dopoguerra, l’invenzione della cannuccia d’inchiostro, pratica ed economica, contribuì ancora di più alla diffusione delle stilografiche, e negli anni Sessanta dilagò a scuola la penna “Auretta”, disponibile in vari colori. Le pubblicità sottolineano − ora anche in televisione − la facilità di ricaricare la penna senza sporcarsi.

In un momento in cui ci si chiede se la scrittura a mano abbia ancora un senso, e si organizzano convegni in proposito (La scrittura a mano ha un futuro? che si è tenuto a Milano il 25 e 26 novembre 2016), può valere la pena ricordare l’apporto degli strumenti di scrittura alla vita e alla storia dell’uomo.

Per approfondire:
Penna, inchiostro e calamaio. Gli strumenti per la scrittura e la loro storia, Torino, Allemandi, 2008

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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