Edmond Dantès, c’est moi! #1

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Il conte di Montecristo per lettori suscettibili: come vestire i panni di Edmond Dantès e delle sue numerose incarnazioni e farla franca. Dopo le istruzioni per l’uso, la prima puntata.
Lo Chateau d’If, fortificazione del ‘500 su una delle isole dell’arcipelago delle Frioul, nel golfo di Marsiglia.

Dopo diciassette mesi di prigione il marinaio Edmond Dantès è disperato. Isolato dal mondo, sepolto vivo in una cella umida e maleodorante, illuminata solo da un raggio di sole che passa da uno spiraglio nella roccia, Edmond ancora non conosce il motivo della sua carcerazione, non ha avuto un processo, e, cosa davvero terribile, non conosce la sorte di suo padre né quella di Mercédès. A un certo punto, quando riceve la visita dell’ispettore generale delle prigioni, ricomincia a sperare. S’illude che il giudice analizzerà il suo caso, istruirà un processo. Crede di essere innocente, e confida ancora nella giustizia.
Non sa che il peggio deve ancora arrivare.

Intanto, è utile ricordare che Edmond è vittima di un complotto ordito dal contabile della sua nave, Danglars, un uomo disonesto che vedeva in lui un ostacolo ai suoi traffici illeciti, insieme a Caderousse, il vicino di casa di Edmond, un ubriacone geloso dei successi del giovane, e a Fernand Mondego, futuro conte di Morcerf, suo rivale in amore. I tre scrivono una lettera di denuncia al giudice, con la quale accusano Edmond di aver tentato di aiutare Napoleone, che in quel momento storico si trova in esilio all’Isola d’Elba. È quindi per una falsa accusa di bonapartismo che Edmond viene arrestato.
Ma torniamo all’interno del carcere, nel castello d’If, su una piccola isola di fronte al porto di Marsiglia. I mesi passano e Edmond è ancora solo nella sua cella. Nessuna notizia del processo. Sembra che si siano dimenticati di lui, che intanto comincia a perdere il controllo della situazione, a dubitare dei suoi stessi sensi e dei suoi ricordi, a confondere i sogni con la realtà.
Finché non arriva un nuovo governatore della prigione, la cui prima decisione è di abolire l’uso dei nomi per designare i prigionieri: troppi, troppo complicati, troppo difficili da ricordare. Meglio usare i numeri – uno per cella, moltiplicato per cinquanta. A Edmond Dantès tocca il 34: è così che da quel momento tutti imparano a chiamarlo. Per i suoi carcerieri e per gli altri prigionieri Edmond smette di esistere, e al suo posto nasce il signor Trentaquattro.

Una cartolina d’epoca raffigurante Edmond nella sua cella.

Siamo ancora all’inizio del romanzo – che si articola in centodiciassette capitoli! – e il protagonista si trova a fare i conti con la solitudine e la disperazione di chi ha perso tutto (compreso il nome) e non sa più neanche cosa desiderare. Esaurita ogni altra risorsa, si rivolge a Dio con la preghiera. Poi subentra una rabbia incredibile, furiosa, che lo porta ad accanirsi contro tutto e tutti, e in particolare contro se stesso: comincia a incolparsi della sua sorte, e a ferirsi volontariamente lanciandosi contro le mura della prigione. Fino a quando raggiunge la calma; una calma mortale, perché frutto di una decisione estrema. Trentaquattro sceglie di lasciarsi morire, di mettere fine a quella vita senza senso. Ogni giorno, a ogni pasto, compie lo stesso gesto: lancia il cibo al di là dalla grata che chiude la piccola finestra da cui intravede uno spicchio di cielo.
Sono trascorsi quattro anni dall’inizio della storia e ormai Edmond, anzi Trentaquattro, sta per finire i suoi giorni.

Ecco: fermiamoci qua, per il momento. Non possiamo andare avanti se non abbiamo capito fino in fondo il senso di smarrimento di Edmond Dantès e, con lui, di tutte le persone che, per i più svariati motivi, a un certo punto della loro esistenza perdono quel filo sottile che tutti usiamo per tenere legato il nostro presente al nostro passato e al futuro che dovrà arrivare.
Edmond non è smarrito solo perché ha perso la sua libertà e non può fare ciò che vuole. Egli è completamente perduto perché non riesce a comprendere che cosa gli è successo, e quindi a immaginare che cosa gli succederà ancora. Gradualmente, a causa dell’inconsapevolezza e dell’isolamento, non riesce più a riconoscere chi è quell’uomo senza più né un nome, né un futuro, né tantomeno un passato. Si è spezzato quel racconto interiore che ciascuno di noi fa a se stesso per dare senso alla propria vita.

Ha detto un famoso neurologo che dal punto di vista biologico noi non siamo molto differenti l’uno dall’altro. Io sono simile, quasi identico a Edmond Dantès. Anche tu che stai leggendo lo sei.
Storicamente, in quanto racconto, ciascuno di noi è invece unico. Se io volessi sapere chi sei tu, lettore, dovrei chiederti qual è la tua storia: la tua storia vera, intima. Perché noi siamo un racconto che è costruito e ricostruito di continuo.
Per questo dobbiamo continuare a “ripetere” noi stessi, e non smettere di srotolare il nostro racconto interiore, il susseguirsi delle vicende (quotidiane, a volte drammatiche e dolorose) che ci sono capitate, la trama della nostra esistenza al punto in cui siamo. Ne abbiamo bisogno per conservare la nostra identità, per rimanere Edmond Dantès, Simone Giusti… e tu? Qual è il tuo nome? E qual è la tua storia? Scrivila, raccontala a qualcuno, ripetila mentalmente, leggila e riscrivila ancora se necessario. Tu sei la tua storia. Per questo hai bisogno di raccontare. E per questo hai bisogno di qualcuno che ti ascolti.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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